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Negli stessi anni....
.....Dalla terrazza si passava nella biblioteca per una porta a vetri.
Nelle serene ore mattutine questa porta era interamente aperta, sicché
fratello Ottone sedeva al suo ampio tavolo come se fosse in giardino.
Entravo sempre volentieri in questa camera, alla cui parete le verdi om-
bre del fogliame parevano giocare, ed il silenzio era appena interrotto
dal pigolio degli uccelli usciti da poco dal nido e dal vicino ronzio delle
api.
Presso le finestre su di un cavalletto era disposta la grande tavola da
disegno, e alle pareti si susseguivano file di libri sino al soffitto. La fi-
la inferiore era disposta in un compartimento alto, opportuno per gli
in-folio, per il grande Hortus Plantarum Mundi e per opere con allumi-
nature a mano, quali ormai più non si stampano.
Sopra quel compartimento sporgevano i ripostigli, che si potevano an-
cora ampliare mediante tavole, coperte di carte occasionali o dei fogli
ingialliti degli erbari.
Quei cassetti contenevano anche una raccolta di piante pietrificate, che
noi avevamo estratte da miniere di calce e di carbone, e fra di esse pa-
recchi cristalli, che si usano esporre come soprammobili, e che a volte
si soppesano in mano, per trastullo, nel mediato conversare.
Sopra le cassettiere si innalzavano le file di volumi di formato minore,
una raccolta di opere botaniche non molto vasta ma completa di tutto
quanto prima d'allora era apparso sulla coltivazione dei gigli. Questa
parte della biblioteca si distingueva in tre diversi rami, formati cioè
dalle opere circa la struttura, il colore e il profumo dei giglio.
Le file di libri proseguivano anche nel piccolo vestibolo e lungo le
pareti della scala, che portava all'erbario. Quivi vi erano custoditi
altri preziosi tomi.
Sovente io salivo presto nell'erbario, ove proseguivo il lavoro sin
oltre la mezzanotte. Quando ci eravamo accasati colà avevamo
fatto foderare in legno quella stanza e avevamo incassato alle pare-
ti una lunga serie di armadi: quivi, nei vari scomparti si accumula-
vano a migliaia i fasci di fogli dell'erbario.
Eravamo venuti all'Eremo con il piano di dedicarci a profondi studi
circa le piante, e cominciammo, secondo l'ordine antico nelle cose
dello spirito, degli esercizi del respiro e dall'imporci un regime nella
nutrizione.
Come tutte le cose di questa terra, anche le piante ci vogliono par-
lare, ma una mente chiara è necessaria per comprenderne il linguag-
gio. Seppure nel loro germinare fiorire e sfiorire si nasconda la falla-
cia, cui niente di ciò che fu creato si sottrae, assai bene però vi si
può intuire l'elemento immutabile racchiuso nello scrigno delle ap-
parenze.
L'arte di rendere in tal guisa acuto lo sguardo, fratello Ottone dice-
va comparabile ad una 'astrazione dal tempo': e riteneva che la pu-
ra astrazione non fosse raggiungibile al di qua della morte.
Dopo che ci fummo stabiliti nell'Eremo notammo che il nostro tema,
quasi contro il nostro volere, si andava ampliando. Forse l'aspra a-
ria dell'Eremo della Ruta dava una nuova direzione al pensiero, co-
me la fiamma arde più chiara e vibrante nel puro ossigeno.....
Il presentimento che un ordine è implicito alle cose incitava anche
noi, poiché l'uomo sente l'impulso a copiare con il suo debole spiri-
to l'opera della creazione come l'uccello nutre in sé l'istinto di costrui-
re il nido. L'intravedere misura e norma immutabile pur al caso e ai
disordini di questa terra era ricchissimo premio alle nostre fatiche.
Nell'ascesa noi ci avviciniamo al mistero che la polvere della pianu-
ra ci nasconde: fra i monti ad ogni nuovo passo il sembiante ingan-
nevole dell'orizzonte si tramuta e svanisce, ma quando infine siasi
giunti abbastanza in alto, dovunque sia, il puro anello, che è promes-
sa dall'eterno, ci attornia.
Invero un lavoro da principianti e un compitare rimaneva quello che
noi così celebravamo; eppure ne proveniva a noi una maggiore sere-
nità, come a ciascuno che non permane nell'ambito di ciò che è vol-
gare.
I giorni scorrevano, come tra sicure sponde, più agili e possenti,
quando il vento di occidente alitava, noi avevamo il presentimen-
to di una gioia senz'ombra e intera....
Ma in primo luogo perdemmo un poco di quell'ansia, che inquie-
ta e confonde la mente come la nebbia che sale dalle paludi. E av-
venne che non tralasciammo il lavoro neppure quando il Foresta-
ro accrebbe la sua potenza nelle nostre regioni e quando lo spa-
vento si diffuse attorno a noi.
Noi conoscevamo il Forestaro da tempo, quale antico signore del-
la Mauretania. Lo avevamo di frequente veduto nei Convegni e a-
vevamo trascorso più notti giocando mangiando e bevendo in sua
compagnia.
Egli era di quelle figure che presso i Mauretani sono considerate
a un tempo come grandi signori e un poco scherzosamente, al mo-
do come al reggimento si accoglie un vecchio colonnello di cavalle-
ria della riserva, che di quando in quando se ne viene dalle sue ....
Terre. La sua ricchezza era ritenuta enorme, e nelle feste che dava
nella sua casa di città regnava l'abbondanza.
Ma i primi segni del male non attardarono a manifestarsi. Quando
dalla Campagna giunsero le voci dei tumulti si pensò a un acuirsi di
vecchi contrasti causati, da vendette familiari; ma ben presto si sep-
pe ch'esse assumevano aspetto nuovo, inusato e ben più cupo.
Il primitivo senso d'onore, che aveva dato legge alla violenza, andò
smarrito, e rimase il puro misfatto, senza apparente ragione. Sem-
brava che agenti e spie, venuti dalle foreste, fossero entrati a far
parte delle fazioni per impadronirsene a scopi estranei.
In questo modo le vecchie forme persero ogni loro senso.
Un tempo, se avveniva di trovare a un bivio un cadavere con la lin-
gua forata dal pugnale, non vi era dubbio che un traditore ivi era
caduto, vittima dei vendicatori lanciati sulle sue tracce.
Dopo la guerra invece si poteva bensì inciampare ancora in cadave-
ri che portavano tale segno, ma ciascuno ormai sapeva trattarsi di
un semplice misfatto.
Sovente la plebaglia, sotto la guida di gente venuta dai boschi, era
solita presentarsi la notte alle fattorie, e se le si rifiutava l'ingresso,
le porte venivan forzate con la violenza.
Queste bande eran dette dei 'Vermi del fuoco', perché usavano as-
salire le case con travi e puntoni, cui erano legate faci ardenti. In
molti caddero sotto le forche di codesti assassini....
(E. Junger; Libro consigliato:
Ernst Junger, Sulle scogliere di marmo)
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