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Il trionfo della morte (......)
Jack non
più imperatore per altrui difettevole intelletto accompagnato da ugual
piacevole antico diletto; così Jack di nuovo ho incontrato alla cima ove ogni
antico Sentiero da pellegrino-trovator-ricercato-braccato… incamminato… Ed ogni
Albero preservarne e raccontarne l’antica memoria persa linfa vilipesa offesa
squartata dal degrado cui il vil Progresso incamminato - o peggio - degradato al
vapore sulfureo di nobile merda in mostra di se stessa.
Odo le
voci o meglio neppur quelle rumori ed amplessi di ferraglie antiche
accompagnare ciò che fu’ e mai più sarà scalciare alle porte d’un Sentiero
perduto nel traguardo ove l’idiota lucidato elmo e casco ciarla con il cavallo
fedele compagno in due ruote alla zoccola assiso guardare e desiderarne il
meccanico amplesso taciuto… Mentre la Natura nomina la Rima compone Poesia
opera siffatta Pazzia nel perseguitato (ri)Quadro ove si compone la meccanica
mosca d’una Parabola taciuta. Avversare tutto ciò che non sia nobile mer… Ed a Lei
rinnovo antico amore (ri)trovato ed anche celebrato. Meglio la pazzia che cotal
scempio avvistato. Meglio la radice saziare e sfamare la fame giacché lo sterco
promette pugna e vendetta in nome della falsa ricchezza…
A loro
dedico urli non meno di nobile Rime così rinvigorite antiche di chi ha
profanato cotal castello come un Tempo smembrato al pari di Jack e il comandato
oltraggio affinché il Pensiero possa liberamente circolare dal corpo precluso offuscato
intelletto squartato e di rimando al cuore pulsare amore non ancor divorato da Jack
così annunciato nell’indomato materiale appetito cui affidare Parabole non meno
di numerate Gesta antiche dell’eterna conquista….
LA DAMA
RECLAMA AMORE. La donna così difesa rafforza l’ardore… La Natura recita la Rima
quando Jack imperator sorge dalla melma della propria eterna Pugna…
I. Nel mio fino cuore regna un sì fino
amore, ch’io canterò, sebbene si diffonda il gelo invernale, poiché fiori,
canto d’uccelli o foglia o verdura non mi debbono piacere, salvo soltanto le
gioie d’amore. M’inspirerò dunque ad amore, che mi tien gaio, per i miei canti
ed ho buoni motivi d’inspirarmi a lui. E chi si voglia faccia canzone o danza
sopra i canti degli uccelli, che io non ho volontà di far versi se non del
piacere d’amore, che senza amore non vi fu mai felicità.
II. E se la gioia è bandita dai maggiori
e dai ricchi e se non esistono né lealtà né dirittura, e invece regnano
avarizia e falsità per opera di orgoglio insieme con ‘dismisura’, non pertanto mi lascerò dal
cantare, poiché non bisogna accrescere il danno, che è grande. Se essi fanno
male, ne sopportino le conseguenze sgradevoli, che io non sono colpevole e non
voglio avervi parte; per contro voglio cantare d’amore e procurarmi gioia, del
che mi lodo e ho, per di più, ancora fiducia.
III. Mi meraviglio di tutti i reclamatori
che vanno protestando contro amore e se ne lamentano. Fra tutti i sinceri
amanti mai non vi fu alcuno che meglio amasse senza falsità di quanto io stesso
ho amato e amo e amerò. Orbene: se amore fosse tormento all’amante, io avrei dovuto
aver sentore poco o molto di codesto tormento, tanto lungamente amore mi ha
tenuto in suo potere; ma egli non mi ha dato mai dolore e, per contro, mi ha
sempre fatto vivere in allegrezza.
