CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 6 novembre 2020

IL REGNO DEGLI SPERDUTI (5)

 









Precedenti Frammenti...:


Si raccontò poi, molti anni dopo... (4/1)


Prosegue con il...:


Mal di mattone (ovvero ogni stagione porta i giusti frutti seminati) (6)


& la rima quasi al... 'completo' (7)









…Lasso Piacenza giammai detta o con cui pongo disdetta a brevi mano & prendo lo camino per Milano capitale dell’intero Regno Longobardo...

 

Credeva io di vederlo in quella maniera edificato, che già co suoi dotti versi lo descrisse Ausonio Gallo, cio è circondato di tre mura, e questa città molto grande, posta in un ricco piano, la cui grassezza, & bassezza istimo sia potissima cagione, che vi si ritrovino tanti gottosi, & si malamente vi s’invecchi. Armava per altri tempi cento mila cavaglieri, & chiamavasi la seconda Roma, chi hora lo vedesse havendolo prima veduto, direbbe, quello per certo non è Milano, egli non è d’esso, non vi è stata città in Europa già molti anni sono, tanto flagellata, & si duramente percossa, & meritamente tuttavia è estenuata, essendovi longamente state le usure publiche.

 

Quivi s’è ritrovato donna à guisa di Lupa affamata divorare i fanciulli, & un fratello giacersi carnalmente con tre sorelle, & tre fratelli godere una sorella; il figlio la madre, il cio la nipote, il cognato la cognata…




 Quivi si sono ritrovati huomini si crudeli per ogni valle incontrati evitati, che da niuna ingiuria mossi, sol per esser l’un guelfo, & l’altro ghibellino, vivi gli hanno arrostiti, & mangiatoli del fegato, e dentro’l corpo posto del fieno, et del orzo, & adoperato i corpi humani per mangiatoia de cavalli.

 

Quivi sonosi trovati huomini, che hanno amazati nella propria chiesa i religiosi mentre cantavano li divini ufficij, & Iddio lodavano, ne una sola volta questo è accaduto; s'è trovato uno, di furore tanto accecato, che non si vergognava di dir impudentemente ch’egli volessi far un lago del sangue ghibellino. Non si sono vergognati in questa citta huomini per nobiltà di sangue riguardevoli molto di starsi al bosco, & assassinare indiferentemente chiunque li capitava alle mani…

 

& quai cose piu di queste mostruose ne vedere, ne udire si possono?

 

Non è bugia ciò che vi racconto: il fratello uccide il proprio amico fedele, & il traditore ne beve ingordo il sangue tratto, così me l’han raccontato…




S’è ritrovato una Femina detta Fiorina la quale di quatro mesi ci ha dato parto perfetto & maturo.

 

Quivi sono huomini che cacano strazzi.

 

Qui si veggono huomini del continuo Tosi, Crespi, Calvi, Selvatici convertiti in Draghi, Capre, Cavalli, & Corvi.

 

Quivi sono Taverne che danno splendidamente mangiar e bere senza danari o pegni, ma se non paghi il doppio i denari gratis, t’ammazzano mentre non li ai ancor contati…

 

Quivi è la schiatta di Caino col spirito deriso di Abel.

 

Sono in Milano e per ogni valle parimenti non solo huomini & donne assatanate, ma ancho ci sono delle pietre sante e lanciate; & ecci una setta da una gran femina retta, la qual si sforza di ridur i suoi seguaci alla battismale purità & innocentia, & del tutto mortificarli, & per quanto m’è stato rifferito da persone degne rette & di fede, per far prova della mortificatione fa coricare in un medesimo letto, un giovane di prima barba o membro retto & una bella puttana, & tra di loro vi pone il crocifisso per meglio consumarla, la dove sempre a goduto e gode ancora; certo per mio humile consiglio meglio farebbe ella se vi ponesse un gran fascio di spine ò di ortiche… ma mi dicono che anche quelle gli son gradite fra le dure scoscese cosce…




 E' in Milano una sorte de Medici, che non sa medicare salvo che col fuoco & col pugnale, anchora che per il resto d’Italia habbia conosciuto de molti signori titolati, non ho pero trovato conti si belli & si gioiosi come in Milano.

 

Hor mentre contemplo diligentemente questa città mi stupisco come si facilmente doventi preda di chi la vuole, essendovi oltre il castello principale, che si giudica da dotti architetti inespugnabile, molti altri castelli, castelletti, & castellacci...

 

Da questa diabolica terra partiti in spatio di due giorni venemmo nella Val Telina, altri chiamano questi popoli Vultureni, & altri vogliono sieno Rheti, ho ancho letto che sieno delle reliquie dell’esercito di Pompeio et nel vero vi sono huomini bravi, di buona fede, cortesi & amici de forestieri. Hor qui bevei vino dolcissimo, & insieme piccante, ilquale non nuotando nel stomaco, secondo la proprieta de vini dolci, ma cercando tutti i meati del corpo, miracolosamente conforta chiunque ne beve.




