Precedente capitolo
Prosegue con un
ampia adeguata
riflessione,
ovvero,
di Pavel Florenskij
In una Nouvelle, opera di un propagandista cattolico e, per questo motivo, un po’ sospetta, un eretico, Sicard de Figueiras, convertito dal domenicano Izam, appare desideroso di entrare al servizio dell’Inquisizione, sia per zelo neofita, sia per interesse personale:
‘Li farò impiccare tutti’,
…diceva (riferendosi ai suoi ex
correligionari),
‘dai miei scudieri, che conosceranno
a memoria le strade e le scorciatoie, le scogliere e le grotte, i passaggi e i
sentieri, così come i nascondigli dove nascondono il loro denaro’.
(gli exploratores)
LA SENTENZA
Nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, amen. Noi,
Fratel Bernardo Gui e Fratel Geoffroy d’Ablis, dell’Ordine dei Predicatori,
inquisitori della perversione eretica delegata dalla sede apostolica nel regno
di Francia, e Etienne de Port, canonico di Bazas, ufficiale di Gaudiès, e Arnaut
du Villar, vicari del reverendo padre in Cristo Monsignor Gailhard, per grazia
di Dio vescovo di Tolosa, deputati nella città e diocesi di Tolosa.
Come ci è diventato chiaro e legalmente accertato attraverso
l’indagine, supportate da numerosi testimoni giurati ricevuti in tribunale di
tua stessa confessione, o meglio professione, tanto abominevole quanto
sacrilega, come te, Pèire Autier, già notaio e residente ad Ax, in Sabartès,
nella diocesi di Pamiers, catturato e arrestato nella diocesi di Tolosa, in cui
negli ultimi anni hai commesso numerosi crimini di eresia, ereticizzando molte persone
decedute e contaminandone altre, molte altre seducendoli con i vostri errori,
corrompendo la fede cattolica con i vostri dogmi erronei; che tu, dico, Padre
Autier, come eretico manifesto, da molti anni ormai, hai sostenuto e osservato,
scrigno dei suoi peccati.
Oggi tu sostieni e dichiari di sostenere la vita,
la setta, il rito e la fede, o per esprimere meglio la perfidia di questi
uomini che pretendono di essere gli unici Buoni Cristiani, e che la sacrosanta
Chiesa romana persegue e condanna e designa come eretici perfetti o consolati,
o per meglio dire, desolati; che tu confermi, affermi e dichiari, che ci sono
due Dèi e signori, conoscendo l’uno il bene e l’altro il male, sostenendo che
la creazione di tutte le cose visibili e corporee non è dovuta a Dio Padre
celeste né al Signore Gesù Cristo, ma al diavolo, Satana, il dio cattivo, che
voi dite essere il dio dell’età presente, artigiano e principe di questo mondo.
Tu inventi allo stesso modo che ci sono due Chiese, una buona, la tua setta, che voi dite essere la Chiesa di Gesù Cristo e che detiene la fede nella quale tutti possono trovare la salvezza, e senza la quale nessuno può farlo; e l’altra, la cattiva Chiesa romana, che tu dici sfacciatamente essere la madre della fornicazione e la basilica del diavolo e la sinagoga di Satana, quando è la madre e signora di tutti i fedeli; e tutti i suoi ranghi, i suoi ordini, le sue ordinazioni e i suoi statuti, li ridicolizzi sfacciatamente e mendacemente; e tutti coloro che seguono e sostengono la sua fede, voi li chiamate, al contrario, eretici ed erranti, e dogmatizzate in un modo tanto blasfemo quanto empio che nessuno può essere salvato nella fede della Chiesa romana.
Allo stesso modo, tutti i sacramenti della Chiesa
romana del Signore Gesù Cristo, cioè l’Eucaristia dove è il corpo vero e
vivificante di Cristo, e il battesimo fatto in acqua materiale, come anche la
confermazione, e l’ordine, e l’estrema unzione, tutti insieme e per ciascuno di
essi, con bocca sacrilega, tanto orribile quanto empia, voi affermate che sono
vani e inutili; e condanni il sacramento del matrimonio carnale, dicendo che è sempre
fatto nel peccato e non può mai essere fatto senza peccato, e tu neghi che sia
stato istituito dal buon Dio.
