CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

sabato 18 marzo 2023

DIALOGO A TRE IN UN MONDO PERDUTO (3)

 







 






Precedenti capitoli 


di un Mondo Perduto










Prosegue dal Diario 


di Juan Pasamontes... 


& con giochi di specchi (4)







Tutto quanto è ed esiste è un sentire, quello che ognuno di noi è stato sempre e senza interruzione. Da dove può un sentire, una sensibilità, cogliere qualche nozione di cosa possa essere un non-sentire, un tempo senza eventi, poiché solo c’è, solo esiste, ciò che è avvenuto, il nostro esserci nella nostra sensibilità? 

 

La nostra eternità, un sognare infinito uguale al presente e certissimo.

 

Mi si potrà dire che ci sono sogni che finiscono, sogni che diventano così ribelli da non essere più recuperabili: ci sono sogni che si occultano, occultamenti di sogni che forse esistono ma che non vedremo né riconosceremo più.

 

Tali occultamenti esistono solo per un Sognare esitante: ci sono sogni che reclamano per ridare pienezza alla nostra anima, un 'anima traboccante, una certezza senza ombra nella nostra decisione di sognarli.

 

Chi può sapere quante volte in questa debolezza del Sognare abbiamo scacciato l’illusione dei sogni che tornano, abbiamo miscreduto, negato la visita piena e totale che ci offriva qualcuno che Tornava dall’Occultamento! 

(M.F.)




 Or dunque serbate a mente il mio sincero consiglio, senza distrarvi!

 

Deh, uccelli, uccelli grandi e uccelletti giovani, che avete la fortuna di essere qui adunati! Ascoltate con reverenza, senza distrarvi!

 

Le cose del mondo sono simili a un sogno, a un’illusione: qualunque cosa vediate, quale sostanza ha mai?

 

Una buona abitazione costituita di questi tre: terra, pietra [e] legno, una ricchezza costituita di questi tre: cibi, abiti [e] gioielli, e schiere numerose, autorevolezza, amici e servitori in abbondanza, sono come arcobaleni in cielo, analoghi a una fata morgana.

 

Gli esseri che li prendono per veri si illudono.

 

Nipoti e zii, fratelli e sorelle, i numerosi amici intimi, coppie di coniugi, figli, i numerosi amici cari, vicini sinceramente felici e i numerosi cari amici, sono come gli amici in sogno e un forestiero incontrato per strada.

 

Gli esseri che li prendono per veri si illudono.




Un corpo illusorio composto di un siero di linfa e sangue, le propensioni [generate] dall’abitudine ad azioni cattive in [vite] precedenti, e le menti stesse, che considerano le cose come reali, sono simili a fiori autunnali, alle nubi del cielo.

 

Se invero li prendete per eterni, uccelli [qui]adunati, vi illudete.

 

L’elegante piumaggio delle penne variopinte del pavone, la nostra stessa voce melodiosa, che alterna toni alti e bassi, e le circostanze propizie che ci hanno radunato qui ora, sono simili alle parole dell’eco e ai giochi illusionistici.

 

Non prendendo per vere queste cose, meditate sulla loro illusorietà!

 

Le nebbie dei laghi, le nubi del Sud che si addensano in cielo, la schiuma del mare agitato dai venti, e frutti e sementi di cui si prendono cura i mesi della stagione estiva, non rimangono per sempre: si dissolvono presto, in un istante. Non considerando permanenti queste cose, meditate sulla loro illusorietà!




 [….]

 

Anche noi che siamo qui radunati, siamo radunati soltanto in un sogno.

 

Anche coloro che nascono nascono soltanto in un sogno.   

 

Anche coloro che periscono periscono soltanto in un sogno.

 

Anche coloro che diventano Buddha, lo diventano soltanto in un sogno.

 

Se si vaga nel ciclo dell’esistenza si vaga in un sogno.

 

In che modo si conosce la propria vera natura?

 

Poiché, se si taglia la radice dell’errore, non c’è assolutamente nulla che esista davvero, cercate di vedere la verità nella vostra propria mente! Io vi ho introdotto alla natura delle cose prodotte .

 

Così parlò.




Il cuculo, grande uccello, soggiunse:


Ora noi, riuniti in questa occasione, ci sentiamo come esseri felici e contenti. Per il moltiplicarsi dei discorsi sulla dottrina, il frutto [di tale] azione sarà buono. L’anno prossimo, nel quinto mese mongolo, dopo essere con venuti nello Yarlùn, grande terra degli uccelli, accrescendone la fertilità del suolo, faremo un incontro con gli uccelli del Tibet. Nel frattempo [possiate godere di] buona salute! 


