CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

domenica 26 agosto 2018

SIAMO TUTTI DEI 'POVERI' CRETINI (30)









































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Il cretino (29)

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...Ero rimasto - se ben ricordo - sospeso al Ponte del Diavolo offerto, e certo che codesto modo di scrivere (e non solo grammaticalmente - perché mi si contesta anche la nobile arte dell’incidere sulla pietra come il nobile papiro in digitale tradotto nell’epoca in cui i gradi rilevati e rivelati sono al 451 di un lungo inverno così come il libero mercato impone… e come presto avremo modo d’intendere e volere e con questo leggere….), mi si rimprovera cioè, nei secoli dei lumi precipitati, Ragione e Parola, e con essa, ‘libero intelletto’ al ‘libero mercato’ offerto e mi si apostrofa, di conseguenza non più dal vescovo Nazianzeno a mo’ di mitraglia dettata sempre dal libero ed onesto mercato asservito dalle facoltose api - di cui il Mandiville - di non essere ospite gradito così come il negro anche lui Straniero…

…Le facoltose ‘api’ intendono reciproco assenso e tacito sottinteso velato accordo confinandomi all’esilio quando uccidono il libero arbitrio precipitando in ciò di cui si compone la Memoria (alcolica) offuscata e calunniata in onor di miglior miele o concime… dall’alveare o formicaio prodotto… ed al Bar servito…, giacché proprio lì come all’osteria sembra il formarsi il miglior partito asservito… e con lui il nebbioso offuscato Tempo derivato… quanto unanimemente senza ‘licenza’ di ragione votato…




L’uomo medio è mentalmente pigro e tende ad obbedire alla legge del minimo sforzo. Il mondo mentale dell’uomo comune consiste in credenze (di gruppo) accettate senza interrogarle e alle quali è fermamente legato, egli è istintivamente ostile a qualunque cosa sconvolgerebbe l’ordine stabilito (dalla corsa alla partita dal nuovo globale Colosseo offerta – e - a comode rate mensile proposta) di questo mondo a lui familiare. Una nuova Idea non conforme con alcune sue credenze comporta la necessita di riordinare la sua mente, e questo procedimento gli risulta faticoso [si provvede così - aggiunge il curatore - rimuovere le nuove Idee con inutili dannose ulcerose ‘calunnie’ o disgiunti accenni a motivi di ‘disturbi’ donde i ‘disturbati’ del telecomando liquidano il nobile intento ed ingegno… Così i migliori in altro loco come sempre debbono cercare asilo e riparo….], perché richiede un notevole dispendio di energia intellettuale. Per lui e per quelli che la pensano come lui, idee nuove e opinioni che mettono in dubbio credenze e intuizioni stabilite sono male accettate, risultando sgradevoli. La ripugnanza per queste idee, a causa di pigrizia mentale, è aumentata da un vero sentimento di terrore [da qui la leggenda del pazzo come l’Eretico] con tutte le calunnie che ne derivano… Giacché molto spesso udire il ‘comune unanime pensiero’ è cosa da far inorridire ogni più elevato Cielo e con questo la Cima per la vera vetta aspirata di cui e donde la vera Vita negata… il perché lo analizzeremo dappresso… 




Siamo tutti stranieri in questo mare navigato ed alla riva come all’inizio dei tempi approdato nella difficile salita verso la luce della vera Vita, giacché come la Storia di cui il cretino liberamente favella nella propria lussuosa stamberga, pur non conoscendone i meccanismi che governano il miele del proprio sragionamento, intende il tacito controllo della libertà d’ogni dilettevole a lor unanime giudizio –  retto pensiero – da qui cosa inteso per retto pensiero e giudizio?

