CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

giovedì 15 maggio 2025

A CROSS (9)

 








Di passaggio conferite 

 

(senza merito) 

 

da precedenti Visioni 

 

non autorizzate 

 

da apposito 

 

'atto notarile'


  







Abbiamo visto stormi di Casarca rossa volare verso le miriadi di zone umide del Ladakh orientale. Abbiamo visto fringuelli delle nevi tibetani nutrirsi a 6000 metri. Studi di telemetria hanno anche dimostrato che oche testa di barra e aquile delle steppe volano oltre i 7000 metri sull’Himalaya.

 

Sì, in effetti, gli uccelli possono raggiungere altitudini incredibili, così elevate che i primi osservatori avanzarono l’idea che salissero così in alto da non poter più volare (ma divenire un tutt’Uno con l’Anima Mundi della Grande Madre solo per dimostrare quanto sia elevato il suo Spirito e quanto meschina la misera umana natura appena intravista…): quando nel 1827 il quacchero americano Joziah Harlan guidò un esercito afghano attraverso l’Hindu Kush in quello che oggi è il Turkmenistan, osservò ‘cicogne che camminavano sui passi’ perché presumibilmente questi passi erano troppo alti perché le cicogne potessero attraversarli in volo, e derivò l’antico nome greco ‘petiamplus’ per quello che oggi chiamiamo l’Hindu Kush (‘uccisore di indiani’) dal persiano ‘petipluampus’, che significa (‘secondo Harlan’) ‘vette sopra le quali le aquile non possono librarsi’.

 

Quanto è alto in realtà ‘alto’?




Non è facile rispondere a questa domanda, ma è importante dare al lettore un’idea di queste incredibili altitudini: uno dei villaggi abitati stabilmente più in alto è Kibber, nel distretto di Lahul-Spiti, a 4200 m slm. Probabilmente l’accampamento permanente di pastori più in alto si trova vicino a Kibber, a 5200 m (il capofamiglia aveva otto figli viventi, di cui uno viveva in Germania, uno in Giappone e uno a Nuova Delhi quando lo abbiamo intervistato). A questa altitudine, la pressione parziale dell’ossigeno è solo circa il 55% di quella a livello del mare. Ancora più significativo, forse, è il fatto che, sebbene il sangue arterioso umano contenga ancora ossigeno, a questa altitudine la saturazione di ossigeno del sangue venoso raggiunge solo il 30%.




Nel perpetuo stato di semi-guerra tra Pakistan e India, le truppe su entrambi i lati della frontiera cercano di occupare postazioni permanenti sempre più elevate per dare ai loro obici il vantaggio, ma i soldati hanno scoperto - a caro prezzo - che né indiani né pakistani possono vivere più di circa sei settimane in accampamenti più alti di circa 5200 m slm, ma la barriera alla migrazione degli uccelli è più alta e si estende fino al ghiaccio eterno, che inizia qui a circa 6000 m. Più si sale in queste montagne, più breve è la finestra di opportunità per trovare cibo; nei luoghi più bassi la stagione di crescita per le piante è ancora di circa cinque mesi a 3000 m slm, ma a 5500 m questa si riduce a un solo mese…

 

Noi, i curatori, siamo rimasti colpiti da stupore ogni volta che abbiamo osservato questi uccelli compiere imprese pressoché impossibili, e da questo stupore è nato il nostro desiderio di descrivere meglio quella che forse è un’impresa ben più grande della descritta migrazione annuale di zebre e gnu sul Serengeti o della migrazione delle sardine lungo la Costa Selvaggia del Sudafrica.




Prima della comparsa dell’Himalaya, gli antenati degli uccelli odierni potrebbero aver attraversato il Mare della Tetide per raggiungere le aree di svernamento sull’Isola Indiana, che all’epoca si stava spostando verso nord. La migrazione deve essere diventata più facile man mano che l’isola si avvicinava alla massa continentale eurasiatica. Una volta che la placca indiana entrò in collisione con la placca eurasiatica, circa 45 milioni di anni fa, l’Altopiano del Tibet e l’Himalaya si sollevarono, creando la più imponente barriera fisica al mondo per gli uccelli migratori odierni, gli uccelli hanno compiuto questo viaggio epico probabilmente per decine di milioni di anni, come accennato in precedenza, e apparentemente si sono adattati con la crescita delle montagne.