 Quivi sono vini stomatici, odoriferi, claretti, tondi, raspanti, & mordenti. Essendo in Tilio al presente detto Teio, d’onde ne hebbe già il nome la valle, e ritrovandomi nelle case del cortesissimo, et humanissimo S. Azzo di besta, bevei di un vino detto il vino delle sgonfiate, credo fermamente ch’egli sia il miglior, che al mondo si beva. S’è piu fiate veduto tal isperienza, esser l’infermo abbandonato da medici & per morto da cari parenti pianto, et solo col vino delle sgonfiate essersi risanato & preso tal vigore, che pareva si fussero raddoppiate loro le forze…

 

Hor nel Viaggio incontrai una volpe con due code, & un cane con dui capi, ma diciamo di Brescia, che non vi viddi io di maraviglioso?

 

Vidi andar i Cavriuoli & le Cavriuole per la Città, per i Boschi, & per larghe campagne senza temere ne cani ne lupi ne alcuno ingordo, et rapace cacciatore. Tra molti Cavriuoli uno ve n’era giovanetto, grasso, di pel rosso, tutto piacevole, & ottimo musico. Vennemi ancho veduto per la città passeggiando una gentile & gratiosa Cavriola incoronata di camamilla. Vidi molti Gambari di vario colore, negri bianchi & bigi, & vidi una altiera & ricca Gamberessa, che haveva di molte uova et diligentemente le custodiva & per ogni via cercava moltiplicarle…non caminavano cotesti gambari all’indrieto & piu volentieri stavano all’asciuto che al molle.




Ho veduto in Brescia le stelle à mezo giorno, non meno chiare di quelle che la notte appaiono. Vidi una picciola Liona miracolosamente danzare & con l’ago mirabilmente lavorare, bella, & affabile; non vi era chi la vedesse, che incontanente non se ne innamorasse. Beato quel lione à cui tocchera di abracciare si vaga Lionella.

 

Vidi in Bergamo Tassi vigilantissimi. Zanchi, che adoperar sol sapevano la mano dritta, & qui vidi huomini allegri tra quali uno Pietro Poeta ci conobbi, dal cui candido petto uscivano rime piene di dolcezza.

 

Vidi in Crema huomini in lupi convertiti, non sia adunque per l’avenir chi mi dica esser ciò cosa favolosa, oltre che vi è il testimonio di Evante scrittore presso de Greci non sprezzato & di Demarco Parrasio, ilquale in un sagrificio fatto à Giove Liceo si voltò in Lupo.




 Fu ancho Licaone da Giove in lupo convertito. Quivi si trasformò per divino miracolo un bel Cespo di Artemisia, in una bella & leggiadra Fanciulla & ne ritenne il nome. In Crema habitano i S. Agnoli, inditio chiaro & illustre della felicità cremasca. Hor intendendo che in Trento il giorno di S. Lucia celebrar si doveva il tanto desiderato Consilio pel cui mezo si sperava dovesse riunirsi il diviso christianesimo & riformar la vita de mali chierici & non sol de chierici ma de principi christiani usurpatori delli altrui beni.

 

Evvi un’hoste di buon’aria, affabile, & acconciamente discreto & s’egli non temesse la moglie, sarebbe miglior compagno ch’egli non è.

 

Il di seguente con alcuni altri gentilhuomini, n’andammo à far la riverentia al principe Madruccio, ilquale buona pezza con dolcissimi ragionamenti con larghissime offerte, & con manierose accoglienze, ci tratenne; la onde tutti in questa opinione cademo ch’egli fusse degno d’un Papato ò d'un imperio. La mattina di S. Lucia ci appresentamo al tempio di S. Vigilio, udemo l’oratione di Monsignore Cornelio vescovo di Betonto piena di sottil artificio sparsa de Retorici colori come se tempestata fusse da tanti rubini & diamanti. Egli vi haveva consumato dentro tutti i pretiosi unguenti di Aristotile di Isocrate di M. Tullio & tutti i savi precetti di Armogene.




Che maraviglia è adunque s’egli ci puote insegnare dilettare & commovere, ispetialmente essendo dotato di una voce simile à quella del Cigno?