E quanto all’incarnazione del Signore Gesù Cristo
in Maria, sempre vergine, che voi dichiarate essere un’illusione senza
fondamento, tu bestemmi con bocca empia nella sua vera realtà, negando di aver
preso un vero corpo umano e vera carne umana dalla nostra natura, e che egli è
veramente risuscitato in questo corpo, ma solo in apparenza, e che ha operato
così per la nostra salvezza, e che egli ascese con questo corpo alla destra del
Padre.
Allo stesso modo, voi affermate falsamente che santa Maria, madre di Dio e del Signore Gesù Cristo, non è e non è mai stata una donna di carne, quanto alla confessione dei peccati praticata dai sacerdoti della Chiesa Romano, tu affermi sfacciatamente che non ha valore e che né il Papa né alcun rappresentante della Chiesa romana ha il potere di assolvere chi commette peccato, ma tu dici e assicuri che tu stesso e coloro che segui con i tuoi simili hanno il potere di assolvere da tutti i loro peccati coloro che, mediante l’imposizione delle mani, acconsentono a ricevere il dono della fede, e per sostenere la tua setta e quella dei tuoi cari di prodighi in abominevoli prediche.
Neghi assolutamente la resurrezione dei corpi
umani, inventando tipi di corpi spirituali e una specie dell’uomo interiore,
nel quale tu e i tuoi fedeli non sarete risuscitati come tu assicuri, ma non
avrai parte nella risurrezione del santo con i giusti, con il quale gli empi,
al Giudizio, non conosceranno gloria ma punizione.
Tutte queste bestemmie assommate a molti altri
errori, che sono tanti troppi, anche abominevoli come crimini, Tu, Pèire
Autier, l’eretico, li affermi, come abbiamo sentito dalla tua bocca con orrore
e letto attraverso i tuoi proclami; e come molti altri hanno udito da te, molte
volte, molti di questi errori, a cui non vuoi rinunciare né abbandonare o
correggere, né sottomettere con il tuo cuore né professare con le labbra la
fede della Chiesa romana, ma piuttosto rifiutarla nel modo più vergognoso,
anche se da noi e da molti altri tribunali religiosi e laici ripetutamente
richiesti e ricercati abbiamo più volte avanzato richiesta di abbandonare i
vostri errori e di riconoscere e mantenere la vera fede della Chiesa Romana.
Di conseguenza, come te, Padre Autier, ti rifiuti di allontanarti dagli errori dell’eresia e di ritornare alla vera fede cattolica della sacrosanta Chiesa romana del Signore Gesù Cristo, come a Te richiesto più volte, invitato e atteso da tempo per tale conversione, che tu rifiuti perseverando nella tua perfidia e nel ‘vostro errore’ di un’anima indurita e uno spirito malato; noi, i suddetti inquisitori e vicari, avendo in precedenza preso il consiglio di diversi saggi, affinché la pecora malata non contamini successivamente le pecore sane del gregge del Signore, tu, Padre Autier, essendo presente e rifiutando di convertirti alla fede, in questo giorno e luogo che ti sono stati perentoriamente assegnati per ascoltare la tua sentenza definitiva, avendo in vista solo Dio e la purezza della fede ortodossa, i sacrosanti Vangeli posti davanti a noi affinché il nostro giudizio essere reso davanti al volto di Dio, e affinché i nostri occhi possano vedere l’equità, sedendo in tribunale, con sentenza definitiva, in questo atto e con questa sentenza, vi dichiariamo e ti dichiariamo eretico, e come eretico ti abbandoniamo alla corte secolare, eccetto la riserva per te che se volevi convertirti e tornare all’unità ecclesiastica mantenuta per tutta la vita, in questo caso ci riserviamo il pieno e libero potere di importi, per tutto ciò che hai commesso in materia di eresia, una salutare punizione e penitenza.
