Precedenti capitoli:
Il Paradiso Perduto (80) &
Il Parlamento de'gli animali (81)
Prosegue in:
Filosofi erranti & Frammenti in Rima (83) &
Imperatori d'Oriente (84) &
Volgersi al meglio, ritirarsi dal peggio ovvero: Sinesio (85)
Io
Poliphilo sopra el lectulo mio iacendo, opportuno amico del corpo lasso, niuno
nella conscia camera familiare essendo, se non la mia chara elucubratrice
Agrypnia, la quale poscia che meco hebbe facto vario colloquio consolanteme,
palese havendoli facta la causa et l’origine degli mei profundi sospiri,
pietosamente suadevami al temperamento de tale perturbatione. Et avidutase de
l’ora che io già dovesse dormire, dimandò licentia. Diqué negli alti
cogitamenti d’amore solo relicto, la longa et taediosa nocte insomne
consumando, per la mia sterile fortuna et adversatrice et iniqua stella tutto
sconsolato, et sospiroso, per importuno et non prospero amore illachrymando, di
puncto in puncto ricogitava, che cosa è inaequale amore….
…Hora
li madidi ochii uno pocho tra le rubente palpebre rachiusi, sencia dimorare tra
vita acerba, et suave morte. Fue invasa et quella parte occupata et da uno
dolce somno oppressa, la quale cum la mente et cum gli amanti et pervigili
spiriti non sta unita né participe ad sì alte operatione. O Iupiter
altitonante, foelice o mirabile? o terrifica, dirò io questa inusitata visione,
che in me non sa trova atomo che non tremi et ardi excogitandola.
Ad me
parve de essere in una spatiosa planitie, la quale tutta virente, et di
multiplici fiori variamente dipincta, molto adornata se repraesentava. Et cum
benigne aure ivi era uno certo silentio. Né ancora alle promptissime orechie de
audire, strepito né alcuna formata voce perveniva. Ma cum gratiosi radii del
Sole passava el temperato tempo.
Nel quale loco io cum timida admiratione
discolo, da me ad me diceva. Quivi alcuna humanitate al desideroso intuito non
già apparisce, né ancora silvatica, né silvicola, né silvia, né domestica fera.
Né casa rurestra alcuna, né alcuno tugurio campestro, né pastorali tecti, né
Magar né Magalia se vide. Né similmente ad gli herbidi lochi non videva
Opilione alcuno, né Epolo, né Busequa, né Equisio, né vago grege et armento,
cum le sue bifore Syringe rurale, né cum le sue cortice Tibie sonanti. Ma freto
per la quieta plagia, et per la benignitate del loco, et quasi facto securo
procedendo, riguardava quindi et indi, le tenere fronde immote riposare, niuna altra
opera cernendo.
Et
cusì dirrimpecto d’una folta silva ridrizai el mio ignorato Viagio. Nella quale
alquanto intrato non mi avidi che io cusì incauto lassasse (non so per qual
modo) el proprio calle. Diqué al suspeso core di subito invase uno repente timore,
per le pallide membre diffundentise, cum solicitato battimento, le gene del suo
colore exangue divenute. Conciosia cosa che ad gli ochii mei quivi non si
concedeva vestigio alcuno di videre, né diverticulo.
Ma
nella dumosa silva appariano si non densi virgulti, pongence vepretto, el
Silvano Fraxino ingrato alle vipere, Ulmi ruvidi, alle foecunde vite grati,
corticosi Subderi apto additamento muliebre, duri Cerri, forti roburi, et
glandulose Querce et Ilice, et di rami abondante, che al roscido solo non permettevano,
gli radii del gratioso Sole integramente pervenire. Ma come da camurato culmo
di densante fronde coperto, non penetrava l’alma luce. Et in questo modo me
ritrovai nella fresca umbra, humido aire, et fusco Nemorale.
POLIPHILO TEMENDO EL
PERICULO DEL SCURO BOSCO AL DIESPITER FECE ORATIONE, USCITTE FORA ANXIOSO ET
SITIBONDO, ET VOLENDO DI AQUA RISTORARSE, ODE UNO SUAVE CANTARE. EL QUALE LUI
SEQUENDO, REFUTATE L’AQUE, IN MAGIORE ANXIETATE PERVENE.
