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Giardini dell'Anima...
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Introduzione all'Introduzione (1/2)
Non
riuscivo più a fermarmi, scendevo sempre più veloce dal bosco da cui ispirato
da un vecchio monaco taoista avevo scritto una preghiera, in una decina di
minuti mi sono ritrovato in una valla isolata….
Gli alberi
che fiancheggiavano i gradini nascondevano il cielo, attutivano il sibilo del
vento ed io quasi non sentivo più le sottili gocce di pioggia. Il bosco si
faceva sempre più buio, mi domandavo se per caso non fossi arrivato nella
foresta che si scorgeva dal tempio. Non ricordavo di aver fatto quella strada
all’andata, ma quando mi sono voltato e ho visto la quantità infinita di
gradini scesi ho concluso che sarebbe stato troppo duro salire un’altra volta
per ritrovare il vecchio percorso.
Tanto
valeva proseguire.
I gradini
erano sempre più malconci, non come quelli dell’andata. Mi sono reso conto
allora di essere finito nell’altro versante della montagna, così mi sono
lasciato portare dalle gambe proprio come quando, arrivata la sua ora, l’uomo
lascia l’Anima discendere agli inferi senza frenarne la corsa. Di tanto in
tanto mi voltavo indietro perplesso, poi la visione dell’inferno mi ha sedotto
e ho smesso di pensare. La sommità sferica dei pilastri di pietra ai lati del
buio sentiero somigliava a tante teste calve. Giù nella valle sembrava ancora
più umido, i pilastri tutti erosi e sbilenchi parevano ancora di più teschi
allineati. Cattivi pensieri sul vecchio maestro taoista mi si affacciavano alla
mente, forse era stato lui con i suoi poteri magici a farmi smarrire la strada.
Il panico
allora ha preso il sopravvento e mi ha gettato in uno stato confusionale…
Mi sono
ritrovato avvolto nella foschia…
Il bosco si
faceva sempre più buio, le umide lastre di pietra e i grigi pilastri
rischiarati dalla luce parevano cadaveri. Marciavo tra ossa biancastre, le
gambe non mi obbedivano più, con un moto inarrestabile mi trascinavo nel
baratro della morte… Dovevo fermarmi e abbandonare al più presto quel sentiero,
approfittare di una curva per lanciarmi nel bosco e incurante di spine e
arbusti aggrapparmi a un albero e frenare la corsa.
Mani e
faccia mi dolevano, dal viso colava qualcosa, forse sangue. Ho alzato allora la
testa e ho visto sul tronco un occhio tondo che mi fissava. Mi sono girato, sui
fusti vicini e lontani si spalancavano occhi enormi che mi scrutavano gelidi.
Era una
foresta di alberi e Spiriti....
Dopo averne
estratto il liquido i boscaioli avevano lasciato intagli sui tronchi, e così
era sorto quel paesaggio infernale.
Posso
metterla in un altro modo.
Era solo
un’allucinazione dovuta alla paura, la mia cattiva coscienza mi spiava, la
moltitudine di occhi era la mia coscienza che mi scrutava. Continuo ad avere la
sensazione di essere sempre spiato, cosa che mi fa sentire male. In realtà è
solo paura di me stesso. Tornato sul sentiero la pioggia continuava a cadere
fitta e le pietre erano bagnate. Ho smesso di guardarmi intorno e ho continuato
a scendere alla cieca.
Superato il
primo momento di panico, di paura della morte, placata l’angoscia e
l’agitazione, resta lo smarrimento. Perso in una foresta vergine immersa in una
quiete di tomba indugi sotto un albero morto sul punto di crollare. Giri
intorno allo strano arpione che sembra indicare il cielo coperto, riluttante ad
abbandonare il tuo unico punto di riferimento, forse il tuo ultimo offuscato
ricordo.
Non vuoi
fare la fine del pesce infilzato nell’arpione, meglio recidere gli ultimi fili
che ti legano a questo mondo così familiare piuttosto che esaurire le energie a
frugare nei ricordi. Certo puoi perderti di più, ma conservi un barlume di
speranza, è perfettamente comprensibile.
Sul
limitare della foresta, in prossimità della vallata, devi decidere se tornare
nell’immenso bosco o scendere a valle. Sul versante ombreggiato della montagna
si apre un ampio pascolo d’altura, punteggiato dall’ombra di qualche raro
albero. Le nere pareti a strapiombo sono nude rocce. Chissà perché, sei
attratto dal ruscello che scorre impetuoso a fondovalle, e senza riflettere
allunghi il passo, poi prendi a correre. In un lampo ti rendi conto che non
tornerai più nel mondo, pieno di affanni, sì, ma con ancora un po’ di calore.
I ricordi
lontani ti pesano…
Senza
volere gridi e ti lanci verso il tenebroso fiume dell’Oblio…
Corri,
gridi, urla bestiali di gioia erompono dai polmoni.
Sei venuto
al mondo gridando a più non posso, poi precetti, divieti, buona educazione e
cultura ti hanno azzittito. Adesso finalmente hai riconquistato la gioia di
gridare in libertà ma, strano, non senti più la tua voce.
