Prosegue con:
la povertà e ricchezza
di questo mondo
Laudato sie, mi Signore, cun tutte le tue creature
Francesco
vuole lodare Dio con tutte le creature.
Assieme
a loro.
Si
mette sul loro stesso piano, condividendo con ciascuna di esse una condizione
di fratellanza in ragione della loro unica origine, della comune derivazione
dall’azione creatrice di Dio, Padre di tutti. Paternità che è origine, ma anche
e soprattutto appartenenza. Scrive Tommaso da Celano:
Era riempito di mirabile ineffabile gaudio, guardando con
meraviglia il sole, la luna, le stelle e il firmamento. Predicava certo ai
fiori, ai boschi, ai legni e alle pietre, come se fossero dotati di ragione.
Campi e vigne, ogni cosa bella dei campi, l’abbondanza d’acqua delle fonti, il
verdeggiare degli orti, la terra e il fuoco, l’aria e il vento ammoniva con
sincerissima purezza all’amore divino, esortava al lieto rispetto. Tutte le
creature infine chiamava con il nome di fratello a motivo dell’unico principio.
E ancora di lui si racconta:
In una circostanza, mentre attraversava con un altro frate le
paludi di Venezia, trovò una grandissima moltitudine di uccelli, che se ne
stavano sui rami a cantare. Come li vide, disse al compagno: “I fratelli
uccelli stanno lodando il loro Creatore, perciò andiamo in mezzo a loro a
recitare insieme le lodi del Signore” ’.
La
fratellanza universale è la dimensione fondante del francescanesimo. La
fratellanza di ognuno con tutti e con tutto. Su questa intuizione Francesco
modellò l’intera sua vita fin dal momento della conversione, quando,
riconsegnando al padre tutto quello che possedeva, compresi gli abiti che
indossava, nudo come in una nuova nascita, pronunciò davanti a tutti parole
incalcolabili:
Da ora in avanti non dirò più: padre mio Pietro di Bernardone, ma
Padre nostro che sei nei cieli.
Da quel momento farà uso delle categorie paterne solo per parlare del rapporto con Dio. La paternità universale di Dio Padre è il centro vitale di Francesco, da cui nasce appassionatamente ogni pensiero e ogni affetto.
Collocarsi
in un contesto di fratellanza universale comporta la distruzione di ogni
gerarchia secondo la quale l’uomo è stato solito concepire e catalogare gli
esseri. Comunemente essi venivano catalogati in ragione della loro diversa
partecipazione all’essere, in ragione della loro “perfezione”, come concepita
dall’uomo stesso, in un ordine che poneva nel gradino più basso il regno
minerale e, poi, a salire, progressivamente il regno vegetale e il regno
animale con al vertice l’uomo.
Sostituendo il principio della diversa partecipazione all’essere con il principio della “creaturalità”, e cioè del rapporto di ciascun essere con l’azione creatrice di Dio, per Francesco lo schema piramidale classico non ha più alcun senso. Cambia, infatti, completamente la prospettiva.
La
piramide, in base al principio della creaturalità, al limite, avrebbe dovuto
essere capovolta, ponendo al vertice il minerale, in quanto punto zero
dell’ente. Solo il minerale infatti mantiene intatto e manifesta con evidenza
il rapporto con Dio creatore in tutta la sua purezza e con l’immediatezza
originaria, non essendo offuscato da alcun filtro culturale o da qualsiasi
altra mediazione. Solo la pietra, tra gli esseri dell’universo, è rimasta
innocente nella sua nudità. Allora si capisce perché nella versione originaria
del Cantico, tra le creature, erano previsti soltanto esseri inanimati (il
sole, la luna, le stelle, l’acqua…).
E la stessa esistenza spogliata, l’esistenza nuda di Francesco nel suo rapporto con le cose, con il mondo, con la natura, con Dio, assume la concretezza e la libertà di un’esistenza minerale. Totalmente e direttamente aperta agli altri e all’Altro.
