CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

giovedì 7 agosto 2025

IL MALE

 








Diagnosi Precedenti... 


affinché i lavori proseguano 


Io, il Re! Affermo la Natura 


intera Essere viva....  


Il Re Proclama... 
















(si prega prendere visione 


del bando....)        









Prosegue ancora con l'invenzione 


dell'Animatografo






Così, il Re, si trovò pietosamente invischiato in difficoltà di ogni genere, lui, l’idealista recluso, salvatore di Wagner e fondatore del grande Impero tedesco!

 

Ed era in un clima di continue umiliazioni che i ‘castelli da sogno’ stavano per essere completati. Riedel rimase in carica, ma il Gabinetto era caduto completamente in disgrazia con il Re. Ricordando il l’autosufficienza e l’indipendenza di Ludovico II si può ben immaginare dove un simile stato di cose debba inevitabilmente portare.




Tra il Gabinetto e il Re ne seguì ora una lotta amara che durò un anno intero. Due scene da questo doloroso conflitto sarà sufficiente dare qualche idea della tragedia che attendeva il Re. La seguente conversazione ha avuto luogo tra il Segretario di Gabinetto e uno dei ministri:

 

‘Non vedi come il Re sta rovinando il capitale lasciatogli in eredità dai suoi antenati? Se continua ancora così ancora per molto, presto non ci sarà più niente ne è rimasto, né per lui né per la Baviera. Questo è ciò che deriva dal suo pensiero di poter decidere tutto da solo. Deve prima o poi aprire gli occhi sulla sua vera natura posizione di Re di un paese costituzionale e di i suoi doveri verso l’Impero. Rispettosamente ma con molta enfasi dovremo fargli capire che non può più andare avanti così. E questo deve essere fatto in un modo che non gli lasci dubbi su le nostre intenzioni: che questa non sia né una finzione né una falsa necessità ma severa realtà. Né i nostri contemporanei né la storia potrà rimproverarci di aver semplicemente assecondato i capricci reali, trascurando il nostro dovere alla nazione’.

 

‘E se il Re continuasse a rifiutarsi di lasciarsi convincere?’




‘Ci sono modi e mezzi per raggiungere il nostro scopo. In nel caso in cui non fosse convinto, il Re dovrebbe essere trattato come un bambino. Misure estreme e sicure, come l’abdicazione forzata e la sua messa sotto tutela presto gli apriranno gli occhi’.

 

‘Ma questo potrebbe essere fatto solo da qualcuno che non ha affetto per lui, che è completamente fuori dalla simpatia con i suoi progetti architettonici e chi va anche così al punto da considerarlo anormale’.

 

‘Se questo è tutto, potrei citare i nomi di molti che sono pronti ad arrivare a tanto nell'interesse del paese’.

 

Qui la conversazione finì.




L’altra scena si è svolta a Neuschwanstein, quando il quartiermastro Hesselschwerdt stava discutendo la situazione con il Re e disse:

 

‘Vostra Maestà sa quanto devoto sia il popolo a il loro Re e che apprezzano quei castelli che sono già finiti: anche che il paese sta iniziando per vedere il valore di tutto ciò che hai fatto per Wagner. Tanto più la Maestà vostra deve essere estremamente attenta ora di non fare nulla di imprudente che potrebbe causare un’inversione di tendenza nel paese, perché ci sono ci sono già un sacco di voci in giro. Ci sono, si dice, certe persone che desiderano farlo sapere che Vostra Maestà è – mi scusi l’espressione – pazzo!’

 

Il Re sorride cupamente.

 

Non è minimamente arrabbiato.




Come Hesselschwerdt si aspettava, eppure tradisce una certa perplessità e malcelata inquietudine mentre risponde:

 

‘Chi potrebbero essere queste persone? Non riesco a immaginare che tali le persone esistono o esisteranno mai’.