D’ora innanzi non perdete la comprensione della dottrina!

 

Impartite questi precetti conformi alla dottrina agli uccelletti e uccellini che non sono arrivati fin qui!.

 

Così parlò.




Poi tutti gli uccelli offrirono in abbondanza al grande uccello i frutti che costituivano il cibo specifico di ciascuno di loro. Dopo avere compiuto una prosternazione e un giro di circumambulazione [intorno a esso ], ciascuno ritornò alla propria dimora. Il grande uccello si pose in uno stato di perfetta meditazione.

 

L’anno successivo, durante la luna crescente del quinto mese, il grande uccello emerse dalla meditazione e partì per il Tibet. Quindi si posò sulla tacca di un albero  dello Yarlùn, grande terra degli uccelli, affinché il nutrimento dell’elemento terra fosse accresciuto. 

(Bya chos rin-chen ’phreng-ba)




 A questo metafisica punteggiatura del nostro Viaggio, entra in scena, inaspettato, l’Autore, noi che siamo lettori di questa visione poco gradita, prendiamo consistenza metafisica della sua fisica evolutiva; del peso della mole che attorno si trascina e trascina; ovvero, l’intestinale consistenza veicolata dal linguaggio alla lingua del nuovo palato.

 

Non gradita perché?

 

Ogni lettore si domanda e spera.

 

Orfani impreparati prossimi al Nulla, morti ancor prima di nascere nell’oblio della perenne partenza, il Viaggio assume materia di conquista quotata alla dottrina del non-sapere; se Nulla comprendi dell’avvenire e sai di non sapere quindi sai, e pur non sapendo circa il sapere, volgi gli occhi al Cielo e contempli il grado a cui esposta l’avventura… dell’Autore!     




Al rifacimento - o completo disfacimento - dell’originaria Idea, la quale hora si preannunzia tridimensionale in èstasi assoluta, volteggiare padrona della materia proiettata e distribuita in compatibile versione contemplativa senza pensiero alcuno che non sia dell’Autore che arrampica deambula cammina e suda.

 

Dal suo ed altrui sudore nasce l’olimpica fisica dell’Opera, si dispiega la nebbia del mattino, all’alba ci si avvia al tramonto senza hora aver consumato in èstasi assolutistica, giacché il digiuno raccomandato ad ogni lettore in cerca del significato a cui l’autore preannunzia la dottrina, salvandolo ovviamente, dal disfacimento della nuova Metafisica! 

 

Essendo autore d’ogni indottrinamento simmetrico al potere dell’Essere ed Avere, noi in questo suo essere e divenire, contrapposto al nostro non-essere Nulla, in Nessuna vallata scritta e sofferta come rimpianta, transitati per ogni epica avventura, rimaniamo estasiati circa la sua grammatica, la punteggiatura, il frastuono del punto esclamativo, l’avverbio, che quando giunge al nostro orecchio come un suono primitivo, ci lascia senza fiato. Senza udito. Senza parola, neppur la prima negazione conferita al comparire della strofa, la quale vaga dalla riparata caverna fin sulla Cima.

 

Il rumore del Nulla!




Solo affogati nelle crepate acque d’una sabbia antica troppo antica per Essere dal non-Essere descritta!  

 

Essendo autore di se medesimo fuori se stesso in cordata mista eppure non ancor approdato alla Cima seppur increato, quindi oggettivato e postulato come ciarlato: Eterno; Nulla o Tutto possiamo opporre al suo imperscrutabile disegno.

 

Hora, in questa difficile hora senza Autore del Tempo concesso e permesso, quando dal suo incontro ogni Pensiero e Parola si assembrano e ricompongono alla dottrina del canone del Vento prepagato, lo vediamo salire, arrampicare e conquistare la Cima dell’Eterna avventura, noi quali lettori dell’impareggiabile Opera, lo acclamiamo e salutiamo, e quali morti in vita, osservato nel baratro del Sentiero ove precipitato, ne prendiamo Atto in qual Tempo omaggiamo. 

