CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

venerdì 3 ottobre 2025

IL RICHIAMO DEL "NULLA" (in ricordo di S. Francesco d'Assisi)










Prosegue con: 


la povertà e ricchezza 


di questo mondo 


secondo Heidegger







Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature  

 

Francesco vuole lodare Dio con tutte le creature.

 

Assieme a loro.

 

Si mette sul loro stesso piano, condividendo con ciascuna di esse una condizione di fratellanza in ragione della loro unica origine, della comune derivazione dall’azione creatrice di Dio, Padre di tutti. Paternità che è origine, ma anche e soprattutto appartenenza. Scrive Tommaso da Celano:

 

Era riempito di mirabile ineffabile gaudio, guardando con meraviglia il sole, la luna, le stelle e il firmamento. Predicava certo ai fiori, ai boschi, ai legni e alle pietre, come se fossero dotati di ragione. Campi e vigne, ogni cosa bella dei campi, l’abbondanza d’acqua delle fonti, il verdeggiare degli orti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento ammoniva con sincerissima purezza all’amore divino, esortava al lieto rispetto. Tutte le creature infine chiamava con il nome di fratello a motivo dell’unico principio.




E ancora di lui si racconta:

 

In una circostanza, mentre attraversava con un altro frate le paludi di Venezia, trovò una grandissima moltitudine di uccelli, che se ne stavano sui rami a cantare. Come li vide, disse al compagno: “I fratelli uccelli stanno lodando il loro Creatore, perciò andiamo in mezzo a loro a recitare insieme le lodi del Signore” ’.

 

La fratellanza universale è la dimensione fondante del francescanesimo. La fratellanza di ognuno con tutti e con tutto. Su questa intuizione Francesco modellò l’intera sua vita fin dal momento della conversione, quando, riconsegnando al padre tutto quello che possedeva, compresi gli abiti che indossava, nudo come in una nuova nascita, pronunciò davanti a tutti parole incalcolabili:

 

Da ora in avanti non dirò più: padre mio Pietro di Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli.




Da quel momento farà uso delle categorie paterne solo per parlare del rapporto con Dio. La paternità universale di Dio Padre è il centro vitale di Francesco, da cui nasce appassionatamente ogni pensiero e ogni affetto.

 

Collocarsi in un contesto di fratellanza universale comporta la distruzione di ogni gerarchia secondo la quale l’uomo è stato solito concepire e catalogare gli esseri. Comunemente essi venivano catalogati in ragione della loro diversa partecipazione all’essere, in ragione della loro “perfezione”, come concepita dall’uomo stesso, in un ordine che poneva nel gradino più basso il regno minerale e, poi, a salire, progressivamente il regno vegetale e il regno animale con al vertice l’uomo.




Sostituendo il principio della diversa partecipazione all’essere con il principio della “creaturalità”, e cioè del rapporto di ciascun essere con l’azione creatrice di Dio, per Francesco lo schema piramidale classico non ha più alcun senso. Cambia, infatti, completamente la prospettiva.

 

La piramide, in base al principio della creaturalità, al limite, avrebbe dovuto essere capovolta, ponendo al vertice il minerale, in quanto punto zero dell’ente. Solo il minerale infatti mantiene intatto e manifesta con evidenza il rapporto con Dio creatore in tutta la sua purezza e con l’immediatezza originaria, non essendo offuscato da alcun filtro culturale o da qualsiasi altra mediazione. Solo la pietra, tra gli esseri dell’universo, è rimasta innocente nella sua nudità. Allora si capisce perché nella versione originaria del Cantico, tra le creature, erano previsti soltanto esseri inanimati (il sole, la luna, le stelle, l’acqua…).




E la stessa esistenza spogliata, l’esistenza nuda di Francesco nel suo rapporto con le cose, con il mondo, con la natura, con Dio, assume la concretezza e la libertà di un’esistenza minerale. Totalmente e direttamente aperta agli altri e all’Altro.

 

Una seconda conseguenza di questa fratellanza universale fondata sulla comunità di origine di tutto e di tutti è che ciascuno è chiamato ad essere se stesso. Ad essere quello che è e nient’altro. La “creaturalità” esclude ogni alienazione e ogni volontarismo. Le diverse forme di vita si rivelano, in tal modo, incommensurabili. Gli esseri non possono venire valutati sulla base delle strutture cognitive dell’uomo: ognuno esiste a modo suo e deve agire secondo la sua propria natura. Francesco aveva compreso che l’uomo doveva abbandonare la pretesa di proiettare la propria ombra sugli altri esseri del creato. E ne aveva fatto una legge fondamentale della sua esistenza.