Una
seconda conseguenza di questa fratellanza universale fondata sulla comunità di
origine di tutto e di tutti è che ciascuno è chiamato ad essere se stesso. Ad
essere quello che è e nient’altro. La “creaturalità” esclude ogni alienazione e
ogni volontarismo. Le diverse forme di vita si rivelano, in tal modo,
incommensurabili. Gli esseri non possono venire valutati sulla base delle
strutture cognitive dell’uomo: ognuno esiste a modo suo e deve agire secondo la
sua propria natura. Francesco aveva compreso che l’uomo doveva abbandonare la
pretesa di proiettare la propria ombra sugli altri esseri del creato. E ne
aveva fatto una legge fondamentale della sua esistenza.
La nudità propria dell’esistenza minerale lo conduce al cuore dell’esistenza, allo svelamento dell’intimità, come l’ha chiamata Daniela Calabrò, per la quale intimità vuol dire ‘la possibilità di essere accolto e di accogliersi così come si è’.
spezialmente messer lo frate Sole,
lo quale è iorno, e allumini noi per lui.
Ed ello è bello e radiante cun grande splendore:
de te, Altissimo, porta significazione.
Tra tutte le creature che Francesco invita a lodare Dio assieme a lui, un posto privilegiato è assegnato a ‘messer lo frate Sole’, perché attraverso lui Dio illumina gli uomini e perché esso è immagine della stessa luce divina.
‘Diceva
che il sole è la più bella di tutte le creature’. E così, oltre che fratello,
lo chiama anche ‘messer’, e cioè “mio signore”, mettendo in evidenza la
posizione che occupa nel creato: esso è l’immagine del Padre, l’immagine della
potenza e della gratuità creatrice.
Lo
slittamento di senso dalla realtà fisica a quella spirituale o, meglio, la
sovrapposizione delle due dimensioni, è uno dei molti fraintendimenti in cui ci
imbattiamo nel nostro incontro con Francesco. Fraintendimenti da intendersi non
come equivoci, ma come passaggi che avvengono inavvertitamente da un
significato all’altro e che dilatano, arricchiscono e approfondiscono la
percezione della realtà.
Essi non confondono il pensiero; anzi, lo rendono più ricco e più chiaro, perché il peso delle parole non è esaurito dal loro senso più ovvio.
Ogni
significato spesso ne nasconde altri.
Ci
troviamo di fronte a un pensiero che nasce dal cuore e che prende il respiro
della poesia. Potremmo parlare anche di metafore, nel senso di immagini che ci
portano oltre se stesse, che ci conducono su un piano diverso della realtà,
senza tuttavia sottrarci o negare quello dell’immagine. Non si spiega
un’immagine riducendola alla sua componente empirica. Il sole con i suoi raggi
che cadono dall’alto illumina e feconda la terra, ma contemporaneamente è rappresentazione
di Dio che illumina la mente e il cuore dell’uomo: l’astro del giorno di Dio
porta “significazione”.
Francesco vede tutto in questa luce. Nel sole vede il Padre e il Creatore che abita una luce inaccessibile, luce alla cui luce tutto viene alla luce. L’unica condizione per vivere sensatamente è non rescindersi mai da questa sorgente.
La
luce del sole avvolge ogni cosa costituendola nella sua identità e nella sua
verità. Così la luce eterna avvolge di eternità l’uomo nudo e rivela la sua
verità. Nessuno può conoscere veramente se stesso se non in questa luce. Ma
anche ‘tutto ciò ch’è manifesto è luce’, come dice san Paolo nella sua Lettera
agli Efesini. Quando la creazione si offre nuda alla luce di Dio che la rende
interamente manifesta com’era nel primo giorno, allora essa è interamente luce.
In essa non c’è più alcun male.
Il Sole, “significazione” dell’Altissimo, è imparziale nella distribuzione della sua luce. Illumina ugualmente il buono e il malvagio. La sua “grazia” non viene donata al peccatore che si converte, in forza della sua conversione; il peccatore si converte per effetto della sua grazia, donata gratuitamente.
Francesco,
il quale, per la grave malattia agli occhi contratta in Egitto durante la sua
partecipazione alla quinta crociata, non sopporta la luce del giorno e la luce
del fuoco nella notte, canta la bellezza del sole e del fuoco. E ‘tenendo fisso
sempre l’occhio dell’intelligenza in quella somma luce, non solo conosceva
quello che doveva fare’, ma affondava la sua vista al di là del tempo, e ‘attingeva
dalla Parola increata ciò che riecheggiava nelle parole’.
