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La guerra degli Elementi (8/1)
Prosegue in:
Imparare di nuovo a camminare (10)
Come avevo capito molto tempo prima in un
altro deserto, camminare è il modo in cui il corpo si misura con la Terra.
Ma dove era cominciato?
(Era cominciato con un breve accenno e rimando:
lui a me ed io a lui qual invisibile Dialogo fra due pazzi… Ragion per cui
proseguiamo…)
…Rousseau pensava che la vera natura
dell’umanità si potesse trovare nelle sue origini e che comprendere le origini
volesse dire capire chi siamo e chi dovremmo essere. Il problema delle origini
dell’uomo ha subito una grande evoluzione da quando Rousseau ha abbozzato una
descrizione di qualche usanza extraeuropea cucendola con teorie sul ‘buon
selvaggio’. Ma con il tempo la teoria secondo cui ciò che eravamo in origine –
che in origine significhi nel
1940 o tre milioni di anni fa – corrisponde a chi siamo o dovremmo essere ora
si è soltanto irrobustita.
I testi divulgativi e gli articoli scientifici
continuano a dibattere se apparteniamo a una specie violenta e assetata di
sangue oppure a una specie sociale, e quale tipo di differenza tra i generi sia
inscritto nei nostri geni. Spesso si tratta soltanto di storie senza fondamento
su chi siamo, potremmo essere o dovremmo essere, raccontate da chiunque: dai
conservatori che si chiedono se la tradizione sia adeguata, ai salutisti, che
pensano che dovremmo adottare una qualche dieta alimentare primordiale appena
scoperta. Ovviamente, questo tipo di dibattito dà un’impronta fortemente
politicizzata al problema delle origini. Gli scienziati che studiano le origini
dell’umanità (così come quelli – aggiunge l’autore del blog – che disquisiscono
sul Clima…) disputano sulla questione della natura umana e negli ultimi anni la
deambulazione è diventata uno dei temi centrali del dibattito.
Mentre i filosofi non hanno granché da dire
sul significato della deambulazione, di recente gli scienziati hanno avuto da
dire moltissimo. Paleontologi, antropologi e anatomisti hanno dato vita a una
discussione appassionata e spesso partigiana su quando e perché la scimmia
ancestrale si drizzò sulle zampe posteriori e cominciò a camminare, e lo fece
per tanto tempo che il suo corpo si trasformò nel nostro corpo, assumendo la
stazione eretta e diventando bipede. Quelli che stavo cercando erano i filosofi
della deambulazione, coloro che non cessavano di indagare come ogni forma
corporea possa spiegarne la funzione e come, alla fine, le forme e le funzioni
si siano sommate a formare la nostra umanità (anche se è ugualmente oggetto di
dibattito in cosa consista tale umanità).
L’unico dato certo è che camminare eretti è
il primo segno distintivo di ciò che sarebbe diventato umanità. Quali che siano
le cause, esso è stato causa di molto di più: ha aperto nuovi e vasti orizzonti
di potenzialità e, tra l’altro, ha creato quel paio di arti di riserva, le
braccia, che pendono dal corpo eretto alla ricerca di qualcosa da impugnare o
da fare o da distruggere, e che furono liberate perché potessero evolversi fino
ad acquisire la capacità di manipolare il mondo materiale in modo sempre più
sofisticato.
Secondo alcuni studiosi, il bipedismo è il
meccanismo che ha regolato l’espansione del nostro cervello, altri invece
vedono in esso la struttura che ha determinato la nostra sessualità. Così,
sebbene il dibattito sulle origini del bipedismo rigurgiti di descrizioni
dettagliate di articolazioni dell’anca e di ossa del piede e di metodi di
datazione geologica, in fin dei conti ruota sempre sul sesso, sul paesaggio e
sul pensiero.
In genere, l’unicità dell’essere umano viene
rappresentata in termini di coscienza. Eppure anche il corpo dell’uomo è
diverso da ogni altra cosa sulla Terra e, in un certo senso, ha dato forma alla
coscienza. Non c’è niente che nel regno animale somigli a quella colonna di
carne e di ossa sempre sul punto di cadere, a quella torre instabile e superba.
