CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 3 gennaio 2020

IL RACCONTO DEL PINO (in nome e per conto della pace... e Dio...) (4)





























Precedenti capitoli:
















Il racconto del cedro (3/1)


Prosegue nel...
























Silenzio Bianco ovvero: che la Pace regni in questo e qualsiasi altro mondo! (5)
















‘Carmen non dura più di un paio di giorni’.

Mason sputò un pezzo di ghiaccio guardando con tristezza la povera bestia, poi mise la zampa in bocca e riprese a mordicchiare il ghiaccio incastrato crudelmente tra le dita.

‘Non ho mai visto un cane con un nome altisonante che valesse un fico secco’,

…disse terminando l’operazione e spingendo la bestia da un lato.

‘Si sfanno e muoiono sotto il peso della responsabilità. Ti è mai capitato di avere grane da uno con un nome decente come Cassiar, Siwash o Husky? Nossignore! Guarda Shookum, qua, e... oplà!’.




Lo sparuto animale fece un balzo, e i suoi denti bianchi mancarono per un pelo la gola di Mason.

‘Ah sì, eh?’

Un violento colpo assestato in mezzo alle orecchie con l’estremità della frusta mandò l’animale disteso sulla neve, tutto tremolante, una bava gialla alla bocca…

 ‘Dicevo, guarda Shookum, qua, lui sì che è un duro. Scommetto che si mangia Carmen nel giro di una settimana’.

‘Io, invece scommetto un’altra cosa’,

…replicò Malemute Kid rivoltando il pane ghiacciato, posato davanti al fuoco a scongelarsi.

‘Ci mangeremo Shookum prima della fine del viaggio. Che ne dici Ruth?’.




La giovane indiana sistemò la caffetteria sopra un pezzo di ghiaccio, volse lo sguardo da Malemute Kid a suo marito, poi ai cani, ma preferì non rispondere. Era talmente ovvio, che una risposta non era necessaria: trecento chilometri di terreno vergine davanti, con sei giorni scarsi di provviste per loro e niente peri cani, non lasciavano alternative.

I due uomini e la donna si strinsero intorno al fuoco e dettero inizio al magro pasto. I cani erano rimasti attaccati alla slitta, poiché si trattava di una sosta nel corso della giornata, e guardavano con invidia ogni boccone.

‘Non avremo più pranzi dopo questo di oggi’,

…disse Malemute Kid.




‘E dobbiamo sorvegliare bene i cani, stanno diventando cattivi. Non ci mettono molto, se gli capita l’occasione, a fare fuori uno di noi. E dire che sono stato presidente a Epsworth e ho insegnato nella scuola domenicale’.

Pronunciata questa frase del tutto irrilevante, Mason cadde in sognante contemplazione dei suoi mocassini fumanti, ma fu risvegliato da Ruth che gli stava riempendo la tazza.

‘Grazie a Dio abbiamo tonnellate di tè! L’ho visto crescere, giù in Tennessee! Che cosa non darei per avere adesso una bella torta calda di granturco! Non ti preoccupare, Ruth: non digiunerai ancora per molto, né porterai a lungo i mocassini’.




A queste parole il volto della donna si rischiarò e gli occhi le brillarono per il suo signore bianco, il primo uomo bianco che avesse conosciuto e il primo uomo che avesse visto trattare una donna come qualcosa di meglio di un semplice animale o di una bestia da soma.

‘Sì, Ruth’,

…proseguì il marito, ricorrendo allo speciale linguaggio approssimativo che usava con lei…

‘aspetta che arriviamo al ‘fuori’, prenderemo la canoa dell’Uomo Bianco e attraverseremo l’acqua salata. Sì, l’acqua cattiva, acqua agitata, grandi montagne ballano su e giù tutto il tempo. E tanto grandi, lontane lontane: si viaggia dieci sonni, venti sonni, quaranta sonni, - enumerò i giorni sulle dita -, tutto il tempo acqua, acqua cattiva. Poi si arriva al grande villaggio, tanta gente quante le zanzare dell’estate prossima. Wigwams alte, oh! dieci, venti pini, Hi-yu-Skookum’.




Gli mancarono le parole, lanciò un’occhiata implorante a Malamute Kid, faticosamente, col linguaggio dei segni pose uno sull’altro i venti pini.

Malamute Kid sorrise con gaio cinismo; ma gli occhi di Ruth erano spalancati di meraviglia e di piacere; credeva quasi che stesse scherzando, e una tale condiscenza rallegrava il cuore della povera donna.