Et
quivi quale Achemenide horridulo dal horrifico Cyclope exorava cum solicite et
precarie voce Aenea, più praesto desiderando da gli homini inimici morire che
per cusì horrendo interito. Cusì né per altro modo io precante orai. A pena le
divote oratione sinceramente fusse, cum el core unito orante, contrito et exagitato,
de lachryme perfuso hebbi terminate, fermamente tenendo, che gli Dèi ad la bona
mente occorreno, che sencia mora fora dell’angusto, aspero, et imbricoso nemore
inadvertente me ritrovai.
Et
quasi ad novo dì, da l'humida nocte fora pervenuto. Gli ochii obumbrati, per
alquanto non pativano l’amabile luce. Tutto lurido et moesto, et anxioso. Non
manco niente al desiderato lume ad me parve de essere giunto. Che de uno caeco
carcere chi fora advenisse diloricato delle gravose et molestante cathene, et
uscito de caliginose tenebre. Tutto sitibondo lacerato, et la facia et le mane
cruentate, et da morsicante Urtica pustulate sentendome exanimo, ad la gratiosa
luce pur niuna cosa obiecta istimando. In tanto era sitiente, che delle fresche
aure non poteva refrigerarme, né ancora acconciamente al sicco core satisfare.
…Il
simbolismo dell’ascensione rivela il suo significato più profondo quando viene
interpretato nella prospettiva della più pura attività dello Spirito!
Si
direbbe che liberi il suo ‘vero messaggio’ sul piano della metafisica e della
mistica (anche quando l’una e l’altra presentano risvolti inattesi rispetto
all’ortodossia come abituati a recepirli…). Si potrebbe anche dire che proprio
grazie ai valori espressi dall’ascensione nella vita dello Spirito (elevazione
dell’Anima a Dio, èstasi mistica, e così via) gli altri significati, colti sul
piano del rituale, del mito, dell’onirico, della psicologia, diventano
completamente intelligibili, ci rivelano cioè le loro intenzioni segrete…
Infatti
salire in Sogno o in un Sogno da svegli una scala o una montagna si traduce, al
livello della psiche profonda, in una esperienza di ‘rigenerazione’. Come
abbiamo letto precedentemente, la metafisica mahayanica interpreta l’ascensione
del Buddha come se si realizzasse al Centro del Mondo e perciò come se
significasse il duplice trascendimento dello Spazio e del Tempo. In altri
termini, cioè, possiamo cogliere meglio l’effetto rigeneratore prodotto sulla
psiche profonda dall’immaginazione dell’ascensione e del volo perché sappiamo
(e l’abbiamo per sempre saputo) che – sui piani del rituale, dell’èstasi e
della metafisica – l’ascensione è suscettibile, fra l’altro, di abolire il
Tempo e lo Spazio e di ‘proiettare’ l’uomo nell’istante mitico della Creazione
del Mondo (l’uomo qual Poeta e visionario crea il Mondo….); quindi, di farlo in
qualche modo ‘nascere di nuovo’ rendendolo contemporaneo della nascita del
Mondo.
In breve
e per concludere, la ‘rigenerazione’ che avviene nel profondo della psiche
trova la sua più completa spiegazione soltanto nel momento in cui apprendiamo che
le immagini e i simboli che l’hanno provocata esprimono nelle religioni e nei
mistici l’abolizione del Tempo…
Volendo
dunque io Poliphilo territo et afflicto evaso tanto horrore, le optate aque
sopra le verdose rive exhaurire, cum gli popliti consternato, et in clausura le
dette reducendo, et la vola lacunata, feci vaso da bevere gratissimo. La quale
infusa nel fonte et di aqua impleta per offerire alla rabida et hanelante
bucca, et refrigerare la siccitudine del aestuante pecto. Più grate alhora ad
me, che ad gli Indi Hypane et Gange, Tigride et Euphrate ad gli Armenii, né
ancora è cusì grato alle gente Aethiopice el Nilo. Et ad gli Aegyptii el suo
inundare imbibendo la tosta gleba. Né Eridano ancora alli populi Liguri, quanto
mi se offerivano le acceptissime et fresche rive…
…Ancor
vedo in longo recesso una incredibile altecia in figura de una torre, overo de
altissima specula, appresso et un grande edificio ancora imperfectamente
apparendo, pur opera et structura antiquaria. Ove verso questo aedificamento
mirava li gratiosi monticuli della convalle sempre più levarse. Gli quali cum
el praelibato aedificio coniuncti vedea. El quale era tra uno et l’altro monte
conclusura, et faceva uno valliclusio. La quale cosa de intuito accortamente
existimando dignissima, ad quella sencia indugio el già solicitato viagio avido
ridriciai.
