Precedenti capitoli:
I morti in vita (16) & Il ladro di cadaveri (15)
Prosegue in:
I vivi al servizio dei morti (18)
Disperati e carichi d’odio, quei morti precipitati nelle braccia del
demonio erano destinati a incombere sui viventi con tutto il minaccioso
influsso della propria ostilità….
E dunque, poiché il condannato era posto nella condizione di morire
disperato come il suicida, bisognava confortarlo, secondo san Bernardo che
pensava alla sorte dell’Anima. Bisognava allontanare l’incubo dello spirito
vendicativo di chi moriva di morte violenta (sia per chi la riceveva e chi
l’arrecava) sul patibolo (di medesima morte…).
Ma bisognava anche decidere che fare del suo corpo… (giacché
la prospettiva della vicenda giudiziaria e non solo di questi due personaggi - Burke e Hare - va analizzata nella
duplice essenza e lettura della propria criminalità al servizio di una ‘dubbia’
scienza del futuro nonché ‘dubbio’ progresso, e per ora lo scontato lo lasciamo
alla cella frigorifera dei troppi morti traghettati per questo mare se pur la
scienza al servizio della vita, l’economica consistenza detta ed impone una diversa
genetica alla Natura cui narrare i risultati nel luogo comune soggetto alla
globale critica di una società cieca nei propri traguardi; quindi saper leggere
non solo lo scontato nella metafora riportata, mi sembra ovvio, ma scendere nel
cratere proprio di ogni coscienza e corpo di questa abisso nominato ‘materia’…).
Ora, pochi aspetti della cultura materiale sono stati così importanti
nella storia delle società preindustriali
come quelli della sepoltura dei cadaveri (giacché
la scena del crimine si svolge in questo sacro terreno proseguendo sino al
confine ove vita e morte si scambiano rispettivi ruoli sovvertendo l’ordine
proprio della Natura…). E nella vita quotidiana delle società occidentali
del lungo Medioevo questo fu un problema che occupò le menti in modo speciale.
La cultura cristiana della
morte ha ereditato quella dell’Egitto antico. Lo ha dimostrato molto
chiaramente lo storico dell’arte Erwin
Panofsky quando per ricostruire la storia della cultura funeraria
dell’Occidente cristiano ha collocato la cultura egizia alle origini
dell’evoluzione che porta fino al Bernini. Legava le due culture una comune
contrapposizione tra una vita terrena breve e dolorosa e una sopravvivenza
nell’aldilà come la vera vita. Di fatto l’immagine offerta dall’Occidente
medievale è come quella dell’antico Egitto: una
società dei vivi al servizio dei morti. Naturalmente ogni tentativo di
racchiudere in un’epoca definita del passato una materia come quella
dell’atteggiamento umano verso i morti deve fare i conti con la Natura stessa
di un rapporto che, come ha ricordato giustamente proprio Erwin Panofsky, si
presta come nessun altro alla coesistenza tenace di ‘credenza razionalmente
incompatibili’ grazie alla forza incoercibile di ‘sentimenti prelogici,
potremmo quasi dire metalogici’ capaci di sopravvivere tenacemente anche ‘in
periodi di avanzata civilizzazione’.
Di fatto dietro riti e devozioni dedicati apparentemente ad onorare la
memoria dei morti si cela spesso un sentimento di paura teso a esorcizzare il
pericolo del ritorno vendicativo dei ‘morti viventi’.