La nudità propria dell’esistenza minerale lo conduce al cuore dell’esistenza, allo svelamento dell’intimità, come l’ha chiamata Daniela Calabrò, per la quale intimità vuol dire ‘la possibilità di essere accolto e di accogliersi così come si è’.

 

spezialmente messer lo frate Sole,

 

lo quale è iorno, e allumini noi per lui.

 

Ed ello è bello e radiante cun grande splendore:

 

de te, Altissimo, porta significazione.




Tra tutte le creature che Francesco invita a lodare Dio assieme a lui, un posto privilegiato è assegnato a ‘messer lo frate Sole’, perché attraverso lui Dio illumina gli uomini e perché esso è immagine della stessa luce divina.

 

‘Diceva che il sole è la più bella di tutte le creature’. E così, oltre che fratello, lo chiama anche ‘messer’, e cioè “mio signore”, mettendo in evidenza la posizione che occupa nel creato: esso è l’immagine del Padre, l’immagine della potenza e della gratuità creatrice.

 

Lo slittamento di senso dalla realtà fisica a quella spirituale o, meglio, la sovrapposizione delle due dimensioni, è uno dei molti fraintendimenti in cui ci imbattiamo nel nostro incontro con Francesco. Fraintendimenti da intendersi non come equivoci, ma come passaggi che avvengono inavvertitamente da un significato all’altro e che dilatano, arricchiscono e approfondiscono la percezione della realtà.




Essi non confondono il pensiero; anzi, lo rendono più ricco e più chiaro, perché il peso delle parole non è esaurito dal loro senso più ovvio.

 

Ogni significato spesso ne nasconde altri.

 

Ci troviamo di fronte a un pensiero che nasce dal cuore e che prende il respiro della poesia. Potremmo parlare anche di metafore, nel senso di immagini che ci portano oltre se stesse, che ci conducono su un piano diverso della realtà, senza tuttavia sottrarci o negare quello dell’immagine. Non si spiega un’immagine riducendola alla sua componente empirica. Il sole con i suoi raggi che cadono dall’alto illumina e feconda la terra, ma contemporaneamente è rappresentazione di Dio che illumina la mente e il cuore dell’uomo: l’astro del giorno di Dio porta “significazione”.




Francesco vede tutto in questa luce. Nel sole vede il Padre e il Creatore che abita una luce inaccessibile, luce alla cui luce tutto viene alla luce. L’unica condizione per vivere sensatamente è non rescindersi mai da questa sorgente.

 

La luce del sole avvolge ogni cosa costituendola nella sua identità e nella sua verità. Così la luce eterna avvolge di eternità l’uomo nudo e rivela la sua verità. Nessuno può conoscere veramente se stesso se non in questa luce. Ma anche ‘tutto ciò ch’è manifesto è luce’, come dice san Paolo nella sua Lettera agli Efesini. Quando la creazione si offre nuda alla luce di Dio che la rende interamente manifesta com’era nel primo giorno, allora essa è interamente luce. In essa non c’è più alcun male.




Il Sole, “significazione” dell’Altissimo, è imparziale nella distribuzione della sua luce. Illumina ugualmente il buono e il malvagio. La sua “grazia” non viene donata al peccatore che si converte, in forza della sua conversione; il peccatore si converte per effetto della sua grazia, donata gratuitamente.

 

Francesco, il quale, per la grave malattia agli occhi contratta in Egitto durante la sua partecipazione alla quinta crociata, non sopporta la luce del giorno e la luce del fuoco nella notte, canta la bellezza del sole e del fuoco. E ‘tenendo fisso sempre l’occhio dell’intelligenza in quella somma luce, non solo conosceva quello che doveva fare’, ma affondava la sua vista al di là del tempo, e ‘attingeva dalla Parola increata ciò che riecheggiava nelle parole’.

 

Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:

 

in cielo l’hai formate clarite e preziose e belle.




Francesco qualifica la luna e le stelle come ‘belle’ e ‘preziose’. “Bello” è un aggettivo che nel Cantico ricorre tre volte e sempre legato a un essere luminoso: è bello il sole, sono belle la luna e le stelle, è bello il fuoco.

 

Che cosa è la bellezza per Francesco?

