CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 10 dicembre 2018

IL PALCOSCENICO DELLA VITA (coro a due voci nel Sentiero dell'Autunno) (21/10)










































Precedenti capitoli:

Tutti (noi Perfetti) morimmo a stento con solo la voce del silenzio (25/1) &

I Viaggi dell'Anima (20/9) 

Prosegue in:

Il palcoscenico della vita (22/11)














La necrofolia moderna…
Il credo nella materia è una fede nella morte. Il trionfo di questa forma religiosa è una macabra aberrazione. La macchina attribuisce alla sostanza inerte una realtà vitale illusoria.
Anima la materia.
E’ uno spettro.
Collega fra loro gli elementi manifestando una certa ragione. Dunque è la morte che, con un lavoro sistematico, simula la vita. Mente in maniera ancor più flagrante dei giornali, che lei stessa provvede a stampare. Poi distrugge il ritmo umano con un’azione ininterrotta del subconscio. Chi resiste tutta la vita accanto a questa macchina dev’essere un eroe; chiunque altro ne sarà annichilito. Da chi ne è soggiogato non può più venire alcuna emozione spontanea. Neppure attraversare un penitenziario riesce ad essere spaventoso quanto percorre i padiglioni assordanti di una moderna stamperia (o una piccola ed inetta filiale…).
Rumori animaleschi, liquidi maleodoranti, tutti i sensi orientali al bestiale, al mostruoso, che è al tempo stesso fantomatico.
Dar forma, partendo dal mondo spirituale, ad un organismo vivo, capace di reagire alla pressione più lieve!




…In città… sono stato una volta studente…
E’ un periodo della vita, in cui non si sa mai che cosa fare di preciso, quindi sono andato a vedere i quadri di Holbein e Bocklin, mi sono arrampicato su per gli archi delle torre del duomo e ho fatto tappa anche davanti a tre piccoli banchi vuoti, dove il giovane professor Nitzsche di Namburg ha dissertato sui greci. Allora per me ‘la città’ era quella degli umanisti. Stavolta rischia di diventare la città dei beccamorti, delle stravaganze della fiera e delle anomalie, perché ho l’impressione di essere diventato una curiosità di fronte a me stesso, qualcosa di strampalato, un becchino.
Se devo prestar fede a quel che dice chi mi sta accanto, questa città è la scopa morale e, per così dire, l’occhio vigile di Argo sulla Svizzera. Chi si azzardasse a prender dimora qui anche solo per scherzo, senza dichiarare chi erano la madre e la nonna e le antenate fino alla sesta generazione, avrebbe qualche sorpresa non proprio piacevole.




Chi alla domanda imbarazzante su quale sia la sua professione su questa terra, fosse colto da un tic nervoso, pur subito smorzato, si troverebbe, senza tanti complimenti, oltrefrontiera nel giro di ventiquattr’ore e da lì rispedito dov’è domiciliata la sua glossolalia.
…Basilea (e sue consimili sparse per ogni dove… dall’uno all’altro oceano…) non ha un senso per l’immacolata concezione e neppure per chi ha qualche titubanza nel parlare. Se qualcuno ha un peso nel cuore o sulla coscienza, che poi è lo stesso, suona il tamburo per farsi capire. Se l’idea che ha del mondo gli procura qualche pena, suona il tamburo un po’ più forte. Ma quando riscontra un turbamento più serio, tale da far sospettare una menomazione, batte così forte che gli devono ingessare le braccia.
Solo una volta si suona l’adunata generale.
La cittadinanza si raccoglie al gran completo.
Si smaltiscono d’un colpo le energie accumulate, senza badare a rango, posizione sociale e decoro, in rullii, vibrazioni e molteplici cadenze. E’ una vera orgia di rumori assordanti, in un giorno che vede le più svariate e severe penitenze e preghiere.
Vengono a galla convulsioni inaspettate.




Tutto quel ch’è sommerso e nascosto si riversa all’estremo appello del tamburo. Si commemorano amici e familiari defunti; un ricordo va anche alle gioie di questo mondo e, in una prospettiva più ampia, alle esecuzioni, fucilazioni, battaglie storicamente documentate e a tutto quel che v’è di militare. Si ricordano tutte le ordinanze dei magistrati, le carestie, le catastrofi causate da inondazioni e incendi, le pestilenze e i taglieggiamenti. In una parola, si rievocano le istituzioni e i fatti luttuosi di questa oscura esistenza, per scacciarli dall’anima a colpi di… tamburo…
Qui praticamente tutti portano il tamburo come amuleto al collo o ciondolo per catenina dell’orologio. E’ il ventre del tempo, che fa sentire i suoi astiosi brontolii, è la chiamata alle armi di intere generazioni. Dopo ogni esibizione, ci sono dodici mesi di tempo per escogitare una variante del tremolo, perciò chiunque fa il guardiano dello strepito altrui e lo sfida con il timballo. E si può dire che, in certi periodi, le grinze sulla fronte assumono tali dimensioni che al Giudizio universale uno di Basilea, provocando, con il tamburo, brividi d’orrore, quali non si sono proprio mai visti, trascinerà tutti gli altri nell’Orco più tenebroso.
Il frastuono del tamburo ti distrugge…
Se preso per allarme o sveglia, come s’usa nelle caserme, richiama la resurrezione dei morti. Forse è il caso che mi chieda (come quel viaggiatore…) che ci faccio qui con questi… E’ come fosse la città più tetra dell’intera Germania.
Qui non mi posso aspettare nulla di buono!

Sono arrivato con il mal d’ossa come fossi sceso da un albero ed i reumatismi con dolori lancinanti come coltellate infilate sulla schiena…






















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