CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 1 settembre 2014

LE VIE DEI CANTI (3)












































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Frammenti di un sogno














‘Questa è l’Australia!’… gridò lei, e poi cadde la linea…
Fuori c’era un’afa tale che ritornai subito nella mia stanza; accesi il condizionatore e rimasi quasi tutto il giorno a leggere ‘Songs of Central Australia’ di Strehlow. Era un libro strambo, sconclusionato e incredibilmente lungo, e Strehlow, a detta di tutti, era un tipo strambo (forse un pazzo…) anche lui.
Il padre, Karl Strehlow, era il pastore della missione luterana di Hermannsburg, a ovest di Alice Springs. Faceva parte di un piccolo gruppo di ‘tedeschi buoni’ che, mettendo a disposizione un appezzamento di terra al riparo dai pericoli, aveva contribuito più di chiunque altro a salvare gli aborigeni dell’Australia centrale dall’estinzione per mano di gente di ceppo britannico.
Il gesto non li rese popolari. Durante la prima guerra mondiale, la stampa lanciò una campagna contro questo ‘nido di spie teutoniche’ e contro gli effetti perversi della ‘germanizzazione degli indigeni’.




Da bambino, Strehlow fu allattato da una balia aranda e crebbe parlando aranda correttamente. Più tardi quando si fu laureato, ritornò dalla ‘sua gente’ e per oltre trent’anni registrò pazientemente sui taccuini, nastri e pellicole le canzoni i ritmi e le cerimonie di un mondo che tramontava.
Furono i suoi amici aborigeni a chiederglielo, affinché i loro canti non morissero del tutto. Non c’è da stupirsi, vista la sua formazione, che Strehlow diventasse un personaggio contestato: era un autodidatta che agognava sia la solitudine che i riconoscimenti, un ‘idealista’ tedesco non in linea con gli ideali dell’Autralia. Il suo libro precedente, ‘Aranda Traditions’, dove si sviluppa la tesi che l’intelligenza dei ‘primitivi’ non era affatto inferiore a quella dell’uomo moderno, era in grande anticipo sui tempi. Il messaggio, che i lettori anglosassoni recepirono in minima parte, fu invece raccolto da Lévi-Strauss che incluse le intuizioni di Strehlow nel ‘Pensiero selvaggio’.




Poi, già in età matura, Strehlow puntò tutto su un’idea grandiosa. Voleva dimostrare che ogni aspetto del canto aborigeno aveva il suo corrispettivo in ebraico, in greco antico, in norvegese antico e in inglese antico: le letterature che noi riconosciamo come nostre. Aveva capito il nesso fra il canto e la terra e voleva trovare nel canto, andandone alle radici, la chiave per svelare i misteri della condizione umana. 
Era un’impresa impossibile, e nessuno lo ringraziò per la sua fatica. Quando nel 1971 pubblicò i ‘Songs’, una cavillosa recensione del ‘Times Literary Supplement’ lasciò intendere che l’autore avrebbe dovuto astenersi dal divulgare la sua ‘grandiosa teoria poetica’. Strehlow ne fu sconvolto, come lo fu degli attacchi degli ‘attivisti’ che lo accusarono di aver distorto gli ‘antichi canti-eretici’ agli Anziani ingenui e fiduciosi con l’intento di pubblicarli (in realtà furono proprio quegli Eretici a chiedere di conservarne e preservarne la memoria…). 



 
Strehlow morì alla sua scrivania nel 1978; era un uomo distrutto (… e calunniato per pazzo…); egli fu, in realtà, un pensatore molto originale, i suoi sono libri grandi e solitari.
… Alan fissava il fuoco, assolutamente immobile…. Aveva la pelle luccicante, molto tesa sugli zigomi. Poi fece un cenno, piegando quasi impercettibilmente il capo, all’uomo in celeste che si alzò e cominciò a mimare i viaggi dell’Antenato Lucertola (parente del Grande Serpente). Il canto era la storia della lucertola e della sua bella e giovane moglie: dal nord dell’Australia erano arrivati a piedi al mare meridionale e lì un abitante del sud aveva sedotto la moglie e rispedito lui a casa con una sostituta. 
Non so di quale genere di sauri si trattasse, se fosse uno di quelli grossi, muniti di creste e spine, o barbuti, oppure di quelli rugosi, con l’occhio cattivo e il collo grinzoso. 
















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