 

‘Non è stato ancora deciso nulla di definitivo, ma fra alcuni giorni potrebbe accadere... Tutto quello che volevo fare era per avvertire Vostra Maestà di non soccombere a nessuna nuova tentazione’.

 

(Il Re aveva appena parlato di i suoi ultimi progetti per un castello a Falkenstein.)




‘Il mio unico desiderio è che il mio popolo si renda conto che tutto ciò che ho fatto non è stato per la mia glorificazione: che ho mirato ad educare il mio popolo ad amare il bello e lasciare tesori imperituri dietro di me per la glorificazione del mio Paese’.

 

A questo punto il Re interruppe la conversazione, rimanendo stranamente in silenzio per tutto il resto della serata.

 

Ma Ludwig non lavora in vista del turismo del futuro.

 

Orchestra la sua prima sinfonia.

 

Non sta più in sé per la gioia della composizione e dal proprio io sente sgorgare una tale abbondanza di temi, che non esita a sovraccaricare il suo testo. Così, fa scavare la grotta di Venusberg, dove, su un lago interno, dondola la navicella di Lohengrin.

 

Non è forse il suo primo desiderio, la sua rivelazione iniziale?




Certo, deve persino arrivare armato di tutto punto, cavaliere di lontani paesi. E mentre i suoi lacchè accendono fiaccole colorate dietro le stalattiti, la leggenda si avvera: Lohengrin dall’elmo d’argento avanza, in piedi sulla sua barca, cantando a mezza voce un indistinto epitalamio.

 

Linderhof, nome privo di bellezza alle orecchie del re. Un giorno ne inventa un altro: Meicost Ettal. Ci si perde in congetture. Ettal lo si poteva spiegare, perché era il nome di un convento vicino. Ma Meicost restava indecifrabile. Tuttavia, il re sembrava felice della sua scoperta. Una volta confidò:

 

‘Le persone sono così stupide da non riuscire a capire questo chiaro simbolo?’

 

Meicost Ettal è un anagramma e, con la matita in mano, rivela ai ciechi un segreto così ben nascosto: cambiate l’ordine delle lettere e leggerete L’état c’est moi (lo Stato sono io).




Meicost Ettal, prima scena della grande festa che ha inizio. La grande festa della mente.

 

Delle menti. L’unico vero teatro del mondo, la corte, trasportata nell’inverno di una valle bavarese. Il passato più sontuoso dell’Occidente è ora in suo potere.

 

Si attacchi dunque la sua slitta di gala. Manda un corriere da Monaco a Meicost Ettal perché venga preparata una cena leggera; dà ordini che lo champagne venga messo in fresco. Al diavolo ancora una volta le assurdità di Stato! Manda i suoi ministri a fare passeggiate. L’importante è che scuotano gli alberi del nuovo parco per farne cadere la neve. Il postiglione, in bicorno e divisa alla francese, precede i sei cavalli bardati con campanelli. Al gran galoppo, la slitta scivola sulla campagna. E Ludwig, chino dietro i finestrini ingrandenti della sua gabbia dorata, corre per arrivare al Trianon da cui è ossessionato. Quella sera, Sua Maestà cena con il Re Sole e Maria Antonietta.

 

…Amava le statue e ne collocava ovunque, salvo poi voltarsi dall’altra parte per non vederle.

 

Ma in un certo posto, a una certa ora, si toglieva il cappello davanti a un albero.




Amava gli specchi, gli avori, le giade, la tartaruga finemente cesellata e passava ore nel contemplarli. Non per la loro bellezza, ma per la perfezione del lavoro, la riuscita di chi li aveva lavorati. È in oggetti di questo tipo che toccava la verità delle cose, l’opposto ‘dell’inganno’. Ascoltava, osservava e accarezzava un mondo che non era più illuminato dal sole della ragione, ma dalla luna delle apparenze. Ed è forse questo altro colore della luce, questo opposto del giorno, che chiamiamo follia.