Questo sentimento ha luogo specialmente nei casi di morti
sul patibolo (ed in questo caso
come forse già enunciato per ‘patibolo’ intendiamo non solo quello disposto
dalla giustizia in nome e per conto della società asservita, ma propriamente
quello concesso dalla vita…, in cui la ‘giustizia’ pur esercitando il proprio
ruolo circa lo svolgimento degli eventi e altresì manifestando un principio di
disciplina nella ‘materia’ detta, incapace comunque sia di oggettivare la natura
del male nel corretto svolgimento degli stessi, punendo la ‘mano’ e non colui che
l’ha motivata nel medesimo istinto privo di coscienza, ma 'parziale e cieca' circa i
motivi e le ‘intelligenze’ che la stessa ‘mano’ hanno ‘armato’ di basso istinto
circa le finalità conseguite - ancor più basse al limite del baratro in cui
nella volontà apparente di un presunto ‘bene’ si annida il male - nel possedere
e controllare la vita altrui privandola ad altri inermi disgraziati cavie di
più ‘illuminati’ laboratori per il fine che giustifica i mezzi con i
conseguenti risultati. Certo allo spettacolo del patibolo non meno delle
successive disposizioni nella 'materia' disciplinata sarà ‘ressa e folla’ [anche per
i giornali che giocano un aspetto certamente non meno secondario come poi
vedremo] ma quantunque cieca dinnanzi ad
una verità ben più profonda circa i principi, non solo in questo caso della
medicina, ma della vita. Il capro espiatorio nella figura di due delinquenti
nasconde lo specchio di una società intenta alla ‘ritualizzazione’ della
punizione scordando di punire i colpevoli. Giacché vi è differenza nella
propria ricerca conseguente ad affine alla vita ed in nome e per conto di
questa, e ripeto mi astengo nel trattare un vasto argomento il quale chiama in
causa un dibattito filosofico ampiamente disquisito…ma comunque sia di una
portata ‘globale’ dove ugual ‘folla’ difficilmente scorge i pericoli che…
Come due avvoltoi che piombano sull’agnello
morente, Fettes e Macfarlane si avventavano su di una tomba di quel verde e
tranquillo luogo di eterno riposo. La moglie di un fattore, una donna che era
vissuta per sessant’anni senza essere conosciuta altro che per il suo buon
burro e per la timida conversazione, stava per essere sradicata dalla sua tomba
a mezzanotte e portata, morta e nuda, in quella città lontana che aveva sempre
onorato col suo miglior vestito; il posto accanto alla sua famiglia sarebbe
rimasto vuoto fino al giorno del giudizio; le sue membra innocenti e quasi
venerande sarebbero state esposte a quell’ultima curiosità dell’anatomista…
Qui si tratta di vite improvvisamente e crudelmente troncate per
responsabilità collettiva…
(medesima responsabilità odierna
viceversa motivata da indistinta cieca
volontà a qual si voglia etica e/o principio circa ugual vita studiata e
sezionata sottostante ai principi della Natura – ad appannaggio di interessi
‘collettivizzati’ al servizio ed in funzione della ‘vita’ appunto, ma
propriamente facenti parte di una sfera di nuovi e più pericolosi interessi
economici che forse con la stessa [vita] ed i suoi principi regolatori poco o
nulla hanno a che spartire, manifestando medesimo bisogno di ‘cadaveri’ o
‘dubbie ricerche’ su nuove sale anatomiste per sfidare e ricreare la vita:
il 26 luglio 1974, 11 fra i maggiori esponenti del nuovo campo della biologia
molecolare pubblicarono una lettera aperta nella quale chiedevano ai loro
colleghi di autoimporsi una moratoria sulla condizione di esperimenti ad alto
rischio con il Dna ricombinante: questo per avere il tempo necessario a
preparare una discussione sulle questioni di sicurezza insite nella nuova
ricerca. Durante una conferenza di aggiornamento tenutasi ad Asilomar, in
California, nel febbraio del 1975, 140 biologi provenienti da 17 paesi si
riunirono per considerare i rischi ambientali e sulla salute che sarebbero
potuti derivare dagli esperimenti di Dna ricombinante. La stampa scientifica
riportò che molti, se non tutti, i partecipanti all’incontro erano intenzionati
a continuare le loro ricerche opponendosi a qualsiasi regolamentazione. Un
articolo apparso su ‘Science News’ descriveva l’atteggiamento tenuto dagli
scienziati ad Asilomar come ‘inflessibile, autoindulgente e conflittuale’.
Verso la fine della conferenza, si aveva la sensazione che la moratoria non
sarebbe stata mai applicata. Ma lo stato d’animo mutò bruscamente il terzo
giorno, quando alcuni avvocati illustrarono le responsabilità giuridiche di
quei ricercatori che...
...avrebbero creato un ‘rischio biologico’. L’ultimo relatore
il professor Harold Green della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di
Gorge Washington, attirò l’attenzione dei partecipanti con un intervento
intitolato ‘Come la legge, e i suoi aspetti più convenzionali, possono
incastrarti in una causa multimiliardaria’. Le preoccupazioni finanziarie… ebbero
la meglio… L’idea di ricombinare i materiali viventi in un numero infinito di
nuove possibilità è così straordinaria che la mente umana a malapena si rende
conto dell’enormità di tale svolta. Questi primi processi e prodotti sono
l’equivalente biotecnologico dei primi oggetti forgiati dai nostri antenati
migliaia di anni fa, quando cominciarono per la prima volta a fare esperimenti
con la tecnologia del fuoco. Dal momento in cui il nostro avo neolitico bruciò
materia tratta dalla terra, trasformandola in nuove forme, l’umanità si è
incamminata in un lungo viaggio culminato nell’èra industriale. Adesso
l’umanità ha concentrato lo sguardo sul mondo vivente, decisa a riplasmarlo in
forme nuove, e le lontane conseguenze di questo nuovo viaggio sono insondabili
agli odierni biotecnologi così come lo spettro della società industriale deve
esserlo stato per i primi pirotecnologi. La grande trasformazione
biotecnologica va di pari passo con una trasformazione filosofica ugualmente
significativa (di cui possiamo rintracciarne un progresso nel pensiero di
Cartesio). L’umanità sta cominciando a rivedere il concetto di esistenza, in
modo da farlo coincidere con i suoi rapporti con la Terra. Il modo migliore per
comprendere questa rivoluzione concettuale è quello di utilizzare due metafore
cariche di significato. Per la maggior parte dell’èra della pirotecnologia,
l’alchimia è servita sia come cornice filosofica sia come guida concettuale
alle manipolazioni tecnologiche....
