CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 5 ottobre 2019

IL LIBRO SCOMPARSO (5)




















Precedenti capitoli:

Rimembrando ghiaccio e ma(s)so (4/3)

Prosegue nel...:

Il libro scomparso (6)













Le guide del Secolo scorso, loro malgrado, erano certamente nobili pionieri, pionieri, cioè, privati dell’intento simmetrico e/o affine al ‘colono’ il quale in ugual medesimo gesto (di pretesa conquista) e avventura, certamente aspira anch’egli - ieri come negli odierni tempi, a similar Vetta...  




James Bridger nacque nel 1804 a Richmond, in Virginia, ma quando era ancora bambino la sua famiglia si trasferì nei dintorni di St. Louis dove, nel 1822, venne a sapere che William Ashley stava cercando un centinaio di ‘uomini intraprendenti per risalire il fiume Missouri fino alla sorgente. Il viaggio sarebbe durato uno, due o tre anni’. Nonostante Bridger avesse solo diciotto anni, aveva già lavorato come fabbro; al socio Ashley, Andrew Henry, lo sguardo di quel giovanotto alto piacque così tanto che fu subito arruolato. Thomas Fitzpatrick, Jedediah Smith, Jim Clyman e Bill Sublette, tutti uomini destinati a diventare famosi ‘montanari’. Alla foce dello Yellowstone, nel cuore della terra dei castori, costruirono Fort Henry, e Jim Bridger si trovò a trascinare pesanti trappole di ferro per tutta la montagna. Imparò che un vero cacciatore di castori deve guadare le acque ghiacciate del fiume per chilometri per non lasciar traccia del suo odore e che l’esca migliore è un fascio di ramoscelli unti con l’olio estratto da una ghiandola del castoro. Imparò che i Piedi Neri reclamavano la proprietà della terra dei castori e facevano del loro meglio per uccidere tutti gli intrusi. Scoprì che le tribù un giorno potevano essere amiche e il giorno dopo nemiche e dopo il primo scontro con gli indiani Arickaree capì che nessun uomo bianco poteva sopravvivere in quella terra ostile senza sapere tutto ciò che gli indiani sapevano, se non di più.




Nei primi due anni passati con i cacciatori, Jim Bridger studiò le abitudini degli indiani proprio come gli uomini bianchi studiavano i libri. Imparò a interpretare il significato di una foglia orientata in un certo modo, di un ramoscello spezzato e del volo improvviso di uno stormo di uccelli. Si concentrò sulla terra, sui rilievi, sulle vallate, sui corsi d’acqua e sulle foreste. Gli esploratori che viaggiavano più tardi con lui lo descrissero come un atlante ambulante delle Montagne Rocciose. ‘Tutto il West era inciso nella sua mente’ disse il generale Grenville Dodge... ‘e il suo senso dell’orientamento s’era così affinato che riusciva a capire qual era la strada giusta prima ancora di vederla’. Nell’inverno 1824-25, Bridger rimase bloccato insieme ad altri compagni in un canyon sul fiume Bear. Nessuno capiva in quale direzione scorresse il fiume, se le sue rapide turbolente portassero verso nord, est, sud o ovest. Tali quesiti geografici affascinavano Bridger che decise di esplorare il corso d’acqua. Non ancora ventunenne, si mise al lavoro per costruire una piroga inaffondabile con tronchi di salice e pelle di montone, il tutto sigillato con del sego. Con difficoltà riuscì a navigare per il primo tratto del canyon, poi raggiunse un punto in cui le acque erano più calme e avvistò un lago in lontananza, provando così che il fiume Bear scorreva verso sud e, allo stesso tempo, facendo un’altra importante scoperta: il Grande Lago Salato. 




Insieme ad altri montanari, Bridger stabilì quale doveva essere il ciclo della produzione delle pellicce. In autunno i cacciatori si dividevano in gruppi che si dirigevano ognuno verso uno dei territori di caccia preferiti dagli indiani e quando arrivava l’inverno si riunivano tutti in punto prestabilito, dove allestivano l'accampamento. In primavera, poi, riprendevano a cacciare e in estate si riunivano nuovamente. All’inizio gli incontri servivano per consegnare le pellicce accumulate durante l’anno e spedirle a St. Louis. Man mano che passava il tempo, centinaia di indiani si unirono al commercio delle pellicce e attorno al 1830 le riunioni annuali diventarono delle vere feste con gare di tiro a segno, corse di cavalli, bische e ragazze indiane da corteggiare (la cosa non durò a lungo). Nel 1830 Bridger e quattro suoi compagni unirono i loro risparmi, assunsero dei dipendenti e fondarono la ‘Rocky Mountain Fur Company’. Speravano di diventare ricchi come Ashley & Henry, ma i guai li attendevano dietro l’angolo. ...Finite le aggressioni e abbandonati i sogni di grandezza, Bridger tornò a godersi la vita. Sposò la figlia di un capo indiano Flathead e fece un viaggio a St. Louis per rivedere un po’ di civiltà. Fu in quell’occasione che incontrò un eccentrico nobil-uomo scozzese, William Drummond Stewart, il quale rimase affascinato da quell’onesto montanaro sicuro di sé. Anche Bridger rimase colpito da Stewart, che trovò un perfetto credulone per le storie che inventava e un eccellente vittima dei suoi scherzi. Jim Bridger, però non aveva nessuna intenzione di tornare al mondo civile. Accortosi che sempre più gente emigrava verso le terre dell’Oregon, giunse alla conclusione che avrebbe potuto fare affari d’oro aprendo stazioni di ristoro lungo la strada percorsa da carovane, dove la gente avrebbe potuto riposare, rifornirsi di cibo, sistemare gli zoccoli ai cavalli e riparare tende e carri...