LA MACCHINA INQUISITORIALE: I DOMENICANI
Nel 1232 Gregorio IX affidò l’intero ufficio dell’Inquisizione ai ‘Fratelli
Predicatori’, o Domenicani. I domenicani erano noti per essere gli unici capaci
di rendere l’azione dell’Inquisizione il più efficace possibile. Tuttavia, a
causa del loro carattere drastico, nel 1237 il Papa vi aggiunse alcuni frati
francescani, affinché - come dice la Storia della Linguadoca - il rigore degli
uni fosse temperato dalla mansuetudine degli altri.
I vescovi, così orgogliosi della loro autorità, si
sentivano violati nei loro diritti. D’altra parte, avevano anche ragione di
temere quegli implacabili inquisitori che li rimproveravano di essere troppo
accessibili, a causa dei loro legami con l’aristocrazia occitana, agli
interessi familiari o di casta.
Tuttavia, vennero stabilite delle regole che
tenevano conto della loro suscettibilità: in linea di principio, gli
inquisitori non esercitavano il loro dovere senza il consenso dei vescovi. In
effetti, come afferma J. Duvernoy, gli inquisitori incontravano i vescovi o i
loro rappresentanti solo al momento di pronunciare la sentenza o il sermone
generale.
Ciò non era il caso quando il vescovo (ad esempio
Jacques Fournier a Pamiers) era attivo e completamente incorruttibile. Questo
vescovo ebbe un ruolo molto più importante nella repressione dell’eresia nella
sua diocesi rispetto al suo vice, il domenicano Gaillard de Pomies, che
rappresentava l’Inquisizione di Carcassonne. In alcune occasioni il vescovo era
un domenicano, come Raimondo de Fauga, ex priore provinciale dei domenicani di
Tolosa.
Ben presto liberati da ogni giurisdizione episcopale, gli inquisitori godevano di assoluta indipendenza: durante il loro ufficio non potevano essere scomunicati o sospesi senza uno speciale mandato del Papa. In caso di conflitto con il vescovo, erano sempre loro a prendere la decisione finale. D’altro canto, il diritto di dare l’assoluzione agli eretici che avevano abiurato spettava esclusivamente a loro.
Tutti questi ecclesiastici misero rapidamente in
moto una macchina di polizia giudiziaria che non ha eguali in nulla di ciò che
si era conosciuto fino ad allora. Avevano diritto di ispezione su ogni luogo,
nei palazzi borghesi come nei castelli, e perfino nelle chiese dove alcuni
eretici avrebbero potuto godere di un antico diritto di asilo. Le spese
venivano rimborsate dal tesoro signorile o reale, dai beni confiscati agli
eretici e dal ricavato delle multe. Nel 1323, a Carcassonne, in occasione di un
processo per eresia che portò al rogo dei colpevoli, i vescovi di Castres e
Mirepoix, gli abati di Villelongue, Montolieu, Saint-Polycarpe, convocati dall’inquisitore,
e l’inquisitore stesso, furono pagati cinquanta libbre e cinque scellini; e i
giudici e il consigliere di turno nel sermone, con nove sterline e dieci
scellini (‘per cibo e bevande’), tutte somme donate dal tesoriere reale.
Gli inquisitori pagavano i lavoratori, i sergenti
che impiegavano al loro servizio: i sergenti, delegati tra il paese e la città,
‘per andare, assistere e tornare’, ricevevano uno stipendio di dodici denari
ciascuno: erano sedici. Aggiungeremo anche che i vescovi e i parroci erano
tenuti ad assisterli in ogni circostanza e, a volte, anche ad aiutarli
economicamente. I magistrati, gli ufficiali giudiziari, i prevosti e, in
generale, tutti i funzionari civili, dovevano fornire loro assistenza se ne
avevano bisogno. Infine, gli inquisitori avevano spesso una guardia personale e
numerosi agenti speciali incaricati di proteggerli e di smascherare gli
eretici.