Cosa - in verità e per il vero - regola e marca la differenza nella retta parola e libero Eretico Pensiero? –

Mi debbo scusare quindi con questi nobili Signori se ogni tanto scrivo in Rima e la ricerca della Verità più evoluta comporta una difficile scelta inquisita ed isolata; ringrazio loro di poter entrare a pieno titolo nell’alveare della Storia, ricordando che forse non troppe ‘perle’ bisogna offrire all’allevamento così come all’alveare eternamente sospeso nei propri illuminati giudizi divenuti grugniti soprattutto quando ogni ‘libero’ bandito [ed il ‘bandito’ godere l’onore di miglior mensa offerta] da chi governa e cura cotal nuova istruzione giacché le statistiche in merito per il fiero apicoltore indicano una massiccia partecipazione al totale insindacabile principio da cui ogni forma di cultura accresciuta e derivata elevando l’estetica della dovuta e pilotata ‘visione’ alla parabola di diversa dottrina, e perseguendo, così come e sempre la Storia, ogni ragionevole Profeta e la strana Visione circa codesta Vita da tutti indistintamente reclamizzata anche con la fiera e durevole calunnia, giacché le api emettono sempre il loro indistinguibile sibilo di cui ogni copioso allevatore va pur fiero… nel nuovo mito così innestato… et anco digitalizzato….

(il curatore non ancor curato risponde a tutti i fedeli)


L’istinto di conservazione si fossilizza in una dottrina conservatrice per la quale le fondamenta della società sono minacciate da qualsiasi alterazione nella sua struttura…  



L’eredità illuminista non è fatta soltanto di idee, ma anche di compromessi impuri, perché la filosofia, come tutte le manifestazioni culturali della nostra civiltà, risente di certi interessi, interessi che all’epoca tendevano a fare il gioco della classe media e del suo potere in via di consolidamento, contribuendo a fondare e proteggere le sue aspirazioni e il suo benessere economico.

L’esempio di Voltaire (come quello di Reclus) mostra come sia facile far convivere queste opposte esigenze.

…La paradossale doppia eredità del XVII secolo ovvero la contraddizione tra l’agire interessato della classe media e la sua immagine di sé, da sempre fonte di un certo grado di ipocrisia è giunta fino a noi in una successione ininterrotta. Anche noi parliamo volentieri di diritti umani universali, ma la crescita economica dei nostri paesi dipende in misura ancora maggiore che un tempo dallo sfruttamento di persone e risorse naturali.




Se la contraddizione è rimasta invariata, però, il contesto è oggi completamente diverso. Nel XVII secolo il cambiamento climatico non era ancora percepito come un evento globale, e anche in caso contrario le società europee non avrebbero saputo rispondere in modo più efficace, perché il metodo scientifico non era ancora riconosciuto in tutta Europa, i rapporti di potere erano troppo radicati nella dimensione locale e le influenze politiche tradizionali troppo rigide per lasciare un margine di manovra. Oggi sappiamo che il cambiamento climatico che ci attende è una conseguenza dello sviluppo industriale della nostra specie. Siamo ancora incapaci di prevedere tutte le sue ricadute, ma sappiamo che decisioni rapide e determinate ci consentiranno di renderle meno catastrofiche.

Siamo la prima generazione nella storia del genere umano ad avere un’idea piuttosto precisa dell’eredità che toccherà in sorte ai nostri posteri. Certo, gli scenari futuribili messi a punto dagli scienziati sono soltanto dei modelli fondati su semplificazioni e approssimazioni matematiche, ma se non altro, a differenza degli uomini del XVII secolo, oggi siamo consapevoli del modo in cui il nostro comportamento influisce su certi importanti meccanismi. Un vertice sul clima come quello che si è chiuso a Parigi nel 2016, con le sue tiepide risoluzioni destinate a entrare in vigore solo a distanza di cinque anni, e quasi certamente per venire violate, manipolate e crivellate da eccezioni di ogni sorta, non è una risposta convincente alla crisi che stiamo attraversando, ma piuttosto un segno della scarsa forza di volontà con la quale ci apprestiamo ad affrontare trasformazioni radicali, e questo nonostante il margine di gioco per cercare quantomeno di governarle si stia progressivamente riducendo.