Et
quanto più che a quella poscia approximandome andava, tanto più discopriva
opera ingente et magnifica, et di mirarla multiplicantise el disio. Imperoché
non più apparea sublime specula, ma per aventura uno excelso Obelisco, sopra
una vasta congerie di petre fundato.
L’altitudine
della quale, incomparabilmente excedeva la summitate degli collateranei monti,
quantunche fusse stato el celebre monte arbitrava Olympo, Caucaso, et Cylleno.
Ad questo deserto loco pure avidamente venuto, circunfuso de piacere
inexcogitato, de mirare liberamente tanta insolentia di arte aedificatoria, et
immensa structura, et stupenda eminentia me quietamente affermai. Mirando et
considerando tuto el solido et la crassitudine de questa fragmentata et
semiruta structura de candido marmo de Paro. Coaptati sencia glutino de cemento
gli quadrati, et quadranguli, et aequalmente positi et locati, tanto expoliti,
et tanto exquisitamente rubricati gli sui lymbi, quanto fare unque si potrebbe.
In tanto che tra l’uno et l’altro lymbo, overo tra le commissure una subtilecia
quantunque aculeata, del intromesso reluctata unquantulo penetrare potuto non
harebbe. Quivi dunque tanta nobile columnatione io trovai de ogni figuratione,
liniamento, et materia, quanta mai alcuno el potesse suspicare, parte dirupte,
parte ad la sua locatione, et parte riservate illaese, cum gli Epistyli et cum
capitelli, eximii de excogitato et de aspera celatura. Coronice, Zophori, overo
Phrygii, Trabi arcuati. Di statue ingente fracture, truncate molti degli aerati
et exacti membri. Scaphe, et Conche, et vasi, et de petra Numidica, et de
Porphyrite, et de vario marmoro et ornamento. Grandi lotorii. Aqueducti, et
quasi infiniti altri fragmenti, de scalptura nobili, de cognito quali integri
fusseron, totalmente privi, et quasi redacti al primo rudimento. Alla terra
indi et quindi collapsi et disiecti…
Scavo nella memoria,
scavo la zolla,
scrivo con l’aratro il sogno
nascosto
confuso con il peccato.
La pietra assume visione
di un altro Dio,
per tanti è solo un caprone
mal scolpito.
La pietra mi racconta
un’altra visione,
coniato nel profilo di una moneta,
nella giara antica dove la tomba
l’ha restituita.
Racconta un diverso amore
e la terra di un altro colore.
Racconta la gloria di un altro
peccato,
racconta la storia di un altro
Dio,
forma la statua di un altro
oracolo.
Racchiuso nella pergamena di un Filosofo,
raccolto dalla parola di
un’astronomo,
raccontato per bocca di uno
storico,
intuito dalla mente di un
matematico.
La pietra incide il principio
di un diverso Dio pregato.
La mano,
fossile antico di questo Creato,
scolpisce la forma divina di un
corpo,
ma con la testa di antico animale,
non sacrificato sull’altare.
Adorato come principio del Creato,
mitologia antica, diversa creanza:
insegna l’istinto d’un sogno
proibito,
striscia cammina e poi vola
lontano.
Dona i colori di un diverso
miracolo,
pensiero di vita infinita
creazione,
pian piano diventa la sola
ossessione.
Ricordo questo sogno,
paura mai morta
come una divinità
sepolta,
estinta come lo scheletro
crepato di sete
sulla riva del torrente.
Ricordo la visione di un animale,
lento striscia e mi spia,
forma mai estinta di vita.
Ricordo la terra tremare
al passaggio di quella Dèa.
Ricordo il diavolo assumere
nuova visione,
nel caos di una nuova dimensione.
La pietra mi dona tanti troppi
ricordi mai sepolti,
e assume un nuovo colore,
in questa giornata piena di sole.