‘E poi si entra in una... in una scatola, e op! si sale’;

...lanciò in aria una tazza vuota per illustrare il concetto e, riafferrandola con destrezza, continuò:

‘E poi, paf, giù di nuovo. Oh, i grandi stregoni! Tu vai a Fort Yukon, io vado ad Arctic City - venticinque sonni  grande filo, tutto il tempo io prendo il filo - dico pronto, Ruth, come stai? e tu dici, - sei tu il mio buon marito?  - e io dico sì, e tu dici, - non posso fare buon pane, non c’è più lievito - e allora io dico - guarda nella dispensa, sotto il pavimento; ciao - . Tu guardi e trovi un mucchio di lievito. Tutto il tempo tu Fort Yukon, io Arctic City. Oh, i grandi stregoni!




…Ruth sorrise così ingenuamente alla storia fiabesca che i due uomini scoppiarono a ridere…

Una lite fra i cani pose fine alle meraviglie del ‘Fuori’, e quando i combattenti ringhiosi furono separati lei aveva già legato le slitte e tutto era pronto per il viaggio.

‘Forza! Baldy! Avanti, Mush!’.

Mason lavorava abilmente di frusta e, mentre i cani mugolavano a testa bassa nei finimenti, mise in moto con una spinta la slitta di testa. Ruth seguiva con la seconda muta lasciando alla retroguardia Malemute Kid che l’aveva aiutata a partire. Era un omone robusto, capace di far stramazzare un bue con un sol colpo, ma non aveva il coraggio di frustare i poveri cani.... era indulgente con essi come raramente è un guidatore di slitte; quasi piangeva assieme a loro la misera situazione.

‘Andiamo, forza, mie povere bestie dalle zampe dolenti!’,




…mormorò, dopo moltissimi tentativi di avviare il carico. Ma la sua pazienza fu alla fine ricompensata, e, pur guaendo di dolore, i cani si affrettarono verso i loro compagni.

Non più conversazione; la durezza della pista non permetterà un tale diversivo. E di tutte le fatiche più estenuanti, quella delle piste nelle terre del Nord è la peggiore. Beato colui che può superare una giornata di viaggio, sia pure su una  pista già battuta, al solo prezzo del silenzio. E tra le fatiche che spezzano la forza di un uomo, quella di aprirsi una pista è la peggiore.

A ogni passo la grande racchetta sprofonda finché la neve è al livello delle ginocchia. La racchetta va poi tirata su, ancora più su, dritta; la deviazione di un paio di centimetri può causare un disastro; la racchettava tirata su fino a sfiorare la superficie, poi portata in avanti e affondata di nuovo, dopodiché l’altro piede può avanzare di mezzo metro.




Chi prova questo esercizio per la prima volta, seppure riesce a non accavallare le racchette e a non cadere disteso sulla pista, rinuncerà esausto dopo cento metri. Uno che riesce a non intralciare l’avanzata dei cani per una giornata intera ha ben diritto di infilarsi nel suo sacco a pelo con la coscienza a posto e un orgoglio difficilmente immaginabile; e chi viaggia per venti sonni sulla ‘Lunga Pista’ è un uomo che gli Dèi possono invidiare.

Il pomeriggio passava e sotto l’incubo del ‘Silenzio Bianco’. I taciti viaggiatori si piegavano alla loro fatica. La Natura ha molti espedienti per convincere l’uomo dei suoi limiti: l’incessante scorrere delle correnti, la furia dei temporali, il sussulto del terremoto, il lungo rullio dell’artiglieria, ma il più tremendo, il più sconvolgente è la passività del ‘Silenzio Bianco’.




Ogni movimento cessa: il cielo è limpido, l’aria tersa, il più lieve bisbiglio sembra sacrilegio, e l’uomo diventa timido, terrorizzato al suono della propria voce. Unica particella di vita in movimento attraverso le spettrali distese di un mondo morto, egli trema di fronte alla sua audacia, capisce di essere un verme, e nulla più.

Inusitati pensieri si affacciano alla mente non chiamati, e il mistero di tutto il Creato lotta per esprimersi. La paura della morte, di Dio, dell’Universo lo assale, la speranza della Resurrezione e della Vita, l’anelito all’immortalità, il vano sforzo dell’essenza imprigionata, è allora, se mai, che l’uomo cammina…




Solo.... con Dio....

Sì!

Solo!

…E con Dio!

Così trascorse il giorno.












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