Le nostre risposte, di fatto, non sono molto più efficienti di quelle dei nostri antenati, che pure non capivano la situazione: sono caotiche, improvvisate, imbastite di malavoglia a ridosso di catastrofi sempre più frequenti, immancabilmente viziate dall’obiettivo a breve termine della crescita economica e della conservazione dell’attuale grado di benessere. Perdiamo di vista la necessità di adattarci al nostro ambiente naturale, come tutti gli organismi viventi, specialmente quando alcune tipologie di risorse alimentari iniziano a scarseggiare, e il fatto che il processo di adattamento porta necessariamente con sé trasformazioni supplementari destinate a influire su tutti gli aspetti della nostra esistenza e del nostro pensiero.

Ci attendono rivolgimenti importanti, per cui faremmo meglio a sfruttare fin da ora il privilegio evolutivo che ci è stato concesso, cioè la capacità di progettare. Oggi come allora la crisi colpisce innanzitutto i presupposti economici della nostra esistenza materiale. In epoca tardofeudale si trattava della produttività della cerealicoltura, oggi dello sfruttamento delle risorse naturali, condotto al limite estremo, e forse già molto oltre. I costi ecologici e i rischi connaturati alla produzione e alla promozione delle fonti di energia fossili e delle relative materie prime aumentano vertiginosamente, mentre le prime vittime del riscaldamento globale della crosta terrestre sono già costrette ad abbandonare le loro terre d’origine.




Il rischio di depauperare il pianeta al punto da non poter più sopravvivere (e da trascinare con noi nell’estinzione anche le altre specie viventi) si è fatto oggi concreto. La soluzione che in età moderna ci ha permesso di sopravvivere alla precedente crisi climatica, la crescita economica fondata sullo sfruttamento, si è trasformata in una minaccia per la nostra esistenza. Non è questa la sede per esaminare le alternative all’economia della crescita, cosa che peraltro è già stata fatta da autori ben più competenti, come Amartya Sen o Robert Reich. È tuttavia evidente che un modello economico orientato in modo esclusivo alla crescita, e come tale ancora legato a un’idea del commercio inteso come dispiegamento di una forma di potere, cioè una guerra proseguita con altri mezzi, risulta sempre più improbabile, e per ragioni puramente pragmatiche, non per considerazioni morali, oltre a rischiare di provocare danni sempre più gravemente irreversibili.

Sul piano delle relazioni internazionali l’imperativo della crescita porterà a conflitti per il controllo dei mercati (come già accaduto nel XVII secolo e a ridosso della Grande guerra). Una volta soddisfatti i bisogni di base e saziati i bisogni artificiali all’interno di un dato spazio vitale, i mercati ricercano per necessità nuovi territori da sfruttare per poter crescere ancora, scontrandosi in modo inevitabile con altri mercati mossi dalla stessa ambizione. La crisi si allargherà e aggraverà fino a che il prezzo da pagare in termini di esperienza collettiva non risulterà troppo oneroso, costringendoci a rivedere le nostre tattiche. È probabile che molti esseri umani soffriranno nel corso di questi sviluppi, ma anche noi, come i nostri antenati all’epoca della piccola era glaciale, finiremo per dover reinventare le nostre pratiche e le nostre metafore economiche, politiche e culturali.




I primi testimoni del cambiamento climatico ragionavano quasi senza eccezione da un punto di vista religioso. Quel maltempo catastrofico era un castigo divino, la natura era percepita come un universo morale incentrato sui principi cristiani. Rispondere alle grandinate primaverili o alle fasi di siccità con digiuni, preghiere, processioni o roghi di streghe sembrava all’epoca la strategia giusta.
                      
Si potrebbe affermare che la dottrina del libero mercato sia una riproposizione degli ideali illuministi in chiave alleggerita. La sua differenza rispetto ad altre tradizioni liberali, quella che fonda la sua specificità, è legata a un problema annoso: il modo in cui una società è tenuta a concepire e proteggere la libertà.

Le opportunità di far valere e vivere la propria libertà sono equamente distribuite?

Il mercato è un level playing field, un campo da gioco perfettamente piano nel quale chiunque può avere successo grazie all’intelligenza e al duro lavoro?
















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