L’inquisitore, sia che risiedesse in città o che la visitasse, alloggiava in una stanza del palazzo episcopale, come il vescovo Fournier a Pamiers, oppure nella casa dei frati predicatori, oppure in una dimora speciale concessa dal re o da un signore: per esempio, a Carcassonne, nel palazzo di Mirepoix, che comunicava con una delle torri della muraglia. In linea di principio, l’inquisitore eseguiva personalmente le indagini e gli interrogatori e si limitava a emettere la sentenza; ma era assistito da uno o più domenicani che erano suoi consiglieri e testimoni della regolarità dei procedimenti giudiziari. A Pamiers, il domenicano Gaillard de Pomies fu sia rappresentante dell’Inquisizione di Carcassonne sia ‘luogotenente’ del vescovo.
Gli inquisitori spesso viaggiavano con il loro
tribunale, vediamo così fratel Pierre Sellan e fratel Guillaume Arnaud, da
Tolosa, trasferirsi a Cahors, a Moissac; Fratel Arnaud Catalan e fratel
Guillaume Pelhisson ad Albi, ecc.
L’arrivo dell'Inquisizione in una città fu senza
dubbio un evento che interruppe la monotonia della vita quotidiana, ricordando
a tutti i suoi abitanti quanto fossero duri i tempi e quanto precaria fosse la
loro sicurezza. Tutti tremavano, cattolici ed eretici, brave persone e codardi,
perché erano in gioco la loro libertà, le loro proprietà e le loro vite.
Appena si stabilì in città, l’inquisitore chiese ai
sacerdoti di radunare i cattolici (ed erano tutti cattolici!) per fare loro un
sermone. Poi concesse agli eretici una ‘settimana di grazia’, o più, per
rivelarsi. Molti di loro, terrorizzati dalla minaccia di essere bruciati sul
rogo, confessarono spontaneamente.
Ricevevano punizioni relativamente lievi oppure venivano assolti immediatamente se l’inquisitore aveva precedentemente promesso di assolverli senza ulteriori indugi. Ma dovettero impegnarsi a denunciare gli altri Catari, credenti e perfetti. Ciò che più desideravano gli inquisitori era trovare il primo anello della catena. In linea di principio, due testimonianze di questo tipo erano sufficienti per incriminare un sospettato. In realtà, la denuncia di una sola persona metteva in discussione la sua libertà e la sua esistenza.
L’interrogatorio dei testimoni veniva effettuato in
loro sola presenza e potevano essere coinvolte anche persone indesiderate. I
nomi degli informatori vennero tenuti segreti (per evitare rappresaglie da
parte delle vittime).
Inoltre, l’Inquisizione aveva ai suoi comandi una
vera e propria polizia segreta, gli
exploratores, specialisti nello spionaggio, nell’ascolto
segreto delle conversazioni e nella ricerca dei fuggitivi nelle foreste e nelle
grotte, avvalendosi anche di cani addestrati a questo tipo di caccia.
In una Nouvelle, opera di un propagandista
cattolico e, per questo motivo, un po’ sospetta, un eretico, Sicard de
Figueiras, convertito dal domenicano Izam, appare desideroso di entrare al
servizio dell’Inquisizione, sia per zelo neofita, sia per interesse personale:
‘Li farò impiccare tutti’,
…diceva (riferendosi ai suoi ex correligionari),
‘dai miei scudieri, che conosceranno
a memoria le strade e le scorciatoie, le scogliere e le grotte, i passaggi e i
sentieri, così come i nascondigli dove nascondono il loro denaro’.
Numerosi erano gli informatori occasionali, che
ricevevano laute ricompense: presto divennero professionisti. La specie più
temibile era quella dei Catari depredati, o quella degli eredi privati della
loro eredità per eresia, che entrarono al servizio dell’Inquisizione con la
speranza e anche con la sicurezza che veniva loro data, di recuperare i loro
beni e di essere infine assolti definitivamente.