 

Posto che la bellezza è per definizione indicibile, Francesco la considera come la presenza del divino nella materia. In essa prende forma il mistero, pur restando mistero; prende forma l’inafferrabile, pur restando inafferrabile. È il sempre più, il sempre oltre. Fa percepire una presenza che produce una sensazione di stupore e di gioia, e che si traduce in un senso di eccedenza e di pienezza dell’essere che Francesco avverte come pervasa dal Creatore.




Da essa nasce una specie di fame, una specie di desiderio che resta inappagato e inappagabile.

 

Se la bellezza non può essere descritta, può tuttavia essere vissuta. Francesco la vive soprattutto a contatto con la natura. Viene catturato dalla meraviglia davanti allo spettacolo della natura, che indica come il suo “chiostro”. Prova stupore per il cosmo, che lo fa vibrare nelle corde più profonde dell’anima e lo mette in contatto con il divino:

 

Noi che siamo vissuti con lui, lo vedevamo rallegrarsi interiormente di quasi tutte le creature, così che, toccandole e mirandole, il suo spirito sembrava essere in cielo e non in terra.




La bellezza, dunque, per Francesco, non è altro che lo splendore che l’essere produce quando si svela all’uomo, lo splendore della verità delle cose nel suo comunicarsi, nel suo farsi presenza. Questo splendore ha il potere di colmare l’animo di colui cui appare con una sensazione di pienezza sovrabbondante, perché l’invisibile appare nel visibile, che non riesce a contenerlo.

 

Si tratta di una comunicazione diretta con il divino, che non è collocato in un mondo separato ma che si rivela al fondo delle cose:

 

Chi mai potrebbe esprimere il suo [di Francesco] grande trasporto verso tutte le cose che sono di Dio? Chi sarebbe in grado di raccontare la dolcezza che assaporava contemplando nelle creature la sapienza, la potenza, la bontà del Creatore? Veramente la loro vista lo riempiva di una straordinaria e indicibile gioia, quando osservava il sole, guardava la luna, fissava le stelle o il firmamento.

 



Francesco dice che la luna e le stelle, oltre che ‘belle’, sono anche ‘preziose’. In merito basti ricordare che abitualmente egli riserva questo aggettivo ai luoghi sacri (le chiese) e agli oggetti del culto.

 

Questo contatto con il divino racchiuso nel mondo rappresenta sicuramente l’impronta lasciata nella sua anima dalla bellezza del creato, così che il Celano può esclamare che lo stesso Francesco appariva ‘bello, splendido, glorioso’.

 

Poiché dallo stesso Celano e da altre fonti veniamo a sapere che fisicamente Francesco non era sicuramente bello, il fascino che gli era universalmente riconosciuto risiedeva forse proprio nell’essere diventato un corpo specchiante il divino incontrato nel fondo delle cose…




Il Cantico è, in qualche modo, la risposta gioiosa al richiamo del ‘nulla’.  Del ‘nulla’ inteso non in chiave nichilistica, ma come contenitore dell’essere, come la casa dell’essere.

 

Del ‘nulla’ dei significati e delle intenzioni di cui l’uomo spesso carica e riveste le sue azioni. Le cose nel Cantico sono invece considerate nella loro semplicità di cose, nella loro nudità di cose, di modi diversi e sempre inediti di esprimersi dell’essere in sé inenarrabile (nullo omo è digno te mentovare). 

(M. Bertin)















Altissimu, onnipotente, bon Signore,





tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.






Ad te solo, Altissimo, se konfano,

et nullu homo ène dignu te mentovare.






Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,






spetialmente messor lo frate sole,






lo qual’è iorno, et allumini noi per lui.






Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:






de te, Altissimo, porta significatione.






Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle:






in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.






Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento






et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,

per lo quale a le tue creature dài sustentamento.






Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua,

la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.





Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu,






per lo quale ennallumini la nocte:

ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.





Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra,






la quale ne sustenta et governa,

et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.





Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore

et sostengo infirmitate et tribulatione.





Beati quelli ke ’l sosterrano in pace,

ka da te, Altissimo, sirano incoronati.






Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale,

da la quale nullu homo vivente pò skappare:





guai a·cquelli ke morrano ne le peccata mortali;

beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,

ka la morte secunda no ’l farrà male.






Laudate e benedicete mi’ Signore et rengratiate

e serviateli cum grande humilitate.

(San Francesco)









 

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