Precedenti capitoli:
L'impronta del deserto (30/1)
Prosegue in:
Un uomo nasce nella direzione del principio (32) &
Esorcizzare il male... (33)
Mentre
camminavo nel deserto di questo mondo, mentre camminavo nel deserto, mentre
camminavo nella città con le urlanti facce elettriche e le dense benzine del
vento che m’abbacinavano e mi soffocavano quella sera d’inverno prima che
l’Ovest morisse, io ricordavo i venti di quell’alto, bianco mondo che mi aveva
generato (e l’idiota con il suo albero… forse solo una Favola di Natale…) e le
facce di un milione di vermi silenziosi nell’andirivieni del cielo che stavano
a guardare la placenta. Coloro che si urtavano nella luce letterata della
città, che mi davano spallate e gomitate, che urtavano il mio cappello con le
stecche degli ombrelli, che mi offrivano musica e fiammiferi, mi vedevano con i
loro occhi di uomini come una forma
d’uomo che camminava. Ma toglietemi, dicevo loro silenziosamente, la lana e il
cotone, il feltro e il cuoio. Io sono il più nudo e il più calvo tra la cima e
la base, un aldermanno di spettri appeso alla catena dell’orologio e al
portafoglio sul pavimento bagnato, il narratore di echi che si muove al tempo
dell’uomo. Io tengo Belzebù per la barba, e le notizie del mondo sono nulla, i
pettegolezzi e le dicerie del cielo bastano e son troppo per un’ombra che non getta
ombra, dicevo ai mendicanti ciechi e agli strilloni che gridavano nella
pioggia…
Una
sottile connessione di due mondi ed epoche distanti fra loro c’è ed evidente.
Una congiunzione fra una Scolastica ed una Surreale condizione di vita c’è ed
evidente: il sottile anello della Poesia. Così fra eremiti profeti e visionari
proseguiamo codesto Viaggio nel deserto il quale ci accomuna per chi crede in
un diverso dispiegamento dell’intera materia. Per chi crede nella Verità della
Vita. Per chi guarda il mondo con occhi da Folle ugual pazzo in cerca di Dio. A
tutti gli altri porgo i più distinti saluti con annessi e connessi auguri
giacché il loro Destino migliore, non tanto del mio, ma del ‘nostro simmetrico
dire pensare e scrivere’ in questo Evo poco gradito non solo a Dio ma anche a
tutti coloro che al meglio lo hanno restituito come un dilettevole pregiudizio
in eccesso dell’inutile dovuto giudizio senza alcun Credo e Dio…
E a tutti
coloro che affollano medesimi Sentieri e Vie braccate e perseguitate dalla
Dotta Antica ignoranza di chi preferisce l’immagine qual abito alla dovuta moda
rappresentato nascondere e celare più nobili ossa ali ed antico istinto assiderato
- appassito - come un secco ramo ove appendere l’altrui sudario, rimembro la
vista sollecito il frutto proibito nel duraturo dilettevole secolar pregiudizio
in cui ognun nato, eccetto chi crede in un deserto di sabbia o di neve la
differenza muta poco il Destino di chi nato parla dal Golgota del vostro
Paradiso…
Era
mattino sui verdi campi della valle di Jarvis, e Mr Owen strappava le erbacce
dal sentiero del suo giardino. Un grande vento gli tirava la barba, il mondo
vegetale ruggiva sotto i suoi piedi. Un falco si era perso nel cielo e gridava
un richiamo alla compagna; ma la compagna non venne, e il falco volò verso
Ovest con un dolore nel becco. Mr Owen, che si era rialzato per riposarsi la
schiena e guardare il cielo, osservò com’erano nere le ali contro il sole
rosso. Nella sua cucina piena di correnti d’aria Mrs Owen si affliggeva sulla minestra.
Una volta la vallata ospitava solo gli armenti; i ragazzi delle fattorie
scendevano dalle colline per sorvegliare le mucche; ma nessun straniero metteva
mai piede nella vallata. Mr Owen, attraversando da solo la campagna, si era
imbattuto in quella valle una sera di fine estate quando le bestie giacevano
immobili sull’erba e il ruscello che la divideva stava mormorando sui ciottoli.
