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Il custode delle Anime (33/34)
Prosegue in:
Fors'anche (solo) taciute (36)
…Gli alberi sono
santuari…
Chi sa parlare con
loro, chi sa ascoltarli, percepisce la verità.
Essi non predicano
dottrine e ricette ma predicano, noncuranti del particolare, la legge
primordiale della vita...
Un albero parla: in me
si cela un granello, una scintilla, un pensiero, io sono vita della vita
eterna. Unico è il tentativo e il parto che l’eterna madre ha osato con me,
unica la mia figura e la nervatura della mia pelle, unico il gioco di foglie
della mia vetta e la più minuscola ferita della mia corteccia. Il mio compito è
rappresentare e significare l’eterno nell’intarsio dell’unicità.
Un albero parla: la mia
forza è la fede...
Io non so niente dei
miei padri, non so niente dei mille figli che ogni anno da me si generano. Io
vivo sino in fondo il mistero del mio seme, di nient’altro mi preoccupo.
Ho fede che Dio è in
me.
Ho fede che il mio
compito è sacro.
Di questa fede io vivo.
Quando siamo tristi e
non riusciamo più a sopportare la vita, allora un albero può parlarci:
Fa silenzio! Guarda me!
Vivere non è facile, vivere non è difficile…
(H. Hesse, Alberi,
Storie di vagabondaggio)
Così
nell’interrogativo dall’uomo a dio posto - dio o uomo che sia -, chiedo al
principio che in ognuno dimora, chi sono questi Spiriti che vagano come onde
narrare le ère trascorse. Chi questi esseri vivi e invisibili al Sentiero
dell’opera magnifica comporre siffatta splendida Rima, non certo la mia. Sua,
l’infinita Poesia, mi suggerisce foglia e Parola, eterna Anima risorta alla luce di quanto Creato…
Nel
verbo ove contemplo e prego Dio, la verità per sempre taciuta narrare il
Sentiero della Vita: avversa alla materia (ora) compongo e dipingo il quadro,
vista del tuo occhio compiuto… Ciò che vedi e non intendi compone solo
l’intento incompiuto controllato dal piatto schermo evoluto, la ‘parabola’ cui
affidi il sogno sognato alla materia della vita incapace di vedere l’opera
prima.
Nel
Sentiero di questo esilio, la domanda si fa più compiuta di prima, e là dove
poggio l’occhio dell’Eterna Memoria scopro il segreto della vita muto alla
parola. Là dove prego e dipingo Dio nell’opera della Natura risorta, il quadro
si forma alla segreta mia vista, per ricomporsi più bello di prima.
Così
parla il ‘Dio prima di Dio’, indica la via in apparenza smarrita, dona coraggio
e preghiera, ad annunciare nel quadro dipinto all’alba di una eterna mattina la
sua risposta: prosegui il cammino perché il sentiero non hai smarrito, è nato
l’uomo non certo lo Spirito avverso al sogno compiuto. Anch’io fui inchiodato
una mattina, trascinato al rogo della vita da chi nella materia cerca il calore
della vita. Da chi bracca ogni Anima perseguitare la vita. Da chi caccia ogni
parola per il trofeo che sfama ed orna la sua dimora. Ugual gente mi insultava
e calunniava nella stessa via.
Poi
come un raggio di verità nella legge nel tempio evoluta, la legge di un dio non
conforme alla vita pensata e cresciuta, terminai la parabola dell’eterna Parola
al Teschio della tortura. Ciò che per il vero appare quale pazzia, è via e
vita, scoperta e indagata una mattina per l’intero sentiero dell’infinita
venuta.
Chi
pone questa regola, vedrà comporsi e dispiegarsi la domanda ossessione di una e
più vite. I sentieri percorsi furono tanti, narrarli o descriverli non basta un
Universo, come non sufficiente una sola dalla
Dimensione vissuta… svelare la vita.
Da
quello… neppure Dio… se è per questo.
Così
quando preghi la vita, senza nome o dio. Quando preghi la Natura taciuta, io
osservo l’opera compiuta, e seguo la tua via. Ciò che tutto intorno appare, è
quanto dall’uomo nato studiato sfruttato e dominato, in verità, a te dico, vi è
un altro Universo invisibile al loro secondo Dio. Un altro Universo ove
ciascuna vita vissuta compiere il ciclo dell’eterna venuta…
Lo
Spirito cui composta la Luce Divina parte dell’opera compiuta, disceso entro la
materia, eterno questo sentiero, fors’anche prigione, perché se pur bella la
foglia che preghi comporre l’albero della vita, prigioniera del Tempo ciclo
della Natura. Prigioniera anche lei di un destino compiuto, se dona elemento,
se orna la vita, sempre nel corpo della materia evoluta…, ed in lei compone
l’opera di cui linfa taciuta…
...Quel ponte
sospeso nell’attimo di raccoglimento quale visione dell’opera e nella parola
non scritta, ne supera in verità la sostanza. Perché non si attiene ad essa, ma
da essa ne prende linfa per uno slancio nuovo che produce energia essenziale
per assaporare la vita nell’incessante suo procedere posta nel ciclo costante
fra la nascita e la morte.