 …Uniti se pur divisi nella sostanziale e fondamentale differenza, dei primi che tentando l’impossibile anche in ciò che loro malgrado sarebbe divenuta un’ottima palestra, o ancor peggio, un ‘luna-park’ da futuri turisti (o coloni) affollato non meno che edificato, aspiravano e condividevano quindi approdavano ad un Sentimento certamente elevato…  




Lei l’aveva conosciuto bene, essendo nata nell’Ottocento. Da bambina andava a ravvivere la moglie e i figli furono costretti a vendere quel poco che era rimasto e ad affidarsi alla solidarietà della gente. Per questo, di Mattia Zurbriggen non è rimasta una buona fama e nessuna delle tante reliquie delle sue spedizioni. Al piccolo borgo, gli anziani e forse anche i giovani..., non l’hanno mai perdonato... Sono nato il 15 maggio 1856 a Saas-Fee nel Canton Vallese, in Svizzera. Mio padre si chiamava Lorenz, e di mestiere faceva il ciabattino; mia madre era Veronica del Prato, di Stalden. Poiché Saas è situata vicino a Macugnaga, dove l’industria si era notevolmente sviluppata grazie alle miniere di Pestarena, mio padre era solito recarsi durante l’estate in quest’ultimo villaggio nella speranza di ottenere un lavoro più continuativo per provvedere meglio alle necessità della sua famiglia, composta da sette figli. Alla fine egli prese la saggia decisione di spostare là il nucleo familiare e così, all’età di due anni, mi fu fatto attraversare il Monte Moro alla volta di Macugnaga. Con il passare del tempo, tuttavia, i guadagni di mio padre divennero insufficienti a mantenere la prole. Tentato dalla prospettiva di un salario più consistente, egli decise allora di diventare minatore. Trascorsi non molti anni, rimase però vittima di un incidente: venne colpito da alcuni massi e quaranta giorni dopo rese l’anima al Dio che gliela aveva data. Le difficoltà e la miseria della famiglia - che ben si possono immaginare - non fecero che accrescersi. Allora io avevo appena cinque -anni e mio fratello maggiore era soltanto tredicenne. Non potevamo sperare nell’aiuto dei nostri parenti, poiché non eravamo in rapporti con loro. Ma il buon Dio, che mai abbandona i suoi, provvide misericordiosamente a 




tutte le nostre necessità. Quella povera donna di mia madre non si risparmiò nel fare tutto il possibile per i figli e faticò continuamente per il nostro bene. Quando fummo in grado di aiutarla, ci facemmo carico del bestiame dei vicini per la modesta paga di 40 centesimi. Incominciai così a viaggiare nella speranza di trovare qualche impiego, però ero troppo giovane per avere possibilità di successo. Nel frattempo il poco denaro che avevo in tasca si esaurì in fretta. Quanto si deprime un essere umano in tal frangente! Mi recai a Sierre e fui ingaggiato per accudire i cavalli e i muli all’Hotel Girol, dove stetti diversi mesi. Ma una simile occupazione poco si confaceva alle mie aspirazioni; per di più non mettevo da parte proprio nulla e mi trovavo costantemente sprovvisto di mezzi. Tuttavia in quel periodo imparai il francese e quando mi imbattei in alcuni lavoranti delle miniere d’argento e rame di Chandolin, in Val d’Anniviers - gestite da una compagnia tedesca -, decisi di recarmi sul luogo. Là fui assunto negli impianti di fusione con il compito di assistere i fabbri e trasportare il metallo per gli operai. Trascorso qualche mese mi fu consentito di lavorare come… minatore…



Anche se l’annoverare un Grado una Parete un Sasso una Roccia un Ghiacciaio con relativo Crepaccio o solo una (futura) Via nuova su cui porre staccionata piede piccozza e corda, con o senza chiodo con o senza recinto, mutare il proprio ed altrui destino e riempire scaffali e manuali di medesimi valorosi nel circo - e non più circolo - dell’acrobatico evento comune al senso e dovere archivistico della Storia, la differenza nel destino detto comporre paragone con cui misurare ugual Cima e Terra nel saperla coniugare e rendere fertile non men che conquistare ‘piegare’, e renderla di conseguenza, affine allo spirito (materiale o spirituale) della ‘conquista’ dei propri interessi… E con cui medesima prospettiva si affina al senso della dovuta ‘cima’ di ugual ‘navigazione’ nel mare della Vita risolvere e riflettere differenti condizioni con cui porsi con l’oggetto della propria morale non men che etica di Vita…

Riflettendo l’uomo…

Il che talvolta può far sorridere nei dettagli in cui ogni Via con relativa Cima (e riva) enunciata e di conseguenza aperta (e combattuta) oltre che alla dovuta conquista appartiene anche alla genesi e genealogia nella celebrata gloria d’un futuro nascituro comporre articolata (o al contrario inarticolata) ‘lingua’, e non volendo, (presunto) ‘dovuto’ traguardo…  




Nessun commento:

Posta un commento