Prima dell’avvento dell’uomo sull’Himalaya, la disponibilità di zone umide per gli uccelli migratori doveva essere molto più elevata di oggi. Gran parte dell’acqua si scioglieva dai ghiacciai, poi, si alimentarono le zone umide delle valli himalayane. La rapida crescita della popolazione umana e la sua incessante attività hanno reclamato innumerevoli zone umide, convertendole all’uso umano. Tutte le zone umide del fondovalle a quote inferiori a circa 3500 m slm sono state convertite in terreni agricoli.

 

Ma la regione ospita ancora una miriade di zone umide, tra cui laghi glaciali, paludi, praterie umide, fiumi, torrenti, stagni e bacini idrici artificiali, alcuni dei quali relativamente indisturbati, a quote più elevate. E ancora oggi gli altipiani dell’Himalaya, del Pamir e di altre catene montuose, nonché l’altopiano tibetano, formano un valhalla botanico, poiché qui si fondono quattro principali regioni fitogeografiche, fornendo un’elevata diversità di fonti di semi per gli uccelli migratori.



 

I laghi dell’Himalaya svolgono un ruolo cruciale nel regolare il regime idrologico di fiumi imponenti come il Gange, il Brahmaputra e l’Indo e fungono da cuscinetti tra le acque di scioglimento dei ghiacciai e i deflussi verso fiumi e torrenti più piccoli. I moderni sistemi di produzione animale minacciano anche gli uccelli migratori e i loro habitat umidi. Le zone umide dell’altopiano tibetano e delle regioni circostanti sono disseminate tra i pascoli dei pastori nomadi. Le agenzie governative forniscono fieno a prezzi agevolati in inverno, incrementando così il numero di bestiame domestico ad altitudini sempre più elevate. In estate, il bestiame invade poi i pascoli e le zone umide.

 

I prati intorno a laghi, fiumi e torrenti sono quindi intensamente sfruttati dal bestiame domestico. Poiché le esigenze delle comunità pastorali di questi pascoli sono in aumento e le loro aspirazioni stanno cambiando, la popolazione di bestiame è in costante aumento, il che sta esercitando un’enorme pressione sulle risorse delle zone umide. Ad esempio, la popolazione di capre Pashmina è in rapida crescita. In India, il governo del Kashmir esercita forti pressioni affinché aumenti la produzione di Pashmina per assorbire circa 50.000 famiglie, che hanno perso i loro mezzi di sussistenza a causa del divieto di Shahtoosh (in persiano ‘re della lana’, ricavata dalle antilopi tibetane, ora a rischio di estinzione).




Inoltre, con la globalizzazione, alcuni nomadi considerano il loro stile di vita pastorale come primitivo. Pertanto, tendono a stanziarsi, soprattutto vicino a corpi idrici come laghi e torrenti, aumentando così la pressione sulle risorse delle zone umide. 

 

L’Himalaya è una destinazione turistica unica e popolare. Decine di migliaia di persone da tutto il mondo visitano i siti naturali e culturali della regione himalayana. Un numero crescente di turisti visita anche i vari laghi per osservare gli uccelli migratori, ma spesso i turisti insensibili li disturbano e li spaventano. Inoltre, il campeggio indiscriminato ai margini dei laghi d’alta quota inquina le zone umide, compromettendo così l’abbondanza di insetti acquatici. Anche le attività militari in prossimità delle zone umide causano danni e disturbano gli uccelli. Poiché la catena himalayana si estende lungo i confini di molti paesi con relazioni tese, questi problemi si stanno aggravando. I militari, inoltre, danno da mangiare ai cani nei pressi degli accampamenti militari.




Alcuni di questi cani selvatici si spingono verso le montagne e predano uova e pulcini degli uccelli migratori. Come se questi problemi non fossero già abbastanza problematici per la migrazione degli uccelli, il cambiamento climatico globale è sempre più visto come una grave minaccia per gli uccelli migratori nelle loro aree di riproduzione e/o svernamento. Il crescente scioglimento dei ghiacciai sta causando il ritiro di quasi due terzi dei 15.000 ghiacciai dell’Himalaya. Oltre a essere riserve d’acqua, le zone umide della regione himalayana svolgono un ruolo cruciale nel sostenere milioni di uccelli migratori e residenti che si nutrono e nidificano intorno a questi laghi e in queste zone umide d’alta quota. Quindi, potrebbero esserci problemi sufficienti a minacciare la sostenibilità a lungo termine della rotta migratoria dell’Asia centrale.

 

Esistono soluzioni per proteggere questa via di comunicazione migratoria?