Le poche altre specie a due zampe – come gli uccelli o i canguri – sono dotate
di una coda o di altre strutture anatomiche che servono loro per restare in
equilibrio, e la maggior parte di questi bipedi più che camminare saltella.
Il lungo passo alternato che ci sospinge in
avanti è unico, forse perché si tratta di una soluzione molto precaria. Con le quattro
zampe appoggiate sul terreno, i quadrupedi sono stabili quanto un tavolo, mentre
gli esseri umani in piedi su due gambe sono in equilibrio instabile già prima
di cominciare a muoversi. Anche fermi in piedi sono un trionfo dell’equilibrio,
come sa chiunque abbia visto un ubriaco o sia stato a propria volta ubriaco.
Quando si legge una relazione sulla
deambulazione umana può accadere che la Caduta faccia pensare alle altre cadute, agli innumerevoli
capitomboli di una creatura che, diventata eretta all’improvviso, per muoversi
deve equilibrare tutto il proprio mobile peso su un piede solo.
Ha scritto John Napier in un suo saggio sulle
origini remote della deambulazione: ‘La deambulazione umana è un’attività unica
nella quale, passo dopo passo, il corpo vacilla sull’orlo della catastrofe […]’.
Il bipedismo dell’uomo appare potenzialmente
catastrofico perché l’unica cosa che impedisce all’essere umano di cadere a
faccia in giù è il movimento ritmico in avanti prima di una gamba e poi
dell’altra.
Questo fenomeno si riscontra più facilmente
nei bambini piccoli, nei quali i molti aspetti, che con la crescita si
concateneranno senza soluzione di continuità per diventare deambulazione, sono
ancora goffi e distinti. I bambini imparano a camminare civettando con i
capitomboli: prima inclinano il corpo in avanti e poi si spostano lesti per far
tornare le gambe sotto il corpo. Sembra che le loro gambette paffute e arcuate
indugino sempre o riguadagnino il tempo perduto, così che spesso il bambino
vive ripetute frustrazioni prima di riuscire a padroneggiare quest’arte. I
bambini cominciano a camminare per inseguire desideri che nessuno realizzerà
per loro: il desiderio di raggiungere quello che si trova oltre la loro
portata, il desiderio di libertà, di indipendenza dai confini sicuri dell’Eden
materno.
Così camminare comincia come una caduta
rinviata, e la caduta incontra la Caduta.
Si può pensare che in un dibattito
scientifico la Genesi sia fuori posto, ma sono
stati spesso gli scienziati a trascinarsela dietro più o meno inconsapevolmente.
Come i miti della creazione, gli articoli scientifici si sforzano di
spiegare chi siamo, tanto che alcuni sembrano rifarsi al mito cruciale della
cultura occidentale, quello di Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden.
Mentre, il giorno prima, Pat stava facendo
una scalata per puro piacere, io mi ero stesa all’ombra e, sfogliando
pigramente la sua guida, mi ero divertita a leggere il nome di alcune vie di
arrampicata su e giù per le migliaia di giganteschi massi del parco: ‘Filo interdentale
presbiteriano’ si trovava vicino a ‘Stuzzicadenti episcopale’, mentre ‘Demonietti
su un paralume’ ironizzava sull’arrampicata elegantemente chiamata ‘Figure in
un paesaggio’; poi c’era un gran numero di giochi di parole sui cani barboni o
che alludevano alla politica o all’anatomia per indicare altre vie verticali su
per le rocce.
Quella sera, mentre gli leggevo la teoria del
bipedismo e la quaglia passeggiava per il cortile posteriore e il sole al
tramonto allungava le ombre delle colline nella valle, Pat giurò che avrebbe
costretto gli amici che avevano scoperto e battezzato molte delle vie di
scalata del parco a chiamare la prossima ‘Vigilanza copulatoria’, oscuro
monumento a una teoria su come avevamo perduto la capacità di arrampicarci e, a
suo parere, una di quelle di più ampio respiro sulle origini dell’uomo.