Gli eretici non avevano avvocati e neppure difensori. I concili di Valenza (1248) e di Albi (1254) proibirono la loro presenza a sostegno degli accusati, ritenendoli per loro natura capaci di ‘ritardare l’avanzamento del processo’. Ogni ‘difensore’ era considerato un promotore dell’eresia.
Quando, eccezionalmente, compare un avvocato, il
suo ruolo si limita a consigliare l’indagato a rilasciare una dichiarazione. L’essenziale
è che il cataro dichiari e abiuri. Gli inquisitori non facevano distinzioni tra
coloro che non avevano nulla da dichiarare e coloro che non volevano
dichiararlo. La confessione e l’abiura obbligatoria posero fine al dibattito.
Tuttavia, nulla impediva a un presunto eretico di consultare segretamente un
avvocato di sua scelta prima di essere convocato o tra la citazione e la
comparizione.
Il dottore in legge Guillaume Garric, originario di
Carcassonne, uomo onorevole come pochi, considerava suo dovere dare buoni
consigli ai credenti che ne avevano bisogno clandestinamente. Era noto per
essere un amico del catarismo e in effetti lo era, motivo per cui venne
severamente punito.
Dopo aver confrontato dichiarazioni e testimonianze
e, se lo riteneva opportuno, aver consultato il suo luogotenente, l’inquisitore
pronunciava infine la sentenza. Lo pronunciò da solo e senza possibilità di
appello di alcun tipo. Un notaio ha redatto con cura la sentenza, le
dichiarazioni, le testimonianze, l’abiura. La lettura della sentenza era motivo
di solennità religiosa: avveniva di domenica, alla presenza dei magistrati e di
tutto il clero.
Per l’occasione, se l’inquisitore non era tale,
veniva convocato il vescovo locale, nonché i vescovi e i sacerdoti del
vicinato, le cui spese di viaggio venivano dedotte dai beni confiscati agli
eretici. Questa solennità è chiamato sermone pubblico o autodafé. Attirava
sempre una grande folla di persone dalla città.
LA PRACTICA INQUISITIONIS
Il testo latino, integrale, del manuale di Bernardo
Gui è attualmente contenuto soltanto nell’edizione parigina del 1886 di
Célestin Douais, che si basò su quattro manoscritti superstiti: due esemplari
del xiv secolo provenienti dalla Biblioteca pubblica di Tolosa, ovvero il Ms.
387 e il Ms. 388; un terzo, sempre del xiv secolo, custodito presso il British
Museum (fondo Egerton, Ms. 1897); una trascrizione del xvii secolo reperita tra
gli scaffali della Bibliothèque Nationale di Parigi (collezione Doat, voll.
xxix e xxx).
Per restare il più fedele possibile alla versione
originale, Douais decise di attenersi alla lezione del codice tolosano 387,
ovvero il manoscritto cronologicamente più vicino al decesso di Gui,
collazionandolo all’occorrenza con il “fratello” 388.
Veniamo ora al contenuto:
Gli insegnamenti della Practica Inquisitionis – che fu composta, verosimilmente, tra il 1316 e il 1321 – si dividono in cinque parti: la prima, riguardante le formule per la citazione e per l’arresto dei sospetti di eresia e per la comparizione dei testimoni; la seconda, le formule di grazia e di commutazione di pena; la terza, gli esempi di sentenze e di penitenze imposte dai tribunali; la quarta, le normative papali e imperiali, inclusi i testi di giurisprudenza atti a sviscerare i fondamenti, le prerogative e i limiti dell’autorità inquisitoriale; la quinta, un trattato volto a descrivere le principali sette ereticali attive all’epoca, insieme a un’appendice dedicata a definire i modelli d’interrogatorio e le formule d’abiura.
Ed è proprio la quinta parte, la più corposa, a essere riproposta nella presente edizione. La sua analisi metodica, quasi moderna nell’esporre la storia e le peculiarità di ogni singola corrente ereticale, insieme alla consapevolezza che non esiste un metodo assoluto per inquisire, bensì una molteplicità di astuzie cui ricorrere di volta in volta, come a un canovaccio, per sfuggire alle astuzie, alle “tortuosità volpine” e alle “trappole verbali” degli interrogati, fa di questa terribile professione un’arte.
