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Intermezzo venatorio (2)
Arrivai all’Albergo della Posta a Martigny verso le quattro del
pomeriggio…
‘Perbacco!’ dissi al padrone posando il bastone nell’angolo del camino
e aggiustandovi sopra il mio cappello di paglia ‘c’è una bella trottata da Bex
fin qui!’.
‘Sei piccole leghe nostre, signore’.
‘Che son poi circa 12 leghe di Francia! E di qui a Chamonix?’.
‘Nove leghe’.
‘Grazie. Fatemi trovare una guida per domani mattina alle sei’.
‘Il signore va a piedi?’.
‘Sempre’.
Compresi che se le mie gambe crescevano nella considerazione del mio
ospite, ciò avveniva certamente a spese della mia posizione sociale.
‘Il signore è artista?’ continuò l’albergatore.
‘Pressappoco’....
‘Il signore pranza?’.
‘Tutti i giorni, devotamente’.
Infatti, siccome i pranzi sono molto cari in Svizzera, e ognuno costa
quattro franchi, prezzo fisso sul quale non è possibile ribattere nulla, nei
miei programmi di economia avevo già da tempo tentato di rifarmi in qualche
modo su quest’articolo; finché, dopo lunghe meditazioni, ero riuscito a trovare
una via di mezzo tra la rigidità scrupolosa degli albergatori e la ribellione
della mia coscienza: si trattava di non alzarmi da tavola se non dopo aver
mangiato per un valore di almeno sei franchi; in tal modo il mio pranzo veniva
a costarmi soltanto quaranta soldi.
Naturalmente, vedendomi accanito all’opera e sentendomi dire:
‘Cameriere; replica!’, l’albergatore borbottava tra i denti: ‘Ecco un inglese
che parla maledettamente bene il francese’.
Si vede che l’albergatore di Martigny non era profondo nella scienza
fisiognomica del suo compatriota Lavater dal momento che osava pormi questa
domanda piuttosto impertinente: ‘Il signore pranza?’.
Quand’ebbe inteso la mia risposta affermativa: ‘Il signore è capitato
bene oggi’ continuò ‘abbiamo ancora
dell’orso’.
‘Ah! Ah!’ feci, mediocremente entusiasta dell’arrosto ‘E’ buono questo
vostro arrosto?’. L’albergatore sorrise scuotendo la testa con un movimento
dall’alto in basso, che poteva tradursi così: ‘Quando lo avrete assaggiato, non
vorreste mangiare altro’.
‘Benone’, ripresi ‘e a che ora si pranza?’.
‘Alle cinque e mezza’.
Guardai il mio orologio; erano soltanto le quattro e dieci: ‘Bene;
giusto il tempo d’andare a visitare il vecchio castello…’.
… Quando rientrai, gli altri viaggiatori erano già a tavola: gettai
un’occhiata rapida e inquieta su di loro; tutte le sedie si toccavano, e tutte
erano occupate; ero senza posto!... Un brivido mi passò per la schiena, e mi
voltai per cercare l’albergatore. Era dietro di me. Mi parve di scoprire sulla sua
faccia un’espressione mefistofelica. Sorrideva!
‘Ed io’ gli dissi ‘ed io, disgraziato!’.
‘Guardate’ mi rispose, indicandomi col dito una piccola tavola a parte,
‘guardate: ecco il vostro posto! Un uomo come voi non deve mangiare con tutta
quella gente là’.
Oh il degno discendente degli Octodurii! Ed io che avevo pensato male
di lui! La mia piccola tavola era apparecchiata meravigliosamente. Quattro
piatti formavano la prima portata, e in mezzo troneggiava un arrosto d’un
aspetto tale da far vergogna a un ‘beefsteak’ inglese!
L’albergatore vide che esso attraeva tutta la mia attenzione. Si chinò
misteriosamente al mio orecchio: ‘Solo....
(Prosegue...)
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