OGNI SELVA
RINNOVA AMOR TACIUTO E PERSEGUITATO DALL'ALTRUI VIL PASSO. Selva rinnova
amor taciuto dalla Terra alla Radice e questa di rimando alla Foglia del Ramo
proteso nella sintesi d’un più nobile Pensiero perseguitato, non dite a Jack di
qual Amore si narra in codesta Rima. Jack l’Imperatore del Progresso un antica Pugna
rinnovata e avvistarne le membra fra merli impauriti e mute rocce a difesa
nella tutela di più nobile Poesia assisa nel proprio antico Regno… è un dovere
antico. Ed ispirare volgare accenno da quanto da sempre annunziato nella lotta
fra il bene ed il male così rimato che avanza…: nel ricorrente rinato andirivieni
ugual cantato: salir e calar e di nuovo con tal agitato fiato calar e salir
coprirsi l’elmo ed ancor d’un fiato dall’alto al basso e di rimando… L’inutile
indistinguibile Pugna mima dilettevole arte antica in difetto del sano puro
intelletto proteso in platonico gesto… a difesa dell’amata Natura così offesa…
I. Non so se debbo cantare, tuttavia ne
ho voglia, sebbene a voler essere giusti, non dovrei averne desiderio, perché
conviene, per cantare, aver gioia, mentr’io non l’ho. Nondimeno non voglio
tenermi dal cantare, che ben facilmente potrei guarire dal male d’amore (che
temo molto che mi faccia soffrire) pel fatto che il canto adduce spesso un gran
bene. Io non oso sperarlo, questo bene, tanto ne sono desideroso, ma tuttavia
voglio cantare, perché ne ho comunque questo conforto: che se il cantare mi
piace, esso non mi fa del male, quand’anche non riesce a farmi del bene.
II. Io mi pensava avere sufficiente
saggezza e forza d’animo per poter guarire dagli assalti d’amore, ma in verità
mi sono trovato ingannato, perché amore mi ha vinto e mi tiene in suo dominio.
Ma io affermo che la colpa non è mia, anzi è tutta quanta dei miei falsi
compagni, perché ho avversari [mentre dovrebbero essermi appunto compagni] gli
occhi e il cuore. E chi, stando di fuori, si trova ad avere un avversario entro
la propria casa, non può avere una lite più straordinaria.
III. Io era come una spessa selva, prima
che i miei occhi mi avessero falsamente tradito per lei, che mi conquistò
ridendo. Mi pareva di non dover paventare l’assalto d’amore, che la selva non
avrebbe da temere l’ascia, qualora questa non fosse aiutata (nella sua opera di
demolizione] dal maniaco di legno Jack. Ed io, o Amore, non vi avrei temuto, se
i miei occhi non mi fossero stati avversi; ma essi, gli sleali, mi hanno
tradito, come il legno dell’ascia tradisce la selva.
IV. Che voi entraste Amore, per i miei occhi,
entro il mio cuore, e il cuore ebbe torto di albergarvi senza mio consenso. Ma
dal momento che gli occhi, quieti, vi hanno compiaciuto, rallegrateli, per
vostra cortesia, come si conviene a buona signoria. Non vi prego per me, so!
che rendiate gioiosi questi traditori che mi hanno messo il desiderio in corpo.
E, in verità, merito una ricompensa da Dio, per la ragione che intercedo per
coloro che mi fanno un male da morirne.
V. Sebbene, o Amore, io sia tra i vostri
sudditi un poco per forza, tuttavia oso chiedervi la mercé di non essere verso
di me privo di pietà, che così come voi siete forte nel conquistare, io sarò
forte, sia saggezza o follia, nel servirvi, e non darò ascolto al mio senno,
che mi rimprovera; e non credo che nessuno sia mai stato più timoroso al vostro
riguardo; ma ben sapete che siccome il servirvi procura agli uni dolore, così
anche gli altri temono di averne a soffrire.
VI. Però, o Amore, dal momento che mi
avete fatto innamorare della pili bella di tutto il mondo, di ciò sono soddisfatto,
e la maggior gioia l’attendo da voi, o donna, perché non volete ancora rendermi
con tento... — O falso, io ti rendo contento, perché non ti vedo mai senza
sorriderti. — È vero, ma io temo che ci sia sotto un inganno. — Non temere, che
questo dev’esserti di grande conforto... — Questo? che cosa? — Che il riso
prende origine da cuore innamorato. — Certo, se viene però da donna leale, — O
folle, tale sono io e non faccio sembiante menzognero.