Laudato si, mi Signore, per sora Luna e le Stelle:
in cielo l’hai formate clarite e preziose e belle.
Francesco qualifica la luna e le stelle come ‘belle’ e ‘preziose’. “Bello” è un aggettivo che nel Cantico ricorre tre volte e sempre legato a un essere luminoso: è bello il sole, sono belle la luna e le stelle, è bello il fuoco.
Che
cosa è la bellezza per Francesco?
Posto
che la bellezza è per definizione indicibile, Francesco la considera come la
presenza del divino nella materia. In essa prende forma il mistero, pur
restando mistero; prende forma l’inafferrabile, pur restando inafferrabile. È
il sempre più, il sempre oltre. Fa percepire una presenza che produce una
sensazione di stupore e di gioia, e che si traduce in un senso di eccedenza e
di pienezza dell’essere che Francesco avverte come pervasa dal Creatore.
Da essa nasce una specie di fame, una specie di desiderio che resta inappagato e inappagabile.
Se
la bellezza non può essere descritta, può tuttavia essere vissuta. Francesco la
vive soprattutto a contatto con la natura. Viene catturato dalla meraviglia
davanti allo spettacolo della natura, che indica come il suo “chiostro”. Prova
stupore per il cosmo, che lo fa vibrare nelle corde più profonde dell’anima e
lo mette in contatto con il divino:
Noi che siamo vissuti con lui, lo vedevamo rallegrarsi
interiormente di quasi tutte le creature, così che, toccandole e mirandole, il
suo spirito sembrava essere in cielo e non in terra.
La bellezza, dunque, per Francesco, non è altro che lo splendore che l’essere produce quando si svela all’uomo, lo splendore della verità delle cose nel suo comunicarsi, nel suo farsi presenza. Questo splendore ha il potere di colmare l’animo di colui cui appare con una sensazione di pienezza sovrabbondante, perché l’invisibile appare nel visibile, che non riesce a contenerlo.
Si
tratta di una comunicazione diretta con il divino, che non è collocato in un
mondo separato ma che si rivela al fondo delle cose:
Chi mai potrebbe esprimere il suo [di Francesco] grande trasporto
verso tutte le cose che sono di Dio? Chi sarebbe in grado di raccontare la
dolcezza che assaporava contemplando nelle creature la sapienza, la potenza, la
bontà del Creatore? Veramente la loro vista lo riempiva di una straordinaria e
indicibile gioia, quando osservava il sole, guardava la luna, fissava le stelle
o il firmamento.
Francesco dice che la luna e le stelle, oltre che ‘belle’, sono anche ‘preziose’. In merito basti ricordare che abitualmente egli riserva questo aggettivo ai luoghi sacri (le chiese) e agli oggetti del culto.
Questo
contatto con il divino racchiuso nel mondo rappresenta sicuramente l’impronta
lasciata nella sua anima dalla bellezza del creato, così che il Celano può
esclamare che lo stesso Francesco appariva ‘bello, splendido, glorioso’.
Poiché
dallo stesso Celano e da altre fonti veniamo a sapere che fisicamente Francesco
non era sicuramente bello, il fascino che gli era universalmente riconosciuto
risiedeva forse proprio nell’essere diventato un corpo specchiante il divino
incontrato nel fondo delle cose…
Il Cantico è, in qualche modo, la risposta gioiosa al richiamo del ‘nulla’. Del ‘nulla’ inteso non in chiave nichilistica, ma come contenitore dell’essere, come la casa dell’essere.
Del ‘nulla’ dei significati e delle intenzioni di cui l’uomo spesso carica e riveste le sue azioni. Le cose nel Cantico sono invece considerate nella loro semplicità di cose, nella loro nudità di cose, di modi diversi e sempre inediti di esprimersi dell’essere in sé inenarrabile (nullo omo è digno te mentovare).
(M. Bertin)
et nullu homo ène dignu te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature,
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.
et sostengo infirmitate et tribulatione.
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.
da la quale nullu homo vivente pò skappare:
beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.
e serviateli cum grande humilitate.
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