Qui, pensò Mr Owen, costruirò una casetta ad un piano, nel mezzo della valle,
circondata da un giardino. E, ricordandosi chiaramente la strada che aveva
fatto lungo le tortuose colline, tornò al suo villaggio e alle domande di Mrs
Owen. Accadde così che una casa a un piano costruita nei verdi campi e un
giardino zappato, seminato e cintato con una bassa staccionata per tenere
lontane le mucche dagli ortaggi.
Questo fu
il principio dell’anno.
Ora
l’estate e l’autunno erano passati, il giardino era fiorito ed era morto, e
c’era la brina sulle erbacce. Mr Owen si chinò a pulire il sentiero, mentre il
vento tirava indietro la testa delle erbe e faceva un oracolo di ogni bocca
verde. Pazientemente, egli continuava a strangolare le erbe; le radici venivano
su, sconvolgendo la terra che avevano intorno; gli insetti si affaccendavano
nei buchi del terreno e, morendo sotto le sue dita, non lasciavano nemmeno una
macchia. Egli divenne stanco delle loro morti, e ancor di più della caduta
delle erbe.
Mrs Owen
aveva lasciato la minestra incustodita sul fuoco per scrutare nelle profondità
del suo cristallo. La palla divenne buia, poi si illuminò e fu riempita da un
arcobaleno. Diventando calda come un sole, e raffreddandosi come una stella
artica, brillava nelle pieghe del suo grembo dove lei amorosamente la teneva.
Le foglie di tè rimaste nella sua tazza a colazione le avevano annunciato uno
straniero vestito di nero. Che cosa le avrebbe detto il cristallo? Mrs Owen
attendeva.
Su
venivano le radici, e un verme attorcigliato, disturbato dal sondaggio delle
dita, si contorse, cieco nel sole. A un tratta la valle riempì tutte le sue
cavità con il vento, con la voce delle radici, con il respiro del cielo più
basso. Non solo la mandragola grida; le radici divelte hanno i loro gridi; ogni
erbaccia che Mr Owen tirava fuori dal terreno strillava come un bambino appena
nato. Adesso nel villaggio dietro la collina il vento infuriava; i panni appesi
nei giardini dovevano darsi a strane danze. E le donne con una forma nel ventre
dovevano sentire un nuovo movimento chinandosi sulle tinozze fumanti. La vita
continuava a fluire nelle vene e nelle ossa e nelle fasciante carne che aveva
la sua stagione e il suo tempo come la valle che fasciava la casa con la sua
carne d’erba verde.
La palla
come una tomba aperta, rivelò i suoi morti a Mrs Owen. Ella fissò le labbra
delle donne e i capelli degli uomini che si intrecciavano in un disegno
geometrico sulla superficie del mondo di cristallo. Ma improvvisamente il
disegno scomparve, ed ella non vide altro che le forme delle colline di Jervis.
Un uomo con il cappello nero stava camminando per i sentieri delle colline e
scendendo nell’invisibile valle. Se si fosse avvicinato ancora di più le
sarebbe caduto in grembo. C’è un uomo con un cappello nero che cammina sulle
colline, gridò al marito dalla finestra. Mr Owen sorrise senza interrompere il
suo lavoro.
Fu a
questo punto che il reverendo Davies smarrì la strada; era la prima volta in
quella mattina, ma adesso l’aveva persa davvero e, turbato, si fermò sotto un
albero. Un grande vento soffiava attraverso i rami, e una vasta terra
verde-grigia si muoveva sotto di lui. Ovunque guardasse, le colline assalivano
il cielo, e ovunque cercasse riparo dal vento, l’oscurità lo spaventava. Se
proseguiva, il paesaggio diventava sempre più strano; si levava ad altezze mai
sognate e poi ricadeva in una valle non più grande del palmo della sua mano. E
gli alberi camminavano come uomini. Per una divina coincidenza egli raggiunse
l’orlo del colle proprio mentre il sole raggiungeva il centro del cielo. Con il
vasto mondo che si cullava da orizzonte
a orizzonte, egli si fermò, sotto un albero e guardò la vallata. Tra i campi
c’era una casetta con un giardino. La valle ruggiva intorno alla casa e il
vento si lanciava su di essa come un lottatore, ma la casa rimaneva immobile. A
Mr Davies sembrò che la casa fosse stata presa in un villaggio da un grande
uccello e posata proprio nel centro del tumultuoso universo.