C’è un barlume di speranza grazie alla protezione socio-religiosa degli uccelli da parte di alcune comunità dell’Himalaya. La conservazione degli uccelli dal basso non è rara nell’Himalaya. Diverse comunità lungo l’Himalaya indiano sono attivamente impegnate nella gestione di laghi e fiumi. Ad esempio, le popolazioni locali della Trans-Himalaya del Ladakh scoraggiano i turisti dal campeggiare lungo le rive dei laghi e li incoraggiano a campeggiare solo nei siti designati. Le comunità hanno anche liberato alcune aree dal pascolo in modo che gli animali selvatici possano prosperare.

 

Ma c'è un ruolo anche per i governi statali?

 

Gli stati, non le comunità locali, sono firmatari della Convenzione di Ramsar.




È sull’Himalaya che il buddismo ha messo radici profonde. La compassione verso gli esseri senzienti è al centro del buddismo. Inoltre, gli uccelli occupano un posto speciale nel Buddhismo. Il ‘Garuda’ è un uccello mitologico di buddisti e indù, i principali abitanti dell’Himalaya. Gli indù venerano persino questo uccello mitologico. La Gru dal collo nero è un altro uccello che compare nel folklore, così come in miti, leggende e canzoni della regione himalayana. Inoltre, la maggior parte dei laghi dell’Himalaya è considerata sacra.

 

Il più sacro di tutti è il lago Mansarovar in Tibet, venerato sia dai buddisti che dagli indù. Naturalmente, non affermiamo che Buddhismo e Induismo siano gli unici sistemi etici in grado di sostenere la conservazione in questa parte del mondo: siamo fin troppo consapevoli che in questa parte del mondo sistemi etici come l’ateismo, il Cristianesimo, l’Islam, il Marxismo e il Sikhismo competono tra loro per offrire una guida alle persone che vivono durante la grande migrazione attraverso l’Himalaya, nell’intensificare i loro sforzi di conservazione. In effetti, il tempo stringe. 





 

UN DIALOGO (ovviamente intercettato dal dio adorato!)

 

 

 

Con una differenza, io non sono né pastore né cacciatore, ma evoluto nella sostanza e ciclicità della Madre a cui mi ispiro; certo debbo sopravvivere nelle regole e ragioni della Natura, nella legge del più forte, altrimenti anche in tutta questa bellezza perirei, ma so dissetarmi al ciclo delle (ri)nascite nell’ipotesi dello Spirito, ed anche se il mio corpo ha fame, se il mio sangue abbisogna di nutrimento, so appagare e nutrire la mia Anima con ciò di cui l’umile foresta sa offrirmi che non sia cosa viva, quella la consegno al giudizio ed al suo Pensiero, Pensiero di un Primo Dio, perché so che ogni essere che si muove una sua Parola.




La volpe che mi scruta, il lupo che mi segue, le sentinelle che mi guidano, alte nel cielo. Ogni movimento, ogni battito d’ali, ogni orma è una sua invisibile Parola, ogni sospiro di vento una invisibile simmetria della sua Opera. Una voce specchio dell’Ingegno e dell’umano in Lui evoluto e in questa Natura cresciuto.

 

Benvenuta, dunque, volpe che mi spia, da qualche parte un essere evoluto è in grado di imitare il tuo passo astuto, ma te sei Natura, lui un essere non del tutto cresciuto nel pensiero in te evoluto.

 

Benvenuto lupo, tu predatore della foresta, vivi quale Eretico senza rimorso e ritegno e l’odio dell’uomo è la tua pena perché hai adorato la Natura e la sua voce ti ha insegnato una lingua senza perdono e clemenza.




Il gregge che divori sai composto da un Secondo Dio, non conosce l’esilio della Verità al capezzale del suo falso progresso condito con qualche preghiera. Per questo divori, e riflesso nel tuo occhio lo specchio del suo, non del tuo scempio.

 

Nell’occhio il ricordo del rogo, nello Spirito il martirio sacrificato alla verità di chi pensano senza Dio, da chi prega un falso Dio.




Benvenuto Pensiero che voli libero ed alto nel cielo, sentinella e messaggero, senza la tua Parola non potrei scrivere la Rima, senza il ramo antico su cui posi il tuo sorriso come una vita passata e una speranza futura, io non potrei rinascere alla tua eterna ora. Benvenuta morte, riflessa nell’occhio, illumina il cielo, quello che pur non sapendo ogni essere contempla e prega, pensiero muto di un Dio per sempre taciuto!

 

E quanto sublime la Terra vista dall’alto, quanto rigogliosa e prosperosa, ma possibile che tanto male l’ha seminata?

 

Tanto odio l’ha nutrita?