(G. Lazzari Frammenti in Rima)
…Il
problema di cotal visione e Viaggio è meno semplice di quanto sembri. Chi di
profondo s’intende concordano nel dichiarare che i dinamismi dell’inconscio non
sono retti dalle categorie dello Spazio e del Tempo (come Colonne entro le
quali il mito compone la propria futura materia teologica divenuta Storia…)
come avviene nell’esperienza cosciente. Jung afferma anche espressamente che, a
causa del carattere atemporale dell’inconscio collettivo, quando se ne toccano
i contenuti, si ha l’‘esperienza dell’eternità’ e che si verifica appunto la riattivazione
di tali contenuti, che si traduce in una rigenerazione della vita psichica.
Questo può anche esser vero, ma sussiste una difficoltà: vi è continuità fra le
funzioni assolte o i messaggi trasmessi da certi simbolismi ai livelli più
profondi dell’inconscio e i significati che rivelano sul piano delle più ‘pure’
attività dello Spirito. E questa continuità è perlomeno sorprendente, poiché
gli psicologi constatano generalmente opposizione e conflitto fra i valori
dell’inconscio e del conscio e i Filosofi oppongono spesso lo Spirito alla Vita
oppure alla Materia vivente…
…In
tanto che risonavano gli mei amorosi et sonori suspiri in questo loco solitario
et desertato, et di aere crassitato commemorantimi della mia Diva et exmensuratamente
peroptata Polia. Omè paucula intermissione se praestava, che quella amorosa et
coeleste Idea, non fusse simulacrata nella mente, et sedula comite al mio tale
et cusì incognito itinerario. Nella quale fermamente nidulata l’alma mia contentamente
cubiculava, quale in tutissimo praesidio, et intemerato Asylo secura.
Dunque
essendo per questo modo ad tale loco pervenuto, ove erano dalla copiosa et eximia
operatione antiquaria gli ochii mei ad tale spectatione furati et occupati.
Mirai sopra tutto una bellissima porta tanto stupenda, et d’incredibile
artificio, et di qualunque liniamento elegante, quanto mai fabrefare et
depolire se potria. Che sencia fallo non sento tanto in me di sapere, che
perfectamente la potesse et assai discrivere. Praecipuamente che nella nostra aetate
gli vernacoli, proprii, et patrii vocabuli, et di l’arte aedificatoria
peculiari, sono cum gli veri homini, sepulti, et extincti. O esecrabile et
sacrilega barbarie, come hai exspoliabonda invaso, la più nobile parte dil
pretioso thesoro et sacrario latino, et l’arte tanto dignificata, al praesente
infuscata da maledicta ignorantia perditamente offensa. La quale associata
inseme cum la fremente, inexplebile, et perfida avaritia, ha occaecato quella
tanto summa et excellente parte, che Roma fece et sublime et vagabonda
Imperatrice…
…Et
cusì tenentise procedevano, uno dapò l’altro, che sempre uno volto alacre era
converso, all’incontro dilla facia moesta dil praecedente. Questi erano sette
et sette, tanto perfectamente fincti di venusta scalptura, cum vivabili
movimenti, cum gli panni velanti volanti. Che d’altro difecto non accusavano il
praestante artifice, si non, che la voce ad una, et le lachryme all’altra non
havea posto. La chorea praedicta in una figura di dui semicirculi, et una
interposita partitione, egregiamente era incisa. Sotto la quale Hemiale figura
vidi tale parola inscripta. TEMPUS.
Evidentemente,
resta sempre la via d’uscita di un ricorso all’ipotesi materialistica, alla
spiegazione per via di riduzione alla ‘forma prima’, qualsiasi sia la
prospettiva in cui situata (tal antiquaria vista…) la comparsa di questa ‘forma
prima’. E’ grande la tentazione di cercare l’‘origine’ di un comportamento, di
un modo d’essere, di una categoria dello Spirito, e così via, in una situazione
antecedente, in qualche modo embrionale. Si sa quante spiegazioni causistiche
sono state proposte dai materialisti di ogni specie e luogo per ridurre
l’attività e le creazioni dello Spirito ad un certo istinto, a una certa
ghiandola o a un certo traumatismo infantile. Sotto certi aspetti le
‘spiegazioni’ delle realtà complesse mediante la loro riduzione a un’‘origine’
sono istruttive, ma non costituiscono propriamente spiegazioni: si constata
solamente che ogni creato ha un inizio nel Tempo, cosa che nessuno pensa di constatare…
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