Ma mentre
scendeva faticosamente attraverso rocciosi sentieri, perse il suo posto nel
cristallo di Mrs Owen. Una nuvola gli portò via il cappello nero, e sotto la
nuvola camminava un fantasma vecchissimo, una forma fatta di aria con stelle
congelate nella barba, e una mezzaluna per sorriso. Mr Davies non sapeva nulla
di questo mentre le rocce gli graffiavano le mani. Era vecchio, era ubriaco del
vino del mattino, ma il liquido che usciva dalle piccole ferite era sangue
umano.
Neanche
Mr Owen, con la faccia china a terra e le mani sul collo delle urlanti erbacce,
seppe della trasformazione del cristallo. Aveva udito Mrs Owen profetizzare la
venuta del cappello nero, e aveva sorriso come sempre sorrideva della sua fede
nelle forze oscure. Aveva appena alzato gli occhi quando lei lo aveva chiamato
e, sorridendo, era tornato al più chiaro e limpido richiamo della Terra.
Moltiplicatevi, moltiplicatevi, aveva detto ai vermi disturbati nel loro
scanalare, e aveva tagliato i vermi bruni in due perché le due metà potessero
generare e spargere la loro vita sul giardino e uscire a contaminare i campi e
i ventri delle mucche.
Mr Davies
non lo sapeva. Vide un giovane uomo barbuto lavorare curvo nel giardino. La
casa gli sembrò un grazioso quadretto, con la faccia pallida di una giovane
donna alla finestra. E, togliendosi il cappello, si presentò come il rettore di
un villaggio a dieci miglia di distanza.
State
sanguinando, disse Mr Owen.
Le mani
di Mr Davies, infatti, erano coperte di sangue. Quando Mrs Owen si fu occupata
delle ferite, lo fece sedere nella poltrona vicino alla finestra e gli preparò
una tazza di tè molto forte.
Vi ho
visto sulla collina, disse, ed egli le domandò come avesse fatto, perché le
colline erano alte e molto lontane. Ho buoni occhi, rispose la donna. Egli non
ne dubitò. Erano gli occhi più strani che avesse mai visto. È tranquillo, qui,
disse Mr Davies. Non abbiamo orologi, lei disse, e preparò la tavola per tre.
Siete molto gentile, rispose lui. Noi siamo gentili con coloro che vengono da
noi.
Egli si
domandò quanta gente venisse in quella casa solitaria in mezzo alla valle, ma
non espresse la domanda a voce alta per paura della risposta. Pensò che era una
donna misteriosa che amava il buio perché era buio. Era troppo vecchio per
interrogare i segreti dell’oscurità, e ora, con il vestito nero strappato e
bagnato, e le mani sottili fasciate si sentiva più vecchio che mai. I venti del
mattino avrebbero potuto abbatterlo, e l’improvviso cadere dell’oscurità
renderlo cieco. La pioggia poteva passare attraverso il suo corpo come passa
attraverso un fantasma. Sedeva accanto alla finestra, cauto e stanco, quasi
invisibile contro i vetri e la stoffa della poltrona.
Presto il cibo fu pronto, e Mr Owen rientrò in casa senza lavarsi.
Devo dire
la preghiera di ringraziamento?
Domandò
Mr Davies quando furono tutti e tre seduti a tavola.
Mrs Owen
annuì.
Iniziò un
Pater, ma pur facendo finta di nulla, osservò udì e constatò che Mr e Mrs Owen
avevano chiuso gli occhi. E noto che le labbra di Mr e di Mrs Owen si muovevano
adagio, e il loro Pater rispondere ad una diversa inusuale metrica.
Alla
fine, Amen dissero tutti e tre insieme.