 

Da un tale uomo ci si aspetta forse che popolasse di deputati e ministri le sue sale del consiglio, ornate per un’assemblea di personaggi illustri?




Le ‘assurdità di Stato’ non meritano queste cornici dorate; meglio che il vento porti via le parole leggere dei segretari di gabinetto e dei capi di governo. Ludwig riceve questi signori tra le sue montagne, su un prato, nei pressi della casa di un guardacaccia. In qualche fresca mattina di primavera, gli ordini arrivano all’improvviso su quelle cime, un tavolo viene sistemato all’aria aperta, coperto da un tappeto di fortuna, davanti al quale sono poste sedie di paglia. Ben presto si sentono gli zoccoli dei cavalli e appare il re, seguito da cocchieri e bracchieri che calpestano le viole.

 

Smontano.

 

Il re avanza da solo, siede al tavolo in abito da viaggio, in testa un berretto scozzese con nastri. I lacchè si allineano a distanza, tenendo i cani al guinzaglio; poi il capo di gabinetto si avvicina a sua volta, in marsina e cravatta bianca, cartella in mano e cappello a cilindro sotto il braccio. Espone gli affari correnti. Sua Maestà li discute con rigore, critica o approva e sui documenti, che gli hanno presentato, appone la sua grande firma calligrafica. Il tutto viene sbrigato in pochi istanti. Poi il burocrate si inchina e torna nella capitale.




A quel punto il re si intrattiene con la sua guardia, si informa su cose relative alla foresta, sull’inverno per due terzi trascorso, su coloro che vivono qui in solitudine, e proibisce una volta di più di sparare agli animali. In quei rifugi alpestri l’idea della morte gli appare abominevole.

 

Che laggiù, nella pianura, gli uomini si distruggano e muoiano come mosche, è affar loro.

 

Ma su quelle alture, dove vagano solo pochi capripedi e mandriani, il lavoro, l’odio e la morte riempirebbero l’occhio ingenuo della natura di patetico stupore.

 

Come, così in alto, tutto torna a essere casto!

 

I lacchè, che lui rimprovera a sé stesso di maltrattare talvolta con una frusta troppo severa, che bei ragazzi orgogliosi e sani sono!




Begli amici vicini al suo cuore. Si assicura che la vettura ministeriale si sia allontanata effettivamente sulla strada che scende a valle. E allora una gioia lo esalta. Chiama il cocchiere Hornig – quello che a Monaco chiamano il cancelliere – gli dà del tu di fronte a tutti, pretende che si dia del tu anche a lui e vuole che sull’erba, subito, si giochi all’anello o a mosca-cieca. Vuole che si beva: e spuntano delle bottiglie.

 

Che si stia allegri: e i volti si animano.

 

Tra questi semplici, egli è un semplice. L’umiltà si insinua in lui come i profumi di questa mattina insolita, perché di solito non si alza fino al tramonto. Ride, gioca con questi ragazzi intimiditi e zozzi; batte loro sulla spalla, accarezza le loro mani inabili alla dolcezza. E all’improvviso si ferma di colpo, si asciuga il sudore che gli imperla la fronte.

 

‘Io, il re! È possibile…?’.




Ritornato alla sua statura regale, si spaventa di sé stesso, cambia volto e torna a cavallo seguito da quel branco ancora ubriaco. In un attimo, la sbalordita cavalcata scompare dietro le fronde.


In tutto ciò la complicazione sta in questo ‘io’ senza stabilità. Per la maggior parte, gli uomini hanno identificato il loro ‘io’, ne hanno individuato gli errori segreti, stringono con mano più o meno ferma le briglie che ne terranno a freno le galoppate. Nel peggiore dei casi, sanno che ci sono barriere e ripari attorno al sentiero, lungo cui scalpita la loro bestia.

 

Ma per Ludwig non ci sono.