Eppure nel libro miniato, ragione di un comune desiderio pregato, come può la Parola volgere ad un vento nemico di ogni comune ‘ora’, questo io non comprendo e capisco, continuo il volo perché Dio nasce dal vento di un diverso Principio.

 

Dio non può essere racchiuso in un rigo, al crocevia di uno strano bivio dove la via può essere smarrita perseguitata o inquisita. Così che un vento nemico di ogni Natura crea la disavventura per ogni naufrago nero o bianco che sia per perire in un mare profondo quale battesimo di una strana Dottrina.

 


 

“Quanto sei ingenuo Jonathan, corri veloce per questi ed altri luoghi con compagna la sola certezza dell’umile preghiera di un mondo limpido e giusto a misura di ogni Pensiero all’uomo muto nello Spirito taciuto”. 

 

Chi sei, non ti vedo!




“Certo che no, perché sono quel Dio pregato dal libro narrato e venerato, mi hai dato del ‘guardiano’ del tuo creato, mi hai rivolto blasfema parola offesa al secolare Verbo. Puoi leggermi su un rigo su una strofa così ben curata e descritta nello stesso secolo di quell’‘ora’, ed io farò nascere quel vento nemico alla tua Prima Parola, poi solleverò la Terra affinché la nebbia si sazi del tuo istinto immaturo.

 

Quelle genti prega(va)no il mio pensiero al bivio di un diverso vento nato e poi risorto, e tu ben sai, visto che cavalchi la Parola dal medesimo Principio partorita, che nascono bufere al crocevia di basse o alte atmosfere, con tutte le perturbazioni che fanno il mio secolo infinito, il tuo un invisibile creato da me per sempre punito ed inquisito.




Lo hai detto e descritto, per questo è nata una bufera, sono io che comando l’uomo su questa Terra, anche se Secondo al Primo di un istinto taciuto, pace e tolleranza non appartengono alle ragioni del tuo Sogno pensato e Creato, ho dovuto metterlo per iscritto e dettare il tutto ad un profeta, salì alto nel monte, non fu cosa facile incidere tutte quelle parole, per giunta il mio popolo si era anche smarrito e la legge fu l’ancora di ogni peccato, comandai quell’uomo per disciplinare quanto da te Creato, senza legge e peccato!

 

Son io che disciplino e regolo la rotta, infatti tutti in segreto predicano la tua nuova venuta, in quanto la ‘moneta’ coniata quale eterna certezza araldo di vita, con te, certo, avrebbe esistenza ben dura!




La ‘materia’ sulla quale poggi le tue ali come fossero Divine Parole, per me, che combatto con l’uomo ogni giorno, sono scemenze senza contorno, sono tavolette per la povera favella.

 

Il figlio che hai abbandonato per una lenta agonia nominata da te evoluzione dal mare partorita, conosce una diversa Rima, l’ermetico e intricato pensiero conosce una diversa evoluzione alla Rima dell’Eterna mia venuta; giacché io e solo io, quale custode nominato ho creato - in verità e per lo vero - ogni golemica creatura già cresciuta, compreso quell’Adamo dalla povera favella e la sua donna, sono ad un piano più in basso del piano quinquennale e/o condominiale dell’intero edificio… e mai sia detto abusivo in quanto rispetta ogni norma evolutiva da noi sommamente interpretata nonché accatastata sulle sparse ossa di più sfortunati o disadattati, ovvero deboli creature che non meritano le nostre cure…




Il peccato ho loro per sempre donato e nutrito, o meglio che dico, Creato a tempo pieno e indeterminato; non v’è inganno per ciò detto perché sono loro custode e pastore, nonché innominato Signore e segreto Maestro; per questo e molto altro giammai dichiarato o solo apostrofato, mi hanno affidato le chiavi del loro piccolo ‘alloggio’ racchiuso nell’emisfero d’un pensiero accatastato in assenza del principio che al meglio lo ispira e edifica...

 

Infatti combattiamo gli abusivi del Libero Passo, detto anco, abusivismo dell’Arbitrio senza Jiudicio divino!

 

Non vedi come sono ubbidienti compiaciuti e compiacenti, e talvolta si credono onnipresenti e potenti!




Gli dico persino a cosa conviene pensare e chi molestare; gli invio sogni anellati e cifrati con frammentati messaggini volanti quali nuovi angeli sottratti ad antichi dèmoni danzanti privati delle ali, da racchiudere palmo palmo al palmare dell’anellato olfatto, poi da perseguitare affinché ogni gente di colore possa esser confusa fra Dio e diavolo!

