Prosegue con
e il Male che ci circonda e calpesta
Soldati in uniformi impeccabili correvano avanti e
indietro lungo il marciapiede, mentre un gruppo di funzionari osservava il
lento avvicinarsi di una locomotiva a vapore, seguita da una lunga fila di
vagoni blu scuro su cui era impressa la corona d’oro del sovrano. Con un ultimo
sbuffo di vapore ed un fischio acuto, la locomotiva si fermò e Luigi II
scese i pochi scalini dello scompartimento.
Senza degnare di uno sguardo i funzionari che lo
osservavano curiosi, si affrettò a salire su una carrozza dorata in attesa
davanti alla stazione, che percorse la piatta campagna a rotta di collo,
attraversando i piccoli villaggi le cui luci brillavano nell’oscurità della
notte.
Giunto alla riva del Chiemsee, il lago più grande della Baviera, il re prese posto in una gondola dagli elaborati fregi intagliati, lasciandosi cadere fra i preziosi cuscini di velluto; lentamente l’imbarcazione, spinta dai remi di due marinai in costume veneziano, scivolò attraverso le placide acque verso la luce arancione di due torce, che fiammeggiavano in lontananza ad indicare il punto di attracco di una banchina deserta.
Lì, su un’isola solitaria, Ludwig aveva costruito
il suo ultimo castello, il più splendido, il Palazzo di Herrenchiemsee.
I lavori a Herrenchiemsee procedevano lentamente e,
di nuovo, i pensieri di Ludwig si volsero ad altri progetti architettonici.
Voleva costruire ancora tre castelli: un palazzo
bizantino, un palazzo cinese ed un castello gotico. Per il primo, che si
sarebbe dovuto erigere vicino a Linderhof, vennero commissionati due progetti,
uno a Dollmann e l’altro a Julius Hofmann. Quello disegnato da Dollmann, del
1869, comprendeva un vasto complesso di costruzioni diverse che risentivano di
influenze bizantine e moresche: dal corpo principale dell’edificio due lunghe
ali si dipartivano a racchiudere il cortile, che comprendeva i locali di servizio
ed una grande cappella privata.
I disegni di Julius Hofmann, del 1885, erano inquietanti e rivelavano il rapido deterioramento della mente del sovrano: erano una raffigurazione cupa ed altamente simbolica della fuga di Ludwig dalla realtà e del suo crescente isolamento.
Hofmann progettò anche il palazzo cinese, che
sarebbe dovuto sorgere sulle rive del Plansee, fra Linderhof e Neuschwanstein.
Fedelmente copiato dal Palazzo d’Inverno di Pechino, comprendeva un piccolo
edificio principale, che ospitava una sala del trono ed una camera da letto,
situato al centro di una più vasta costruzione recintata. Qui il re pensava di
abbigliare cortigiani e domestici con costumi cinesi e di vivere secondo la
complicata etichetta della corte imperiale cinese.
Il terzo progetto prevedeva la costruzione di un
castello gotico a Falkenstein, un alto dirupo nell’Allgau, fra Lindau e Füssen.
Christian Jank fece i primi schizzi nel 1883, chiaramente ispirati a quelli
ch’egli stesso aveva dipinto vent’anni prima, raffiguranti delle rovine sul
Reno.
L’acquerello di Jank per Falkenstein rappresentava un castello fantastico, pericolosamente appollaiato sulla cresta della montagna, con l’aggiunta di false rovine che scendevano lungo il dirupo e torri ricoperte di edera. Il re incaricò Dollmann dei progetti esecutivi, ma l’architetto sapeva ch’egli non era in grado di sostenere la spesa di una nuova costruzione e presentò il progetto di un castello più piccolo, meno pittoresco, che non aveva alcuna somiglianza con la romantica opera di fantasia originariamente concepita da Jank.
Come era prevedibile, Ludwig silurò Dollmann seduta
stante.
Per la realizzazione del progetto chiamò Max
Schultze, il quale modificò in parte il disegno originale di Jank, attenuando i
particolari più ridondanti, ma mantenendone lo spirito fantastico.
Ciononostante, il suo lavoro non durò che un anno ed egli venne poi a sua volta
sostituito da Hofmann, che portò con sé un assistente di nome Eugen Drollinger.
Insieme, i due uomini dovettero far fronte alle continue modifiche che il re apportava ai progetti. La camera da letto di Falkenstein, che doveva essere l’ambiente più grande del castello, subì molte variazioni di stile, dal gotico e bizantino al romanico. Il letto doveva essere posto sotto un baldacchino dorato, in un’abside, e, ad entrambi i lati, vi sarebbero state altre due absidi più piccole, una delle quali avrebbe racchiuso un altare bizantino. In alto, sostenuta da archi decorati con affreschi di soggetto religioso, era prevista un’enorme cupola blu, punteggiata di stelle d’oro.