 

Caracolla su un altopiano a picco sul vuoto. Abbattute tutte le barriere, nulla gli impedisce di saltare dove lo porta il caso. Tanta libertà gli tarpa le ali. Al momento di partire, ogni volta si ferma.

 

Dove andare?

 

E perché?




Occorre una volontà o un sentimento per orientare il più debole desiderio, almeno una parvenza di appetito. Ma cosa desiderare quando non si ha più fame? Ah, quanto sono incapaci gli uomini di assaporare la propria felicità di essere gelosi, addolorati, appassionati, nudi ed elevati dalle loro speranze!

 

Arrivò il fatidico anno 1886.

 

La gente di Monaco sorrideva e lo chiamavano ‘pazzo’.

 

Poco dopo la scoperta da parte del Primo Ministro von Lutz che il Re aveva affidato al Barone von Franckenstein, leader del partito cattolico, la formazione di un nuovo Gabinetto, che l’offerta era stata accettata e che von Franckenstein si stava preparando a procedere verso il castello di Neuschwanstein per un incontro con Ludwig, la tragedia che incombeva sul Re raggiunse il suo atroce culmine.




Per anticipare i piani del Re, bisognava prendere delle decisioni con rapidità fulminea. Allo stesso tempo era necessario per evocare una sorta di fondamento giuridico su cui basarsi. L’intero Governo inviò una richiesta urgente di un’udienza con lo zio, il principe Luitpold, richiesta che fu concessa.

 

In sua presenza la lettera sigillata destinata per Rothschild fu aperta e Hesselschwerdt è stato proibito di eseguire l’ordine o tutti gli ordini del Re. Poi andarono a stabilire con la speranza di dimostrare che il Re non era più responsabile per le sue azioni, producendo un certificato medico a questo effetto e coinvolgendo altri tre illustri dottori in consultazione, che certificarono il documento.

 

Immediatamente, in seguito, la famiglia reale tenne una consultazione privata a Monaco nel corso del quale decisero con solo due dissenzienti per mettere il Re sotto tutela. Il conte von Holnstein funge da suo tutore. Il barone von Franckenstein fu convinto a rinunciare alla sua posizione politica missione, dopo essersi convinti che tutto fosse fatto.




Il documento decisivo in questione era l’esperta comprovata  prova del famoso dottor von Gudden, direttore del Manicomio Generale dell'Alta Baviera. Era stato redatto e presentato al Ministero già il 23 Marzo 1886 pronto per essere utilizzato quando ritenuto opportuno necessario. In questa fatidica riunione del Gabinetto fu controfirmato dal Dott. Hagen, dal Dott. Grashey e dal Dott. Hubrich, ed era espresso nei seguenti termini crudeli e spietati:

 

‘Vostra Maestà è in uno stadio molto avanzato di malattia mentale, una forma di follia nota agli specialisti della mente con il nome di “Paranoia”. Poiché questa forma di male ha uno sviluppo lento ma progressivo di durata di molti anni, Vostra Maestà deve essere considerata come in ‘soggetto’ incurabile; giacché un ulteriore accentuarsi del male, sulla salute mentale di Sua Altezza, può aggravare ulteriormente lo sviluppo naturale delle sue normali funzioni psico-fisiche. Soffrendo di un tale disturbo, la libertà d’azione non può più essere consentita, e Vostra Maestà è dichiarata essere incapace di governare, come d’intendere e volere; incapacità che sarà non solo per la durata di un anno ma per la durata dell’intera  vita di Vostra Maestà’.




Tale era il contenuto del documento che era rimasto a disposizione del governo bavarese da allora il 1° marzo e rinnovato l’agosto del….

 

Un cervello malato è incurabile!

 

Quella non era una semplice prova di un esperto, era una condanna di morte h pronunciata da uno scienziato. Volevano dimostrare che il grande re eremita era improvvisamente diventato un pericolo per i suoi simili? Alla fine avevano capito l’arma mortale tanto desiderata e che si era trasformata contro di lui.







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