 

 Sottintendo, al fine di codesto umano illuminato intelletto per cui mi consumo per ogni secolar secolo, che affiderò ogni ‘atto’ al notaio del giorno con cui ci saziamo, affinché possa certificare ogni progresso nella dovuta santità, per le ‘visioni’ a reti unificate stiamo costruendo i dovuti ‘ripetitori’ universali senza ponti fra ieri e il nostro domani, giacché come ben sai o dovresti sapere, i piani tariffari troppo elevati per le mortali diligenze che devono attraversale difficili passi di inauditi piani quinquennali fino alle schiere di antichi attici paesani; affinché  ogni X potrà godere del santo patrono e l’eterna santità con vista…




Ovviamente ogni santo numerato sarà devotamente accompagnato dal piatto del giorno!    

 

…E ad ogni rogo che accendo mi nutro del Pensiero e con lui della Parola con cui preparo il banchetto sacrificale di Abramo il profeta armato, al resto degli ‘infedeli’ armamenti ci adoperiamo affinché regni guerra a lunga scadenza con diritto di santa preveggenza…  

 

Così li sottometto al mio Giudizio senza finale alcuno per le infinite repliche del santo cameriere… che non sia una brace con cui mi diletto!




Ogni tanto, o troppo spesso, giacché la pecunia disciplina la regola del dominio terreno, accompagnata dal prodigioso Artifizio Intellettivo, mi insinuo nel Libero Arbitrio, scendo fino al prato del Libro miniato; prevedo e osservo come un Dio, ogni Dio che comanda e pretende!

 

E li salto in paideia!

 

Se non fosse nel ricordo del peccato consumato non potrei curare ed amministrare ogni sacrificio ben sudato. Quando ero a questo piano edilizio ancorato, tu ancora strisciavi e porgevi un frutto, ancora, se ben ricordo, non volavi, strisciavi quale immonda schifezza nella Rima a me poco gradita, ha sollevato una bufera terrena da me sapientemente e fruttuosamente gestita.




Così nuova moneta ho coniato, altrimenti gli uomini da te creati da cosa trarrebbero terreno nutrimento? Dall’aria e il Pensiero del tuo Dio?

 

Per questo ci son io!

 

Materia di ogni Spirito! 

 

Qualcuno ti ha pregato e venerato all’ombra di uno stesso deserto, al confine di una Parola, il tuo Dio ti conduce per tutte le vite da me raccolte ed ornate su un rigo, troppo piccole ed immonde per essere studiate, troppo piccole per essere interpretate su un Frammento su di un rigo su di un Papiro, quando il vento ti è nemico e la voce barcolla non sazio nel ventre della materia che non perdona compagna della misera tua ora!



Hai inventato la neve, ed io ho edificato e costruito ugual desiderio, lo nutro e coltivo, a te poi regalo il pianto antico racchiuso entro una giara quale sfida al desiderio dell’uomo che governa e divora: vola anche lui su di un legno, a te regalo ugual legno su alto nel monte, Teschio del pensiero tuo così mal concepito.

 

Vuoi volare solo tu in questo desiderio antico?

 

La mia legge è custode di ogni sogno da te partorito, per questo io lo governo nella salita e discesa del tuo Paradiso, e non condannarmi con la difficile ed ingannevole Parola, vogliamo negare il privilegio ad ogni uomo della sua piacevole ora?



Non fu Tommaso l’atleta che raccolse l’Eresia tua?

 

Non vedi? Ammira!

 

Si sentono come Dio, e pregano il tuo eterno martirio, tu che vuoi confinarli senza legge ed edificio per una terra senza girone e bellezza a contemplare una serpe che striscia, una volpe che ruba, un lupo che divora il mio gregge che produce e lavora. Ed ancor peggio, un albero che narra la sua Storia, cacciagione della mensa condito con il fuoco della mia ‘ora’ elementi della materia per cui condanni la Terra qui nella blasfemia narrata.

 

La neve fu solo una lacrima della tua mente, io ho saputo coltivare e dare a lei il giusto nutrimento e gradimento.




Per te sarebbe stata solo una bella ‘simmetria’, ogni fiocco diverso e un quadro del tuo Dio, che inutile costruzione che inutile Eresia, il marmo compongo, la chiesa e il Tempio io dipingo, il tuo invisibile disegno elemento di un Creato nato da un nero Principio, quale perfezione di morte dipinta e nel freddo scolpita, su una croce ho confinato ‘la vita prima della vita’, affinché il Sacrifico venga pregato e la luce illumini il materiale creato.