A braccia
aperte corri, urli, ansimi, urli di nuovo, ma non esce suono. Vedi un rivolo
d’acqua impetuoso, non distingui da dove provenga né dove sia diretto. Come in
balia del vento ti senti sciogliere tra la nebbia e le nubi, senza peso ti
rilassi, avverti una sensazione di liberazione mai provata frammista a una
lieve paura, ignori di cosa: è malinconia, più che altro.
Ti sembra
di planare, spaccarti in due, disperderti ai quattro venti, perdere il corpo,
fonderti sereno nel paesaggio, fluttuare come sottili filamenti di ragnatela
nella cupa valle. Sei tu quei fili, in un indescrivibile spazio.
Tutt’intorno
aria di morte…
Hai i
polmoni freddi, il corpo ghiacciato…
Cadi, ti
alzi, urli e riprendi a correre…
La
boscaglia si fa più fitta, è più arduo avanzare.
Sprofondi
tra gli arbusti, con le mani scosti i rami senza sosta. Richiede molta più
calma ed energia che scendere dalla montagna. Stremato ti fermi a riprendere
fiato e ascolti il fiume. Sai di essere vicino, senti il gorgoglio delle acque
nel greto nero. Non è forte, ad ascoltare attentamente è come uno scrosciare di
sassolini. Non avevi mai prestato tanta attenzione al fiume, a forza di
ascoltare ne intravedi il riflesso scintillare nel buio.
Hai
l’impressione di camminare in acqua, di calpestare piante acquatiche. Sprofondi
nel fiume dell’Oblio, le piante ti avviluppano come angosce. In un istante
svanisce anche la disperazione e ti fai strada a tentoni nel greto. Cammini sui
ciottoli, ti aggrappi con le dita dei piedi. Sei nel tenebroso fiume degli
Inferi, solo nel punto in cui zampillano gocce d’acqua simili a palline di
mercurio brilla una luce blu scuro. Sei alquanto sconcertato ma nella sorpresa
si cela un’immensa gioia.
Senti un
profondo sospiro, pensi provenga dal fiume, piano piano ti accorgi che non è
una, ma diverse donne annegate. Si lamentano, gemono, ti passano accanto, i
lunghi capelli sciolti e i visi pallidi, senza un filo di colore.
Nel fiume,
tra le radici degli alberi dove gorgoglia l’acqua che si frange, c’è una
ragazza. Si è tolta la vita, i capelli che ondeggiano nell’acqua. Il fiume
attraversa una boscaglia dove non penetra un filo di luce, non si vede un lembo
di cielo, le donne ti passano accanto gemendo. Non hai intenzione di trarle in
salvo: non vuoi salvare neanche te stesso.
Comprendi
che stai errando nell’Aldilà, la vita non è più nelle tue mani, è una sorpresa
continuare a respirare. Il destino è sospeso tra l’attimo precedente
e quello successivo allo stupore. Se scivoli, se le pietre cui ti
aggrappi con le dita dei piedi rotolano via, se il piede non riesce a toccare
il fondo, anneghi nel fiume infernale come i cadaveri che vengono a galla e che
non fanno che gemere.
E’ tutto
qui il senso…
Inutile
darsene pena, vai avanti e basta!
Il placido
fluire del fiume, le acque nere come la morte, le foglie dei rami che sfiorano
la superficie, la corrente che scorre come fossero lenzuola trascinate via o
come pelli di lupi morti.
E’ tutto
parte del fiume dell’Oblio.
Tu non sei
poi tanto diverso dal tuo lupo…
Hai fatto
abbastanza danni e sei stato azzannato da altri lupi. Inutile trovare un senso.
Anche se nel fiume dell’Oblio ci fosse più equità il traguardo di uomini e lupi
sarebbe sempre la morte.
La scoperta
ti rende così felice che hai voglia di urlare, gridi ma il grido non esce,
l’unico suono è lo sciacquio contro le voragini sotto le radici degli alberi.
Da dove
vengono?
Le acque
non hanno confini, non sono molto profonde ma non hanno argini. C’è un detto.
Il mare della sofferenza è sconfinato. E tu flutti nello sterminato oceano.
Una lunga
fila di ombre umane intona un canto funebre. Non è triste, ha qualcosa di
buffo. La vita è allegra, la morte anche. Sono i tuoi ricordi a suggerirtelo.
C’è un coro che intona un sutra nelle
immagini che affiorano dalla memoria? Se ascolti attento la melodia sembra
salire dal muschio quel tappeto alto e morbido che sprofonda nel fango.
Lo sollevi
e una miriade di vermi scappa in tutti i sensi.
Ti assale
il disgusto.
Ti rendi
conto che sono vermi vivi che si cibano dei cadaveri in putrefazione dei morti,
e anche del tuo corpo vivo e oggi come domani ne faranno banchetto.
Sono vermi
vivi e scappano da tutti i lati…
(Gao Xingjian, La montagna dell’Anima)
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