VII. Buona donna, la vostra gentile
risposta mi fa tanto piacere e mi ha reso tanto contento, che ho dimenticato il
mio tormento e il mio male; ma non fatemi troppo aspettare la ricompensa, se
Dio vi salvi.
IL
DISPREZZARE IL LAVORO D’ALTRI: rami intelletti sparsi e coperti di nobile neve
solo per rimembrare l’antico ardore di aver ispirato l’amore a cui ogni cantore
alla propria diletta rimembra la Natura persa da tanta troppa villania… Non un
urlo né la vista solo il disprezzo di chi profana tal Bellezza…. E anche avessi
offeso o vilipeso codardi apostrofati e nominati per nome o cani sparsi mi
duole giacché offendete il mio amore… Giacché profanate lo Spirito per sempre ammirato
difettevoli di vista e Anima che meglio aggrada e nobilita degna Parola. Ad
ogni vostra ed altrui merdata preferisco la radice di cotal Dottrina
perseguitata…
I. Saprei
fare anch’io, se volessi, versi oscuri abili e ingegnosi; ma non conviene
affilare il proprio canto con tanta fina maestria che non appaia chiaro come la
luce del giorno; che il poetare ha poco valore se la chiarezza non gli dà
splendore, poiché il poetare oscuro è tuttavolta considerato come morto, mentre
rivive grazie alla chiarezza. Ond’io canto sempre chiaramente.
II. Altrettanto bene canto d’inverno quanto d’aprile,
sol che ve ne sia il motivo, e apprezzo di più, chiunque sia che si attenga ad
altra opinione, chiari detti ben lavorati che parole oscure strettamente
legate; e non mi pare che abbia tanto onore, sebbene creda averlo maggiore, colui
che lega e serra fra loro le parole del suo canto, quanto ne ha colui che lo
rende gradevole con la chiarezza. Onde, quando canto, procuro di cantare in
modo chiaro.
III. E chi per questo mi disprezzasse o me ne
rimproverasse, so bene che su ciò non si troverebbe d’accordo con quattro
uomini sopra mille; e dato che un sì gran numero d’uomini fosse del mio parere, se egli
ne ricavasse disonore, dovrebbe incolpare la propria leggerezza; e questa è una
ben grande follia: che alcuno, che non sa trarre acqua da un chiaro ruscello
(che, cioè, non sa far nulla di bene), fa motti oscuri, come se avesse un
intelletto superiore.
IV. Un’altra
stoltezza, degna d’una femmina, e che nasce da invidia insieme con fellonia,
fanno coloro che si danno villanamente a biasimare 1’opera altrui. Ma perché
mai appunto colui, che non saprebbe farlo, disprezza il lavoro d'altri? Questa
reputo una grave colpa e tale da non essere certo di mio gradimento, perché
inspirata soltanto da animo malvagio; ond’io consiglio ciascuno di guardarsene.
V. Ma io
amo una donna signorile, gaia e di bella affabilità, i cui atti sono chiari e
gentili e nutriti di un fino pregio, che li inspira. Essa è tanto cortese che
sempre quando mi vede mi soccorre, per amore, con un suo piacente sorriso. E il
bacio, che essa mi accordò, mercé sua, mi ha già messo sulla via per
conquistare la grande onorata gioia (di essere da lei amato).
VI. Di
mia libera volontà e con umile cuore sono tutto sotto il suo dominio e non ho
intenzione di distogliermene, campassi mill’anni ; che tanto verso lei m’inchino
con umile dolcezza che mi terrei ricompensato del mio dolore, se anche non
ottenessi nulla di meglio; ma la mia dama, che è saggia, con le sue belle
virtù, mi esalti, dal momento che io tanto mi umilio.
VII.
Donna Natura, canto di voi e d’amore, per la qual cosa i più mi considerano folle;
ma non mi considererebbe tale chi sapesse donde viene la ispirazione al mio
cantare, lo però desidero di più che mi si consideri folle (e non si conosca l’oggetto
del mio canto).
VIII.
Piacente donna, io evito ogni altra gioia e da voi mi vengono le gioie, delle
quali vivo.
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