 

Nel Battesimo ho costruito la dottrina, ed anche se l’acqua per te ha un diverso significato, ogni pargolo di questo Creato deve avere l’immunità di quanto da te Pensato!”

 



Odo la tua voce nel Vento fermo della terrena mattina, avverto la paura antica del cacciatore della segreta ed antica Prima Dottrina, per quanto da me tutto Pensato e Creato, un diverso Dio comanda la materia e la luce della vita, un diverso Dio indica la via, io solo un enigma diviso fra un’onda ed una particella invisibile alla vista.

 

L’acqua è principio di vita, tu quale elemento che governi la Natura sappi che l’acqua è principio della Parola nata, ed io così compio il ciclo ad ogni stagione della materia da te narrata. Se così non fosse non potrei volare e ricordare delle tante e troppe guerre che conoscono solo martirio privazione ed inganno, in quanto, anche se strisciavo ed ora volo, il mondo che prego e di cui mi feci ingegno per essere da te governato nella materia di questo strano Creato, è privo di quella violenza e inganno destino della legge e parola del profeta da te inviato.




L’istinto della mia eterna Natura è privo del concetto e Pensiero scritto nella tortura.

 

Quella io l’ho provata e provo ogni giorno anche nella morte di quelle creature che vedo affogate nel mare profondo, anche in quei tuoi figli periti nell’acqua di un tuo principio non condiviso.




Osserva la Natura, ho regalato loro una Rima e la Neve con l’antica simmetria ha imbiancato la Chiesa della mia poesia. Quale opera meravigliosa, quale pittura sublime, non v’è quadro più bello in questo dire.

 

Guarda la bestia che mi fa compagnia, non v’è anima più gentile da condurre per ugual via. Guarda coloro che popolano il cielo d’inverno e d’estate, non v’è suono più bello e soave.




Io ho dovuto patire il sacrifico e umiliato dal tuo volo da ognuno condiviso: chi uno sputo chi una offesa, chi un inganno comandata al portiere che invade ogni Rima poco gradita al condominio della tua costruzione così ben concepita. Ma la vita e il Pensiero Primo che per sempre dominano la via e nella materia crocefissa, non conoscono tortura o violenza alcuna, lascio a te questo mondo poco gradito io sono figlio di un altro Dio.

 

Straniero alla tua poesia, Straniero alla ricchezza tua, e se la povertà e l’umiliazione saranno il calvario dell’eterna mia vita, benvenuto vento che predichi la vita, visibile e pregato da ogni navigante che gode dei favori della tua materiale fortuna a buon porto condurrai la sua terrena venuta, di questo ne sono più che certo, di questo ne sono più che lieto.




Ma io sono un povero Jonathan Straniero alla ricchezza, striscio volo arrampico su per una cima come un Cristo impazzito e braccato dal suo popolo come un male antico, muoio ad ogni stagione e poi risorgo alla primavera e perdo la testa come un quadro dipinto e nell’impressione scolpito, di questo io ne sono più che certo, la luce illumina ciò che è visibile alla materia, la morte sarà compagna della mia ora, io a te dono il quadro della mia onda impazzita al museo della comune via…

 

Lasciami narrare ora il martirio nella miniatura di questo breve sacrificio perché io non conosco violenza, la Natura non conosce tortura, per questo quando la vedo che striscia nella sua piccola dimora, il secolare gesto debbo narrare all’ombra dell’infame peccato consumato!









martedì 13 maggio 2025

I "TRAPPOLATORI" (7)








Precedenti piatti del giorno


(dal Primo  alla Frutta 


Prosegue con la bottiglia 


del prezioso nettare








ovviamente se il menu non 


gradito... 


lor signori 


possono cambiare 


locale o mestiere....)










BREVE PREMESSA






Il papa, dopo aver considerato attentamente da un lato quel frate in abito strano, dal volto disprezzabile, barba lunga, capelli incolti, sopracciglia nere e pendenti, e dall’altro quella petizione che egli presentava, così ardua e impossibile secondo il giudizio comune, lo disprezzò in cuor suo e gli disse:

 

Va’, fratello, cercati dei porci, a cui saresti da paragonare più che agli uomini. Allora, ravvòltolati con loro nel fango e, consacrato loro predicatore, consegna ad essi la Regola che hai preparato.

 

Francesco non frappose indugio, ma subito, a capo chino se ne uscì. Faticò non poco a trovare dei porci; ma, quando finalmente si imbatté in un branco di essi, si ravvoltolò con loro nel fango fino a tanto che ne fu tutto imbrattato, il corpo e il vestito, dai piedi alla testa. E così ridotto, tornò al concistoro e disse al papa:

 

Signore, ho fatto come mi hai comandato; ora, ti prego, esaudisci la mia richiesta. 