 

È veramente questo valent’huomo la gloria di Piacenza l’honore del ordine seraphico & il splendor dell’episcopal collegio. Si aspettarno i Lutherani ò protestanti, che li vogliamo chiamare longamente; ne mai apparvero, ne si sapeva la cagione, credevano molti si rimanesser per essergli stato promesso il concilio altrove che in Trento. Feci disegno partirmi di Trento dopo alcuni giorni, per molti rispetti quai non accade raccontare & cosi mi aviai alla volta di Mantoa… 

 

Da Ferrara piglio la strada ver Padova, et giunto à Rovigo, mi ricordai del Celio Rodigino mio honorato precettore, per tenerezza fui sforzato piagnere si gran perdita. Giunto poi in Padova ricordammi subitamente delle grandezze sue del numeroso popolo che l’haveva, delli infiniti cavaglieri & de i singolari privilegi da Romani lor conceduti, mai certo vi fu città che de simili ne havesse, hora la trovai quasi desolata & me ne venne gran pietà…




 Vado alle scuole de legisti, sto ad udir ciò che dicono di bello, appartenente al viver civile & alla unione de cittadini & non odo salvo che contradittioni, l’uno impugnar l’altro & oscurar il vero à piu potere. Eravi tal legista che per insegnare à litigare era con gran stipendio pagato & ciascuna lettione li valeva piu di 60 scudi…

 

vado alle scuole de philosophi, penso udir favellar di giustitia, di prudentia, di modestia, di fortezza, di castità, et altre simili cose, penso veder huomini gravi & ornati non di barba & di pallio come erano i philosophi della grecia, ma de bellissimi costumi, penso veder molti Socrati, molti pithagori et molti Platoni et ingannato mi ritrovo non odo favellare salvo che di materia, della quale parevami che n’havessero pieno il capo…

 

Di forma, non so se di Cacio o da informar stivali di privatione non so parimenti se intendessero de danari ò di senno.

 

Entro nella scuola de Metaphisici nella qual pensai udir ragionare della divina maestà delle celesti Gierarchie della perpetua felicità de beati, ma ecco che per molti giorni io non odo parlare d’altro che di ente et uno.




Vomene ad udir chi trasordinariamente leggeva i libri dell’anima & penso ch’egli m’habbi ad insegnar qual cosa adoperar mi debba per salvar l’anima, che Satanasso non ne faccia rapina, come guardar la mi debba da peccati che gloria che triumpho se le aspetti dopo morte.

 

& ecco che non intendo altro che opinioni che è composta di fuoco, che è composta d’acqua, che è di color purpureo, tutta nel tutto & tutta in qualunque parte del corpo che è seguace della complessione corporale che la non si cava dalla potentia della materia ma che ella se ne viene di fuori, & non dice donde & che la si separa come l’incorruttibile dal corruttibile…

 

Vennermi a fastidio questi tanti scaldabanchi, queste rabule, questi loquaci corbi, ne potei sofferir di piu udirli, per il che, io mi diedi tutto all’investigatione delle cose notabili, dirò adunque come in Padova & non in altra parte hò trovato huomini & donne dotte, non è adunque da maravigliarsi ciò che si legge della dottrina di Probavaleria, di Eudoxia, di Nicostrata, di Telesilla, & di Aspasia, ho parimente veduto huomini & donne con i capi di vacca & hocci veduto huomini in galline convertiti…




Vi hò conosciuto un Sperone formato da Iddio, non per isperonar giumenti, ma per speronar la gioventu Padovana alla virtu & alle buone lettere. Io ci conobbi uno che Frigendo melica era divenuto non men dotto, che riccho già si divenisse in Piacenza un’altro per seccar melica. Vi conobbi un gentilhuomo ilquale vedeva le cose future & non vedeva le presenti. Fu il mio albergo col gentilissimo S. Pio delli Obizzi per il cui mezzo conobbi l’affabile & gratiosa M. Lucretia reloggia.

 

Fastidito di star in Padova per la brenta già detta Meduaco, mi condussi alla maravigliosa & possente Vinegia:

 

Chi potrebbe ridir il piacer ch’io hebbi in quella barca?

 

Vi erano alcuni scolari Forlani c’havevano il capo sopra della berretta, piu furiosi di Athamante & di Oreste; vi erano frati di color bigio bianco & nero. Donne da partito, Barri & Giudei. I scolari favellavano alla scoperta senza rossore de carnali congiungimenti; i Frati se ne mostravano alquanto schifi & sorridevano facendo il bocchino della sposa. Le buone femine girando gli occhi qua & la, cercavano di adescare i mal accorti, eravi un Giudeo, ilqual veniva allhora di Damasco pieno di arte maga, faceva apparir gli huomini cavalli, Asini, Cani, & gatte. Fece apparir un Lione, et poi mostrandogli un gallo lo fece incontanente sparire.

 

Egli faceva arrestar gli uccelli nel mezo del lor volo, faceva venir i pesci a riva, sapeva la virtu di tutte l’herbe, haveva notitia di tutte le lingue, sapeva costui di arte maga piu assai di Cetieo, di Dardano, di Democrito, di Zoroaste, & di Gobria. Suscitò costui un giorno pioggia, si come anchora fece Arnupho egittio per abeverare l’esercito di M. Antonio.

 

Vi era ancho un Romagnuolo con una cetra & si dolcemente la sonava che pareva un Iopa; un Philamono, un’Apolle, un Terpandro, & un Dorceo… 

 

 

Che cosi cantava & a Voi dotti eccelsi dedicata:...


(Dotte eccelse menti... or prosegue...)






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