Un’arte che – e da qui il suo valore eresiologico –
si prefigge come scopo primario quello di saggiare il coacervo di eresie
convissute nello straordinario periodo del tardo Medioevo per identificarne i
tratti principali a partire dai segni che le contraddistinguono. ‘In nessuna
religione, vera o falsa che sia’, sostiene infatti Bernardo Gui, ‘gli uomini
possono riunirsi se non sotto qualche insegna o partecipazione a sacramenti
visibili’.
Quindi, con freddezza analitica, li divide in sei gruppi noi prendiamo in esame il primo punto:
1) Manichei. Con questo nome Gui si rifà al trattato De Genesi contra Manichaeos di
Agostino d’Ippona. In realtà egli allude ai catari, ovvero gli eretici per
antonomasia dell’Evo di mezzo. Alano di Lilla, scrivendo sul loro conto nel De
fide catholica, afferma: ‘Vengono detti catari da catus, perché, a quanto si
dice, essi baciano il posteriore di un gatto, sotto il cui aspetto si manifesta
Lucifero’.
In realtà l’appellativo cataro parrebbe derivare
dal greco katharos, “puro”, e nulla avrebbe a che spartire con l’adorazione del
diavolo. Nato e sviluppatosi tra il xii e il xiv secolo, gli affiliati a questo
movimento credevano nell’esistenza di due principi universali contrapposti, il
Bene e il Male, Dio e Satana, ovvero spirito e materia. La convinzione che tali
principi siano inconciliabili, in perenne contrasto tra loro, definisce il
culto dei catari “dualistico”, avvicinandolo a quello dei manichei (Persia, III secolo) e dei bogomili (Bulgaria, x-xv
secolo).
Non è addirittura da escludere che questi culti
siano imparentati tra loro, come darebbe a pensare la notizia di un concilio
eretico tenutosi nel XII secolo a Saint-Félix-de-Caraman, nei pressi di Tolosa,
a cui avrebbe partecipato un vescovo dualista giunto da Bisanzio o dai Balcani.
Questo però non è il contesto adeguato per addentrarsi nelle sfumature del catarismo, che si scisse, mutò e si evolse in versioni più o meno radicali. Basti sapere che i ‘perfecti’, cioè i suoi ministri, predicavano il più assoluto allontanamento dalla materia, intesa come prigione dello spirito e matrice del peccato. Per questa ragione consigliavano d’astenersi dal mangiare carne, uova, latte e derivati e professavano la castità per evitare di procreare altri “esseri imperfetti”.
A loro avviso, Gesù non possedeva un vero corpo di
carne, poiché mai e poi mai il figlio del vero Dio avrebbe potuto mescolarsi
con la materia. Il loro principale rito era il ‘consolamentum’, una sorta di
battesimo spirituale che consisteva nell’imposizione delle mani accompagnata
dalla triplice formula Benedicite.
Nello sforzo d’interpretare la particolarissima
teologia dei perfecti, Bernardo Gui afferma: ‘Negano la resurrezione dei morti
e al suo posto credono nei corpi spirituali e nell’esistenza di una sorta di
uomo interiore’.
I catari, chiamati in Linguadoca anche albigesi
(perché molti di loro vivevano ad Albi, a Béziers e in vaste zone del
Tolosano), si ritenevano gli autentici cristiani e vedevano nella Chiesa di
Roma-Avignone una nuova Babilonia. Riconoscevano l’autorità dei Vangeli ma
rifiutavano il Vecchio Testamento, nel quale, a loro parere, veniva celebrato
un falso Dio, una sorta di Demiurgo – se non addirittura Satana – manifestatosi
ai profeti per ingannarli e farsi adorare.
‘La conversione degli eretici manichei’, osserva Bernardo Gui, ‘è quasi sempre sincera e porta questi eretici a confessare ogni cosa e a svelare tutta la verità, e quindi i nomi di tutti i loro seguaci’.
Nessun commento:
Posta un commento