Per il re questa stanza rappresentava insieme una
camera da letto ed una cappella, e il desiderio di vederla realizzata divenne
ben presto un’ossessione; ordinò quindi che dai progetti si togliessero altri
locali in modo da poter dare a questa maggiore spazio.
Nel 1886, i lavori a Falkenstein non erano ancora
iniziati per mancanza di fondi, e il sovrano stava diventando sempre più
irrequieto. Per tranquillizzarlo, Drollinger iniziò a lavorare ad una nuova
serie di schizzi per la camera da letto, per la quale però le richieste di
Ludwig diventavano ora sempre più stravaganti ed inquietanti: voleva un’enorme
cupola in mosaico, altissime finestre di vetro istoriato, affreschi
raffiguranti gli apostoli, ed un candelabro dorato alto quasi dieci metri.
Apparentemente più sereno, ordinò altri disegni e progetti per questo
incredibile ambiente, che era ormai grande come un intero piano di Linderhof.
Drollinger stava lavorando ad una veduta d’insieme della camera quando, il 13
giugno 1886, gli venne annunciato che il re era morto.
Il costo delle creazioni architettoniche di Ludwig fu enorme. Spese 6.180.047 marchi per Neuschwanstein e 8.460.937 marchi per Linderhof. Herrenchiemsee, la sua realizzazione più fastosa, costò addirittura 16.579.674 marchi. In un solo anno, il 1883, spese 5.865.607 marchi – quasi l’intero costo di Neuschwanstein – per i lavori a Herrenchiemsee. Quando morì, la cifra complessiva per i tre castelli ammontava a 32.220.658 marchi.
Dopo la sua morte, il governo bavarese aprì al
pubblico le porte dei suoi castelli, e, per la prima volta, dei turisti
pagarono per potersi aggirare tra gli splendori del romantico mondo ch’egli
aveva creato.
Nella primavera del 1884 il debito personale di
Ludwig ammontava a sette milioni e mezzo di marchi. Secondo la legge bavarese,
il sovrano poteva essere pubblicamente perseguito dai suoi creditori e, poiché
le spese del re aumentavano costantemente, questa eventualità divenne un
pericolo concreto, e numerosi funzionari di corte vennero inviati per tutta
l’Europa alla ricerca di fondi.
La Baring Brothers Bank di Londra offrì un prestito di nove milioni di marchi, ma a condizioni che furono giudicate inaccettabili da Ludwig. Egli scoprì allora che esistevano, in un deposito fiduciario, considerevoli somme appartenenti al patrimonio del padre e chiese ai funzionari responsabili di poterne disporre; ma i legali che amministravano il deposito rifiutarono.
Philipp Pfister, il segretario di corte, si recò a
Berlino per chiedere un prestito a Bismarck: il Cancelliere di Ferro era
abbastanza favorevole, ma, prima che si raggiungesse un accordo, Emil von
Riedel, il ministro delle Finanze bavarese, riuscì ad ottenere un prestito di
sette milioni e mezzo di marchi – la somma esatta che il sovrano doveva ai
creditori – da un gruppo di banche della Germania meridionale. Il prestito
doveva essere restituito a rate in un periodo di quindici anni ed avrebbe
richiesto grandi economie da parte di Ludwig.
Questi problemi finanziari facevano disperare i
membri della Real casa i quali riuscivano a conservarsi il posto spesso
soltanto mentendogli. Nel 1884 Hermann Gresser, segretario di corte di Ludwig,
se lo ingraziò assicurandogli che non ci si doveva preoccupare delle questioni
finanziarie; affermò inoltre che ‘i servizi igienici in tutte le stanze di Sua
Maestà saranno d’ora in avanti in perfetto stato’ – in quanto, probabilmente,
si era fatto qualche riferimento alle condizioni dell’impianto idraulico dei suoi
castelli.
Alcuni mesi dopo, per ordine del sovrano, Gresser fu inviato alla tesoreria reale con l’incarico di ritirare tutte le pietre preziose e togliere i diamanti dalla corona di stato bavarese, presumibilmente allo scopo di venderli ed usarne il ricavato per finanziare i progetti architettonici del re. Ma il funzionario responsabile si rifiutò di acconsentire a questo ‘furto’ e, quando il segretario ritornò a mani vuote, Ludwig lo licenziò sui due piedi.