(Giuliano)




 Si è potuto fare, alla fine, il romanzo modello, che presentiamo approfittando di un frastornio curioso provocato dall’aggirarsi tra i letterati del personaggio Juan Pasamontes, che come tutti sanno — compreso lo stesso Socrate che nulla sapeva e tutti quelli che sanno soltanto che lui l’ha detto — è quello che continua a figurare da due o tremila anni, dalla letteratura greca e romana, in ogni romanzo di vero impatto e modernità che non assomiglia a un altro in niente, nemmeno per il fatto di avere Pasamontes.

 

Si è sempre riconosciuto questo protagonista, nella posizione immutabile che lo rende interessante fino ad affliggere: Juan Pasamontes avventurandosi spinto dall’amore nella scalata di una montagna con precipizi degni di montagne da romanzo, è caduto per qualche metro in uno di questi, cosa che è sempre una sfortuna e soprattutto se accade proprio quando la narrativa deve inderogabilmente iniziare; prova di ciò è che essa inizia descrivendo questo incidente che serve nel romanzo a farlo cominciare e nella vita di Pasamontes a sospenderla, nel lettore a mantenerlo sospeso per la preoccupazione e nel racconto a farlo procedere: è l’unico antidoto efficace per farla finita con il lettore singhiozzante.




Pasamontes è molto in alto e rischia molto ma la storia prosegue, come le cronache poliziesche che non iniziano finché non accade qualcosa; e il girovagare di Pasamontes sulla montagna con animo allegro e contento, comincia a compiacere i lettori e l’autore solo quando lo vedono mettere il piede in fallo con grande rischio e pericolo. Ed è aggrappato all’ultima pianta o arbusto, la punta del piede sulla piccola sporgenza di una pietra instabile, sfinendosi fatalmente in grida e sforzi a trenta o più ignorati metri dal fondo di quello che già dobbiamo iniziare a chiamare abisso.

 

Tutto il romanzo è raccontato mentre lui si trova in tale situazione e alla fine bisognerà spiegare al lettore come è stato salvato.

 

Non credo che si possa concepire un intreccio romanzesco che possa mantenere il lettore più legato a sé, contando su di lui fino alla fine, e più sospeso, senza mai distoglierne l’interesse; non credo che esista un procedimento migliore che dia per certa la partecipazione del lettore a tutte le pagine; anche se tutte, fra la prima e l’ultima, fossero in bianco (come la neve), come succede quasi sempre, in fondo — promessa di trama, promessa di uno scioglimento, promessa di caratteri, promessa di unità e di congruenza, non mantenuti — il lettore non ne salterebbe nemmeno una.




Pertanto, per un romanzo modello e in niente simile ad un altro, non c’è nulla come questo Juan Pasamontes, personaggio di tutti i romanzi, poiché è la personificazione di ogni trama: esordio e scioglimento, senza niente nel mezzo da districare, o intreccio con una soluzione simulata.


Sospeso nell’aria, da lui pende l’attenzione di tutti i lettori; io ne avevo bisogno per la cosa più difficile, fare iniziare il romanzo e far sì che il lettore iniziasse a svolgere il suo compito. Sia perché Pasamontes lo fa meglio di chiunque altro procurando questi due inizi difficili il lettore crede di essere lui stesso a rendere la cosa più difficile — sia perché egli ha fatto credere in queste due difficoltà, con lui autore e lettori intraprendono le loro rispettive fatiche in modo più scivoloso.

 

Scivolate e sospensioni qui sono stati d’aiuto.




Entrando, Recienvenido appendeva il suo cane all’attaccapanni dei vestiboli; gli operai della Ford appendono il berretto, un tipo di movimento, come dice il signor Ford, tanto lieve quanto quei movimenti che, nell’officina, costituiranno poi il lavoro della giornata; io appendo un personaggio preso in prestito e lo riprendo all’uscita per restituirlo, ma nell’interim, trascino il Lettore in un coinvolgimento così intenso da farlo pentire di ogni futuro Singhiozzare.

 

Il metodo sia gradito a ogni autore futuro. 

(Macedonio Fernandez)




Green Boots è solo uno dei circa 200 cadaveri nella Zona della Morte del Monte Everest e poiché il recupero di cadaveri come Green Boots è praticamente impossibile, ognuno come lui viene nominato e utilizzato come punto di riferimento nella Zona della Morte.

 

Gli alpinisti che tentano di raggiungere la vetta dell’Everest in genere trascorrono molto tempo all’interno della Zona della morte (altitudini superiori a 8.000 metri (26.000 piedi) e affrontano sfide significative per la sopravvivenza.