Non vogliamo dire – intendiamoci – che questo racconto sia più credibile degli altri: anzi, parrebbe evidente che si tratti di un apologo. Per quanto, sia detto per inciso, il Francesco che già conosciamo – l’araldo del Gran Re dinanzi ai briganti, l’uomo che si traveste da povero e predica in francese, il penitente che si spoglia nudo di fronte al padre (e che, in un altro episodio, predica nudo in San Rufino) – potrebbe essere stato ben capace di compiere il gesto che Ruggero di Wendover gli attribuisce. 






I TRAPPOLATORI



Di notte, i trappolatori illegali di uccelli stendono reti da nebbia negli uliveti o nelle piantagioni di esotiche acacie, queste ultime accuratamente irrigate e curate per creare un’oasi apparentemente invitante per i migranti stanchi diretti a sud in questa terra altrimenti arida. Il trappolatore aziona un interruttore su un registratore digitale e trasmette da altoparlanti a megafono gracchianti nel cielo notturno il suono della melodia di un tordo bottaccio o di una capinera euroasiatica – lo stesso approccio che io e i miei colleghi usiamo quando catturiamo uccelli canori in Alaska per marcarli con i geolocalizzatori.

 

Ma quando gli uccelli di passaggio emergono dall'oscurità in risposta al richiamo, accumulandosi in numero sempre maggiore verso l’alba nei cespugli intorno alle reti, affrontano un destino molto diverso. Mentre il debole crepuscolo si trasforma in alba, il trappolatore e alcuni aiutanti iniziano a lanciare manciate di sassolini tra gli alberi, facendo cadere gli uccelli stanchi nelle reti, dove vengono uccisi e ammucchiati in secchi insanguinati.

 



Cercando cibo tra  arbusti  e  alberi  bassi,  si  ritroveranno  rapidamente  trasformati  in  ‘bastoncini  di  lime’ ricoperti da una  colla  naturale  diabolicamente  appiccicosa,  ricavata  da  miele  e  un  tipo  di  frutto  locale,  da  cui  devono  essere  strappati  via,  lasciando  pelle  e  piume.  In  qualunque  modo  vengano  catturati,  prima  della  fine  della  giornata gli  uccelli  saranno  cotti  in  olio  bollente,  cosparsi  di  sale  e  serviti    di  solito  interi,  con  la  testa  ancora  attaccata    clandestinamente  nelle  case  e  nei  ristoranti  locali.  Il  piatto  è  conosciuto  a  Cipro  come  ‘ambelopoulia’; gli  appassionati  divorano  ogni  piccolo  boccone  in  pochi  bocconi  che  sgranocchiano  ossa  e  interiora.

 

La  cattura  dell’ambelopoulia  e  degli  uccelli  canori  è  un’antica  tradizione  a  Cipro,  tramandata  di  generazione  in  generazione e  praticata  principalmente  con  bastoncini  di  vischio,  che,  seppur  macabri,  non  sono  altrettanto  spietatamente  efficaci  nel  catturare  grandi  quantità  di  uccelli  come  le  reti  da  nebbia,  sempre  più  apprezzate  dai  trappolatori.  Per  un’isola  grande  meno  di  due  terzi  del  Connecticut,  il  prezzo  che  la  cattura  dell’ambelopoulia  impone  ai  migranti  di  Cipro  è  sconcertante. Nel  2016  BirdLife  ha  stimato  che  i  trappolatori  uccidessero  ogni  anno  tra  1,3  e  3,2  milioni  di  uccelli  a  Cipro,  rendendo  questa  piccola  isola  uno  dei  peggiori  posti  del  Mediterraneo  per  questo  tipo  di  massacro;  in  effetti,  Cipro  è  il  peggiore  in  termini  pro  capite,  data  la  sua  popolazione  umana  relativamente  esigua.




 Cipro  ospita  anche  tre  delle  dodici  peggiori  zone  di  mortalità  del  Mediterraneo,  che  insieme  causano  la  morte  di  ben  2,3  milioni  di  uccelli  canterini  ogni  anno.  Ma  Cipro  è  ben  lungi  dall'essere  l’unica  trappola  mortale. Ogni  anno  i  siriani  uccidono  illegalmente  3,9  milioni  di  uccelli,  mentre  in  Libano  la  strage  annuale  è  di  2,4  milioni  e  in  Egitto  di  altri  5,4  milioni  (anche  se  i  ricercatori  di  BirdLife  ammettono  che  il  numero  reale  in  tutti  questi  luoghi  potrebbe  essere  quasi  il  doppio).