Gresser fu sostituito da von Klug, il quale non
sapeva nulla delle difficoltà finanziarie del re. Questi era così disperato che
pensò perfino di avvicinare gli odiati Hohenzollern di Prussia; il Kaiser
Guglielmo I ricevette gli emissari del nipote e si dichiarò disposto a
prestargli dieci milioni di marchi, ma, ancora una volta, Ludwig trovò le
condizioni inaccettabili: il denaro doveva essere usato soltanto per saldare i
vecchi debiti e non per le nuove costruzioni. In dicembre, von Klug informò il
sovrano che un certo banchiere di nome Schulein era disposto a prestargli
subito quattrocentomila marchi se lo avesse ricompensato con un titolo
nobiliare.
Benché in un primo momento Ludwig fosse riluttante
ad accettare questa spiacevole transazione, alla fine acconsentì e a Schulein
venne conferito il titolo richiesto.
Questa somma, tuttavia, non incideva che in misura irrisoria sull’enorme ammontare del debito, che, alla fine del 1885, era quasi raddoppiato, essendo passato da sette milioni e mezzo di marchi alla cifra da capogiro di quattordici milioni di marchi. Ma, nonostante la sua stravaganza, Ludwig aveva compreso che le cose non potevano continuare in quel modo. Il 29 agosto 1885 aveva ordinato a Riedel di verificare ‘lo stato insoddisfacente’ delle sue finanze private e di fare quanto avesse ritenuto necessario ‘per migliorare la situazione finanziaria’.
Consultatosi con gli altri ministri, il 3 settembre
Riedel informò il re che il gabinetto raccomandava grandi economie e
l’immediata interruzione di tutti i progetti architettonici. Fece anche notare
che sulla stampa apparivano già accenni alla sua precaria situazione
finanziaria, e che qualsiasi ulteriore spesa avrebbe potuto arrecare un danno
irreversibile al prestigio della corona bavarese. Nell’udire ciò Ludwig fu
colto da un tale furore che minacciò di sollevare dall’incarico il ministro,
che si salvò dal licenziamento soltanto quando tutti i membri del gabinetto
dichiararono che si sarebbero dimessi; ciò avrebbe comportato, a sua volta, il
crollo del governo bavarese, ed il re fu quindi costretto a trattenere Riedel.
Fu proprio questo spiacevole contrasto con Riedel che mise sull’avviso il governo bavarese riguardo alla situazione estremamente critica delle finanze del re. La questione dei suoi debiti era, sotto il profilo tecnico, un affare privato del sovrano, ma la minaccia di licenziare un ministro perché non era riuscito ad ottenergli dei prestiti, scuoteva le fondamenta stesse del governo.
La sopravvivenza della coalizione, così
attentamente calibrata, che deteneva il potere in Baviera, veniva in questo
modo a dipendere dallo stato delle finanze del re. Involontariamente Ludwig
aveva trasformato il suo debito personale in una crisi politica e messo i
ministri nella condizione di opporglisi, non perché fossero necessariamente
contrari alle spese per i suoi progetti architettonici, ma perché la frenetica
attività edificatoria del re minacciava il loro potere.
L’eventualità ch’egli potesse essere perseguito dai creditori era reale, e Lutz suggerì che il sovrano compilasse un elenco dei propri debiti e ponesse immediatamente termine alle sue costruzioni. Il pensiero di poter perdere i suoi amati castelli tormentava Ludwig, ed egli chiese al ministro degli Interni se sarebbe stato possibile trasferirli al governo bavarese trasformandoli in possedimenti della corona, in modo da porli così sotto la tutela della legge; ma questa proposta venne rifiutata. Ludwig, sempre più disperato, il 28 gennaio 1886 scrisse al suo aiutante di campo Dürckheim:
“Se non si riesce ad ottenere entro quattro
settimane una certa somma, Linderhof e Herrenchiemsee, di mia proprietà,
saranno confiscate per legge. Se non si riuscirà a prevenirlo in tempo, mi
ucciderò all’istante o lascerò immediatamente e per sempre la terra maledetta
dove può verificarsi un fatto tanto abominevole. Vi chiedo, mio caro Conte, con
urgenza, Vi prego con insistenza di mobilitare un gruppo di persone, che mi
siano fedeli e che non si lascino intimidire da nulla, le quali, se si
verificasse il peggio e non si riuscisse a trovare il denaro necessario, siano
disposte a cacciare la feccia ribelle o i traditori. Confido che condurrete la
faccenda con discrezione e segretezza, in quanto né i ministri, né la polizia
(di cui non ci si può fidare in questa circostanza), e nemmeno i segretari (von
Klug, Schneider) devono venirne a conoscenza. Sono tutti funzionari timorosi
davanti alla Camera, alla legge ed alla pubblica opinione; sono soltanto un
gruppo di vecchie donnette, non i sudditi leali che dovrebbero essere”.