Le temperature possono scendere così in basso nella Zona della Morte che qualsiasi parte del corpo umano esposta all’aria può provocare un congelamento istantaneo. Un’altra grave minaccia per gli scalatori è la pressione atmosferica che in cima al Monte Everest è circa un terzo della pressione a livello del mare o 0,333 atmosfere standard, con conseguente disponibilità di solo circa un terzo dell’ossigeno normale per respirare.

 

Molte delle persone che si trovano nella Zona della Morte sono semplicemente andate a dormire e non si sono più svegliate.

 

Anche se, chi vorrebbe?

 

Le condizioni meteorologiche estreme sull’Everest significano che molti corpi vengono scoperti mostrando piccoli segni di decomposizione... 

(…..)




Questo Autore in bianco, o meglio il nobile immacolato Cavaliere Bianco, si arrampica ad incidere una breve frattura virata, una virata frattura ove precipito alla deriva, fratturato; seppur qual autore ne presiede ogni inviolata Cima; con la Grande Oracolare Notizia è il Primo della copertina, per ogni libreria nel dovuto superamento del campo (base) dell’iper libero mercato.

 

Il campo minato ex miniatore dell’Eterna, hora tradita e sospesa, senza patria e nutrimento, un Mondo Perduto nell’oblio del conquistato Viaggio.

 

L’Autore come dico e dicevo, per ogni successiva incarnazione per ogni presieduta Lingua, dirò ancor meglio, in Frammentata Rima, sospesa come una prima roccia in attesa di divenire Parola, si arrampica in sospeso e a Tempo indeterminato; ode il lento fruscio del Vento, si perde nella nebbia del primo mattino, quando innesta il suono del suo Essere e Divenire; e noi che Nulla siamo mai stati e diverremo, autori in-folio, senza Sentiero e rilegatura neppure una trama morta in vita, e senza neppure una copertina ove ripararci ed in attesa della mannaia del Verbo, lo scorgiamo mentre si cimenta in una nuova acrobatica acrobazia della disavventura precipitata in una sporgenza della crosta.




Ogni Autore precipita nell’oblio del divenire posto alla deriva della Cima in lenta graduale agonia, così nasce l’Opera a cui il lettore può osservare e goderne il dovuto inchiodato paesaggio, infatti molti lettori inchiodati alla deriva di questa immutabile immutata perfezione imperfetta per sua natura, si specchiano e appena intendono, in quanto l’oblio di questa scrittura elevata ed esposta ai rigori del clima senza più Elemento su cui poterne appena decifrarne l’amletico motivo.

 

Essere o non Essere questo il dilemma su questo spigolo, su questa parete che precipita, su questo Vuoto assoluto ove l’autore impone la propria abile dottrina.  

 

Questo il Dilemma!

 

(Giuliano)    




 Gli alpinisti sull’Everest spesso si imbattono in uomini e donne [autori della difficile scalata in merito ai gradi dell’intendimento degli dèi] feriti lungo la strada ma non hanno modo di aiutarli a causa della posizione e delle condizioni pericolose, e quindi non c’è altra scelta che lasciarli… vivere nella zona della morte.

 

Due alpinisti una volta si sono imbattuti in una donna così sfortunata che ha urlato loro: ‘Per favore, non lasciatemi’.

 

Gli alpinisti [sponsor &d editori] hanno promesso alla donna che sarebbero tornati pur sapendo che non era possibile.




Consumati dal senso di colpa e dopo aver passato molti anni a spendere denaro, gli alpinisti tornarono dalla donna e le diedero degna sepoltura.

 

Hora è la prima della Cima.

 

Noi poveri Lettori attendiamo l’oracolare nuova Opera, la quale si preannunzia grandiosa, nella quale Omero riacquisterà la perduta Vista, ogni bestia in vita passata e futura e morta prematura - o meglio - Natura morta; ogni Dottrina morta ancor pria di nascere morta in vita, nel non-essere ed appartenere al Terra ove sarà solo cibo e mira dell’Autore e della mannaia, scure della Selva, ed ove ognun dovrà perdere ogni Speranza di salvezza e pregherà affinché il karma dell’Opera conceda a noi più nobile ed olimpica discesa.

 

Noi poveri miseri lettori, in attesa della loro venuta, seppur precipitata o compartecipata, ogni ansia al suono dell’èstasi di cotal scrittura, che s’arrampica verso la Cima donandoci prometeica linfa, ci oscura e dilata la Vista, presieduta dall’avvento… di cotal Conquista….   

 

(Giuliano)   

 




 



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