Mr Owen
avido di cibo, si chinò sul piatto come si era chinato sulle piangenti erbe.
Fuori dalla finestra c’era il corpo bruno della terra, la pelle verde
dell’erba, e i seni delle colline di Jervis; c’era un vento che gelava la terra
animale, e un sole che aveva bevuto tutte le rugiade dei campi; c’era la
creazione che sudava dai pori degli alberi un apparente Nulla che faceva gelare
il sangue al rettore Davies; ed i granelli di sabbia sulle lontane spiagge che
si moltiplicavano sotto il rotolio del mare. Sentì sulla lingua il sapore amaro
e agro-dolce d’un granello di senape; c’era un significato nella durezza della
carne che mangiava e uno scopo nell’alzare il cibo alla bocca, pur Mr e Mrs
Owen non avendo toccato neppure un atomo uno della carne appassita del piatto.
Mrs Owen
non mangiava perché era stata riafferrata dalle antiche potenze e non osava
alzare la testa per non mostrare il verde dei suoi occhi. Dal suono sapeva da
quale parte il vento soffiava sulla valle; sapeva a che punto era il sole dalle
ombre sulla tovaglia. Oh se avesse potuto guardare dentro il suo cristallo
l’avanzare dell’oscurità su quella luce invernale! Ma un’oscurità invadeva il
suo Spirito ingoiando la luce intorno a lei. Tutta la luce intorno a lei. C’era
un fantasma alla sua sinistra: con tutta la sua forza ella tirò a sé
l’intangibile luce che si muoveva intorno a lui e la mescolò al suo oscuro
destino…
Mr Davies,
come un uomo succhiato da un uccello, sentì la desolazione nelle proprie vene,
e, in un dolce delirio, si mise a raccontare le proprie avventure sulle
colline; parlò del freddo e del vento e delle colline che salivano e scendevano
come antichi fantasmi armati che avevano un lontano tempo rinchiuso il suo
Sogno. Si era perduto anche lui, disse, e aveva trovato un buio rifugio per
ripararsi dalla tirannia del vento quanto da medesimi fantasmi vestiti di nero.
L’oscurità, però, lo aveva spaventato, ed egli si era messo di nuovo in
cammino, scosso come una barca in mare in tempesta. Ovunque andasse egli era
sbattuto dal vento o spaventato dalle strette ombre che lo braccavano. Non
c’era un posto ove un vecchio potesse andare, si lamentò. Amando la propria
Università come la parrocchia aveva amato anche le terre che la circondavano,
ma le colline gli erano mancate sotto i piedi e lo avevano scaraventato in
aria. E, amando il suo Dio Unico, egli aveva amato l’oscurità come
nell’antichità gli uomini avevano adorato l’invisibile buio da dove sapevano
provenire. Ma ora le caverne erano piene di forme e di voci che lo deridevano
per la sua vecchiaia.
Ha paura
del buio, pensò Mrs Owen, del bellissimo buio, lo esorcizzi allora, rifletta il
suo e nostro Principio.
Sorridendo,
Mr Owen pensò, ha paura del verme della terra, della cupola nell’albero, del
sudiciume vivente dell’intera materia!
Guardarono
il vecchio Maestro che era più spettrale che mai. La finestra dietro di lui gli
gettava una frastagliato cerchio di luce intorno alla testa.
Improvvisamente
Mr Davies s’inginocchiò e si mise a pregare. Non riusciva a comprendere il
freddo che aveva nel cuore né la paura che lo confondeva ma, pregando per
esserne liberato, fissava gli occhi pieni d’ombra di Mrs Owen e quelli
sorridenti di suo marito. Inginocchiato sul tappeto vicino alla tavola, fissava
pieno di confusione la mente oscura e l’oscuro, rozzo corpo. Li fissava e
pregava, come un vecchio dio assalito dal’ispirazione di antichi innominati dèi
apparentemente nemici; e fu allora che osservando il corpo della donna scorse
un qualcosa celato dall’abito come un oscuro sudario, come un tomo nascosto,
come un abisso…
(Dyalan
Thomas)
Nessun commento:
Posta un commento