....del mondo della natura da parte degli esseri
umani. Ancora nel XVIII secolo, Isaac Newton, uno dei fondatori della scienza
moderna, sperimentava l’arte dell’alchimia (anche Cartesio nei suoi scritti
giovanili accenna a qualcosa di molto simile). Oggi si stanno ponendo le
premesse per far emergere un nuovo tipo di coscienza, che rifletta le
ispirazioni e gli obiettivi delle nuove arti biotecnologiche. L’‘algenia’ molto
probabilmente costituirà una nuova prospettiva filosofica e la metafora
dominante del secolo della biotecnologia. Il termine fu coniato per la prima
volta da Joshua Lederberg, biologo vincitore del premio Nobel, già presidente
della Rockefeller University… E io negli anni 80 ne ho personalmente ridefinito
il significato. Algenia significa cambiare l’essenza di una cosa vivente. Le
arti algeniche sono rivolte al ‘miglioramento’ degli organismi viventi già
esistenti e alla progettazione di organismi interamente nuovi con l’intento di
perfezionarne le prestazioni. Ma l’algenia è molto di più. E’ il tentativo
dell’umanità di dare un significato metafisico ai suoi emergenti rapporti
tecnologici con la Natura [meccanizzandola così come nell’idea originaria di
Cartesio]. …Il rapporto pirotecnologico con la natura a un rapporto
biotecnologico con la stessa, emerge una nuova metafora concettuale…). Un
algenitista considera il mondo vivente una realtà ‘in potentia’. A questo
riguardo, l’algenitista non pensa a un organismo come a un’entità distinta e
separata, ma piuttosto come a una serie di rapporti temporanei posti in un
contesto in movimento, in procinto di diventare qualcosa d’altro. Per
l’agenitista, i confini di specie sono soltanto delle comode etichette atte a
identificare una condizione biologica o una relazione che ci è familiare, non
sono muri impenetrabili che separano le varie piante e i vari...
...animali. Thomas
Eisner, professore di Biologia e direttore dell’Istituto di ricerca
sull’ecologia chimica della Cornell University a Itacha, New York,
propone di ripensare la nostra idea di ‘specie’. Dopo i recenti progressi
registrati sul terreno dell’ingegneria genetica (una specie biologica) deve
essere vista come un contenitore di geni potenzialmente trasferibili. Una
specie non è semplicemente un volume rilegato della biblioteca della natura. E’
anche un libro ad anelli, le cui singole pagine, i geni, possono essere
trasferiti da una specie all’altra. Gli algenetisti sostengono che tutte
le cose viventi sono riconducibili a un materiale biologico di base, il Dna,
che può essere estratto, manipolato, ricombinato e programmato mediante una
serie di elaborate procedure da laboratorio, in un infinito numero di
combinazioni. Rielaborando i materiali biologici con l’ingegneria genetica,
l’agenetista può creare ‘imitazioni’ di organismi biologici già esistenti che
reputa dotati di natura superiore rispetto a quelli copiati. Lo scopo finale
dell’algenitista è quello di costruire l’organismo ‘perfetto’. Lo ‘stato aureo’
è lo stato dell’efficienza ottimale. La natura per lui è un ordine gerarchico di
sistemi viventi sempre più efficienti. L’algenitista è l’estremo ingegnere. Il
suo scopo è quello di ‘accelerare’ il processo naturale, programmando nuove
creazioni più ‘efficienti’ di quelle già esistenti allo stato naturale. L’algenia
(il secondo gradino della rivoluzione cartesiana) è filosofia e processo. E’
allo stesso tempo un modo di percepire la natura (e con essa purtroppo l’intera
…realtà…) e un modo di agire su di essa. Ci stiamo spostando dalla metafora
dell’alchimia a …quella dell’algenia. I vantaggi a breve termine di questo
straordinario nuo-vo potere sono allettanti. Tuttavia la storia ci ha insegnato
che ogni nuova rivoluzione tecnologica porta con sé non solo benefici, ma anche
costi. Più la tecnologia è in grado di espropriare e di controllare le
forze della natura, più alto è il prezzo che dovremo pagare in termini di
sconvolgimento e di distruzione degli ecosistemi sociali che sostengono la
vita… - J. Rifkin -)….
Nessun commento:
Posta un commento