 

Se questo sembra in qualche modo poco  sorprendente  per  un  popolo  così  segnato  dalle  battaglie  e  travagliato in ogni angolo  del  mondo  come  la  Siria  e  l’Egitto,  considerano  che  probabilmente  il  posto  più  pericoloso  per  gli  uccelli  in  Europa  sia  in  realtà  la  pacificamente  civilizzata  Italia,  dove  ogni  anno  vengono  uccisi  circa  5,6  milioni  di  passeriformi,  ingredienti  di  piatti  tradizionali  come  il  mumbulì,  uccelli  canterini  allo  spiedo  e  alla  griglia, o  la  polenta  e  osei,  che  nella  sua  forma  tradizionale  è  polenta  di  mais  condita  con  uccelli  interi  alla  griglia.




I  francesi  divorano  un  altro  mezzo  milione  di  uccelli  circa:  i  tordi,  ad  esempio,  attirati  con  ciuffi  scarlatti  di  bacche  di  sorbo  e  strangolati  da  semplici  cappi  di  crine  di  cavallo,  una  specialità  di  cattura  nella  regione  delle  Ardenne,  vicino  al  confine  con  il  Belgio,  dove  circa  100.000  tordi  muoiono  ogni  anno  mentre  le  autorità  francesi  chiudono  un  occhio.

 

Ma  il  più  famoso  è  l’ortolano,  un  bell’uccello  lungo  quindici  centimetri  con  il  petto  color  pesca,  la  gola  giallo  pallido  e  dei  baffi  scuri;  gli  anelli  gialli  intorno  agli  occhi  gli  conferiscono  un'espressione  leggermente  spaventata,  ma  i  francesi  tradizionalmente  veneravano  l’ortolano  per  la  sua  carne,  non  per  il  suo  aspetto. 

 

Intrappolati  tra  agosto  e  settembre  durante  il  viaggio  verso  l’Africa  e  tenuti  al  buio  per  alterare  i  loro  ritmi  naturali  (un  tempo,  venivano  accecati  per  ottenere  lo  stesso  risultato),  gli  uccelli  si  nutrono  costantemente  fino  a  diventare  gonfi  di  grasso,  poi  vengono  annegati  nell’Armagnac,  spennati  e  cotti  interi  in  una  rovente  casseruola  di  terracotta.  Il  commensale  –  con  la  testa  e  le  spalle  coperte  da  un  grande  tovagliolo  bianco,  presumibilmente  ‘per  nascondersi  dalla  vista  di  Dio’, ma più  concretamente  per  intrappolare  gli  aromi  e  bloccare  eventuali  schizzi  –  gli  taglia  la  testa  con  uno  schiocco  dei  denti  anteriori,  poi  mastica  il  resto  dell’uccello  in  una  cascata  di  grasso  e  succhi  scottanti,  macinando  ossa  e  tutto  il  resto.  È  considerato  l’epitome  della  gastronomia  tradizionale  francese.




Il  defunto  Anthony  Bourdain  definì  l’ortolano  ‘il  grande  piacere dei  pasti  rari  e  proibiti’  e  raccontò  una  cena  illecita  con  diversi  altri  buongustai:

 

‘A  ogni  boccone,  mentre  le  sottili  ossa  e  gli  strati  di  grasso,  carne,  pelle  e  organi  si  compattano  su  se  stessi,  si  percepiscono  sublimi  gocce  di  sapori  antichi,  vari  e  meravigliosi:  fichi,  Armagnac,  polpa  scura  leggermente  intrisa  del  sapore  salato  del  mio  stesso  sangue,  mentre  la  mia  bocca  viene  punta  dalle  ossa  affilate’. 

 

L'ortolano  è,  almeno  sulla  carta,  protetto  in  Francia  dal  1999,  ma  la legge  è  stata  ampiamente  ignorata,  soprattutto  nelle  Landes,  nel  sud-ovest  della  Francia  lungo  la  costa  atlantica,  dove  il  culto  dell’ortolano  è  più  forte.  I  cacciatori  usano  un’attrezzatura  chiamata  ‘matole’,  che  prevede  un  ortolano  vivo  in  una  gabbia  centrale  che  funge  da  esca,  circondato  da  un  massimo  di  30  o  più  piccole  gabbie  metalliche  a  caduta,  innescate  con  grano.


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