[….Quando le condizioni ambientali variano
e si rincorre per piacere o per istinto, per riposo o per salute, tutte gli
stati di quiete che offre la montagna, dobbiamo saper distinguere per gradi gli
intenti che motivano ciascuno di noi a quelle particolari condizioni di stato
d’animo. Poi in base a questo, capire e decifrare i gradi di coscienza in
ciascuno. Quando l’atto diventa (poi) puro istinto, allora possiamo dire che la
fuga verso la fonte del nostro - io originario - ha raggiunto un alto grado di sensibilità
e simmetrica consapevolezza con tutti gli elementi che ci circondano. Una
empatia riclassificata per altra ed estranea patologia, taciuta alla normale
comprensione dell’essere alla natura e con essa al mondo, soffocata e piegata
alla materiale consistenza della presunta civiltà. Posta negli scaffali della
grande biblioteca della storia dell’uomo come antico ‘dèmone’ da sconfiggere
per una croce o una filosofia mai compresa ed accettata. Per taluni saremmo
regrediti ad uno stato pre-umano e quindi animalesco e istintivo da selvaggi.
Per altri, avremmo raggiunto un livello di simmetria con tutti gli elementi
esterni che ci rapportano ad una percezione sicuramente differente da come
solitamente siamo portati a misurare e comprendere le nostre emozioni. Sembra
che ogni singolo elemento scorra in noi… e noi in loro. G. Lazzari L’Eretico
Viaggio]
Sussman disse: Quando cominciammo questo
lavoro, e non credo sia immodesto parlarne, quasi tutti quelli che si
occupavano del problema sostenevano che l’evoluzione umana si fosse svolta
nella savana, nei campi aperti del veldt sudafricano
o nelle savane dell’Africa orientale. Io credo che sia un mucchio di
sciocchezze. Penso invece che l’afarensis abbia vissuto nella foresta e nei campi aperti a mosaico
come quelli che si trovano oggi nel Congo francese o lungo i fiumi dove ci sono
molti alberi. A parer mio è probabile che per milioni di anni un animale che si
arrampicava e un apprendista bipede siano convissuti. Aggiunse che i vecchi
disegni che ricostruivano questa fase dell’evoluzione rappresentavano creature
che camminavano per la prateria, ma nessuno le aveva mai rappresentate in un
habitat molto più composito, e gli articoli più recenti del National
Geographic erano corredati da
illustrazioni che le rappresentavano nelle foreste e, alcune, sugli alberi.
Il fatto che le creature abitassero nella
foresta e si arrampicassero sugli alberi era diventato talmente ovvio, disse
Stern, che nessuno si era dato la pena di riconoscere a Stern stesso e a
Sussman il merito di essere stati i primi ad avanzare questa ipotesi. Le loro
argomentazioni si mangiavano la coda: gli ominidi avevano imparato a camminare
per avventurarsi nella savana ed erano sopravvissuti nella savana perché erano
camminatori competenti. E la savana appariva come un’immagine di libertà, di
spazio illimitato in cui anche le opportunità erano illimitate, uno spazio più
nobile della foresta primordiale, meno simile alla foresta aperta dei camminatori
solitari di Rousseau che alle giungle in cui Jane Goodall e Dian Fossey avevano
condotto i loro studi sui primati.
Più tardi Stern disse: Quello che mi dà più
da pensare è il modo in cui camminavano. Ho scritto un articolo in cui dicevo
che non è possibile che camminassero come noi. Non è né rapido né efficiente
sotto il profilo energetico… Abbiamo torto?
In realtà, il loro modo di camminare era
invece ottimale?
Intervenne Sussman: ‘Oppure coniugavano un
eccellente modo di arrampicarsi sugli alberi con un bipedismo merdoso e le
proporzioni si invertirono a poco a poco […]’.
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