Al colmo della disperazione, il re inviò nuovamente von Klug a Berlino ad implorare Bismarck che gli concedesse i fondi necessari. Il 25 febbraio 1886 il segretario gli riferì:
“Sono appena rientrato da Berlino – un giorno prima
del previsto poiché Bleichroeder ha avuto ieri l’opportunità di parlare con il
principe Bismarck. Secondo Bleichroeder, egli (il principe Bismarck) ha detto: ‘Senza
garanzie è impossibile reperire un milione in Germania. Anche se Sua Maestà il
Re di Baviera in persona mi scrivesse, non potrei dargli altro consiglio che
quello di cessare le sue costruzioni e rimettersi ai Ministri’.
Bleichroeder ha aggiunto che, in tali circostanze, Sua Maestà il Re di Baviera otterrebbe il denaro a Berlino ad un tasso inferiore che in qualsiasi altro paese in Europa. Con il mio ritorno da Berlino, sono cadute tutte le mie speranze di ottenere il denaro per proseguire con i progetti architettonici. Sono profondamente addolorato che il Destino mi abbia scelto per dare a Vostra Maestà questa triste notizia”.
Dal punto di vista politico, Ludwig si trovava in
una situazione pericolosa. Il Partito dei Patrioti, composto per la maggior
parte di ex ultramontani e di gesuiti, deteneva la maggioranza dei seggi in
seno al Landtag, ed uno dei suoi membri aveva sollevato pubblicamente la
questione dei problemi finanziari del re dicendo che, se questa fosse stata
sottoposta all’assemblea, tutti i suoi colleghi si sarebbero schierati contro
il sovrano.
A peggiorare la situazione vi era la sconsiderata insistenza con cui il re pretendeva che si reperisse la somma di venti milioni di marchi. Diversi funzionari di corte vennero inviati in missione dal re di Svezia, dallo scià di Persia e dal sultano della Turchia per chiedere denaro. Si diceva che fosse stato inviato anche un gruppo di persone a Francoforte, a Parigi, a Berlino e a Londra con l’incarico di fare sondaggi presso tutte le banche di quelle città.
Questo, ovviamente, non portò a nulla, anche se
tutti fecero l’impossibile per assecondare il sovrano.
Dürckheim ricordò in seguito un incontro che aveva
avuto con Karl Hesselschwerdt, quartiermastro del re:
“Nel gennaio o febbraio del 1886, Hesselschwerdt
venne da me con un ordine verbale del sovrano perché mi recassi a Londra a
chiedere dieci milioni di marchi al duca di Westminster”.
Dürckheim si rese perfettamente conto dell’inutilità della missione, tuttavia disse a Hesselschwerdt di informare il re che aveva ricevuto l’ordine e gli avrebbe riferito in merito ai propri sforzi non appena vi fossero state novità. Ma Hesselschwerdt gli rispose che non avrebbe potuto portare di persona il messaggio, dicendo:
“Vedete, in questo momento mi trovo a Napoli”.
“Cosa volete dire?”
…chiese lo sbigottito aiutante di campo.
“Esattamente questo. Il Re mi ha mandato a Napoli,
ma non vi era motivo di andare, per cui sono rimasto qui. Ma ho detto che sarei
andato e che non sarei stato di ritorno fino a mercoledì, quindi non posso
annunciare il mio rientro prima di quella data”.
La regina Maria, venendo a conoscenza dei guai finanziari del figlio, gli scrisse offrendogli tutto il denaro che aveva sui suoi conti personali e dichiarandosi anche disposta a vendere i propri gioielli; egli tuttavia le rispose:
“Mi sento in dovere di inviarVi i miei più sentiti
ringraziamenti per la Vostra generosa offerta, troppo gentile da parte Vostra,
ma vorrei chiederVi di consentirmi di rifiutare. Con qualche intrigo, il Capo
della mia segreteria deve riuscire prima o poi a sistemare questa faccenda”.
I nodi vennero al pettine l’11 agosto… 1886, quando
al re venne formalmente fatta pervenire un’ingiunzione legale da parte della
società che riforniva i suoi castelli di acqua e gas, alla quale doveva, in
quel momento, una somma assai superiore ai centomila marchi. Si temeva che si
potessero presentare altri creditori e, se il paese fosse venuto a conoscenza
di questa azione legale, il prestigio della corona ne sarebbe stato certamente
danneggiato.