Così mi
accingo alla costruzione di questa scala che pongo nell’insieme, al di sopra di
esso mi elevo per superare la stretta via del programmato, organizzato,
strutturato. La costruisco con sapiente maestria, e non cerco quell’ispirazione
verso l’alto inteso come superiore, ma elevazione morale e non erudizione bensì
intuizione. Che no, non è linguaggio misurato, scrutato, controllato,
elaborato, per divenire geroglifico d’incomprensione, ma istinto mutato in esperienza già vissuta. Lingua già
parlata, sé pensante e quantificabile nella sua evoluzione. Sé assumere
coscienza di ciò che era e non ricorda. Questo ricordo indago, un sogno perso
in una visione mistica verso il nostro passato troppo spesso confuso barattato
venduto per altro, cerco correggo ed interpreto.
Una semplice
opera di ‘metafisica’, in quanto essa supera per sua volontà le leggi della
fisica e della natura così come ci appare. Cerco in questo sforzo di sollevarmi
da ciò che per nostra natura ‘pensiamo’ conoscere o scrutare. Pongo delle
ragioni di dubbio che risiedono nel fondamento dell’ispirazione. Quando pongo
nel buio dei vostri perché questa scala, la mia ispirazione non è sollevarmi al
di sopra degli uomini per raggiungere simmetrica sostanza dell’infinito, bensì,
sollevarmi dall’immensità del conosciuto o del mistero, verso ciò che prescinde
dall’essenza del materiale con cui per millenni è stata costruita, con ugual
volontà con cui mi accingo per la stessa opera (e se nel paradosso di cotal volontà
manifesta approdo, in assenza di tempo, alla prima negazione detta, allora ho
pur perseguito Infinito intento e creato Spazio e Tempo nella mistica
contemplativa d’una negazione la quale negando se stessa divenire affermazione
prescindendo così dalla volontà con cui per secoli cotal ‘scala’ pensata e
costruita, liberato cioè da qual si voglia manifesta ortodossa pretesa di cui
Eckhart eretico maestro…).
Quando ci
rivolgiamo alle ragioni della fisica con tutte le sue teorie, occorre questo
sforzo intellettivo per elevarsi alla concezione reale di una probabile
creazione e al suo motivo. Quando mi accingo allo sforzo culturale di
immaginare l’Universo secondo le ultime
teorie della fisica, attenendomi alla teoria delle stringhe fino alle più
recenti definizioni circa la materia scura, deve compiere questo sforzo
intellettivo: assimilazione e astrazione.
Innalzo questa
scala composta con tutti gli scalini del nostro sapere, ma prescindendo
innanzitutto da essi, per sollevarmi a nuove e più probabili affermazioni di
verità. Attraverso lo spazio tridimensionale, apro più certe dimensioni sulla consistenza
dell’inizio e successiva fine, come il presente scritto attraverso più
dimensioni di altri scritti, cercherà di fare.
Fra l’inizio e
la fine ci sono dei perché, come punteggiature e virgole all’interno di un disquisire. Più di certi
punti esclamativi, riduttivi e ripetitivi nella loro bellica chiassosità.
Mentre coloro che si soffermano su degli stili di vita e modellano grazie ad
essi tutta la loro materiale esistenza, non convergono a degli interrogativi,
bensì a delle pause più o meno lunghe negli intermezzi della frase, del
discorso, nell’opera che si accingono compiere ogni giorno fra l’inizio e la
certa fine nella grammatica della vita. Si soffermano, illusi di procedere,
senza proseguire nel cammino, non compiono sforzi intellettivi e interpretativi
per andare alla fonte della retta la quale da
- A - tenta e striscia verso - B - e successivamente camminare e volare da
- B - e poi ancora procedere all’uso costante di una e più possibili
grammatiche dal pensiero evolute sino alla parola e questa ad una probabile
scrittura consequenziale e connessa nell’intero suo svolgere non esulando da
nessuna condizione posta… Così come la foglia ed il suo ramo e questo
all’albero dalla radice cui nasce e l’uomo raccoglierne il frutto ben maturo
che non sia una mela nell’errata grammatica nella genesi della vita bensì
pensiero evoluto all’ombra di uno o più universi nati nella corretta
comprensione e successivo stupore nella
parola… celebrato…
Si
sottomettono poi, senza mettersi in discussione in improbabili voli di
costruzioni infinite, al pari, pensano, del nuovo mondo virtuale, da questo
traggono giovamento per la propria esistenza e quella degli altri. Così l’economia
del mondo. La nuova lingua: uguaglianza, emancipazione, moda, e dicono anche
progresso e libertà. Non si accorgono invece di essere fermi in interminabili
pause storiche che con il loro operato tendono a ricomporre con uguale
precisione sottoposte all’intervento grottesco di più punti interrogativi ed
esclamativi. Quante volte sottoponendoci alla umiliante visione (per l’essere
umano evoluto) delle notizie che ogni giorno ci arrivano a conferma di questa
teoria, ci accorgiamo che le pause di punteggiature e virgole scandirne il
tempo, tendono ad essere costanti insormontabili per il giusto progredire
dell’essere umano. E tutti coloro che si dilettano in questo modo a concepire
la grammatica della nostra esistenza, ne rallentano in verità la vera ascesa.
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