Dopo essersi ancora una volta consultato con Bismarck, Ludwig informò Lutz della propria intenzione di rimettere la questione al Landtag. Lutz ne parlò agli altri membri del gabinetto e di nuovo avvisò il re che un voto in sede parlamentare avrebbe quasi certamente comportato una sconfitta. Con una lettera datata 5 settembre, il primo ministro e i membri del gabinetto informarono recisamente il sovrano che non avrebbero inserito nella legislatura straordinaria alcuna misura per ottenere altri fondi e si rifiutarono di discutere ulteriormente il problema.
Ludwig, furibondo per questo rifiuto, ricorse alla
soluzione per lui più semplice: decise che avrebbe licenziato il governo al
completo. A sovrintendere all’operazione venne chiamato l’ex segretario di
gabinetto Ziegler, mentre a Hesselschwerdt e al barbiere di Ludwig, Hoppe,
venne affidato l’incarico di scegliere i ministri del nuovo gabinetto.
Hesselschwerdt si affrettò a riferire la notizia al
conte Holnstein, il quale, pur non essendo più al servizio del re, era in
stretto contatto con i membri della Real casa e del governo. Informò quindi
Lutz del progetto del sovrano e fu così che il governo bavarese seppe che
Ludwig stava complottando per farlo cadere.
L’aiutante di campo del re, conte Dürckheim ricorderà in seguito:
“Fu una grande sfortuna per il Re non essere andato
a Monaco nell’autunno del 1885, come normalmente faceva in quel periodo
dell’anno. La sera del 10 novembre era già in viaggio quando, improvvisamente,
diede ordine di cambiare direzione e dirigersi a Linderhof. Dopo alcuni giorni
di permanenza in quel luogo, andò a Hohenschwangau…
Il fatto di non essere venuto a Monaco nel tardo
autunno del 1885 segnò il punto di svolta, l’inizio della fine.
Fu in seguito a questa sua decisione ch’egli non si
trasferì a Monaco nemmeno durante l’inverno. Se fosse venuto allora, l’intero
andamento della crisi sarebbe potuto essere diverso… la catastrofe del 1886 non
avrebbe avuto luogo…
Durante l’inverno e fino alla primavera inoltrata
del 1886, vennero improvvisamente a mancare la lealtà e la discrezione
dimostrate fino ad allora quando si parlava delle questioni private del Re.
Cominciarono ad apparire con crescente regolarità articoli di giornale,
dapprima soltanto all’estero, ma poi anche sulla stampa bavarese.
Nelle birrerie si discutevano e si criticavano pubblicamente non più soltanto il dissesto delle finanze private ed i progetti architettonici del Re, ma anche il modo di vivere di Sua Maestà, le sue abitudini, ecc. Si fecero le peggiori insinuazioni sui militari che per qualche tempo avevano svolto le mansioni di lacchè, e la stampa riportò i racconti più esagerati sui doni fatti da Sua Maestà ad alcune persone, sui suoi supposti maltrattamenti nei confronti dei domestici, e così via.
È interessante notare come la polizia non
intervenisse mai, sebbene nei locali pubblici si udissero continuamente i
peggiori casi di lesa maestà. Come sempre accade in queste situazioni, i veri
istigatori erano pochi.
La maggior parte della gente ascoltava, concordando o dissentendo, tornava a casa e ripeteva quanto aveva udito. È molto facile creare una crisi quando non si incontrano ostacoli sulla propria strada!
Non può sfuggire ad un osservatore imparziale che
si trattava di un deliberato tentativo di fomentare l’ostilità contro la
persona del Sovrano. Le cose non si sarebbero mai spinte così avanti se il Re
fosse stato nella sua residenza di Monaco, come era suo costume durante
l’inverno, tra febbraio e maggio. Ma era rimasto lontano, solo ed isolato a
Hohenschwangau.
Chi avrebbe quindi potuto provare o contestare la
veridicità di quanto veniva detto sul suo stato mentale?
Dürckheim era consapevole del fatto che qualcosa non andava per il verso giusto e capiva che Ludwig era in pericolo. Non sapeva però che, mentre il re meditava sulla propria situazione finanziaria e sulla costruzione dei suoi castelli, la famiglia reale ed il governo bavarese erano attivamente impegnati in un complotto per rovesciarlo dal trono…
(G. King)
(Dedicato a Michela & alla sua dinastia...)
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