CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

venerdì 19 novembre 2021

LA NATURA MODIFICATA.... (22)

 


















Precedenti capitoli:


Del paesaggio che muta (20/1)


Prosegue con....:


L'azione 'umana' (23)


& il racconto della 







Domenica: IL LIBRO RITROVATO








È noto a tutti coloro che si sono occupati della psicologia e delle abitudini delle razze più rozze e delle persone con intelletti imperfettamente sviluppati nella vita civile, che sebbene queste umili tribù e individui sacrifichino senza scrupoli la vita degli animali inferiori per la gratificazione dei loro appetiti e la fornitura degli altri loro bisogni fisici, eppure sembrano nutrire con i bruti, e anche con la vita vegetale, simpatie che sono molto più debolmente sentite dagli uomini civilizzati. Le tradizioni popolari dei popoli più semplici riconoscono una certa comunità di natura tra l’uomo, gli animali bruti e perfino le piante; e questo serve a spiegare perché l’apologo o favola, che attribuisce il potere della parola e la facoltà della ragione agli uccelli, ai quadrupedi, agli insetti, ai fiori e agli alberi…




Quello che sto per sottolineare non è esattamente rilevante per il mio argomento; ma è difficile ‘prendere la parola’ nella grande società mondiale di dibattiti, e quando un oratore che ha qualcosa da dire trova un varco all’orecchio del pubblico, deve sfruttare la sua opportunità, senza indagare troppo bene se le sue osservazioni sono ‘in ordine’.

 

Non danneggerò nessun uomo onesto sforzandomi, come ho spesso fatto altrove, di attirare l’attenzione degli uomini di pensiero e di coscienza sui pericoli che minacciano i grandi interessi morali e persino politici della cristianità, dalla spregiudicatezza delle associazioni private che ora controllano gli affari monetari, e regolano il transito delle persone e dei beni, in quasi tutti i paesi civili.




Più di uno Stato (e non solo) americano è letteralmente governato da corporazioni prive di principi, che non solo sfidano il potere legislativo, ma hanno, troppo spesso, corrotto anche l’amministrazione della giustizia. Il tremendo potere di queste associazioni è dovuto non solo alla corruzione pecuniaria, ma in parte a un’antica superstizione legale - fomentata dalla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti nel famoso caso del Dartmouth College - riguardo alla sacralità delle prerogative aziendali.

 

Non c’è una buona ragione per cui i diritti privati ​​derivati ​​da Dio e la stessa costituzione della società debbano essere meno rispettati dei privilegi concessi dai legislatori.




 Non va mai dimenticato che nessun privilegio può essere un diritto, e che gli organi legislativi non dovrebbero mai concedere una concessione a una società, senza espressa riserva di ciò che molti sani giuristi ora ritengono essere coinvolti nella natura stessa di tali concessioni, il potere di revoca.

 

Simili mali sono divenuti egualmente diffusi in Inghilterra e nel continente; e credo che il decadimento della morale commerciale, e del senso di tutti gli obblighi superiori a quelli di natura pecuniaria, su entrambe le sponde dell’Atlantico, sia da imputare più all’influenza delle banche per azioni e delle imprese manifatturiere e ferroviarie, al funzionamento, insomma, di quello che è chiamato il principio di ‘azione associata’, che a qualsiasi altra causa di demoralizzazione. 

(George P. Marsh)

 

 



Le rivoluzioni delle stagioni, con le loro alternanze di temperatura e di lunghezza del giorno e della notte, i climi delle diverse zone, le condizioni generali e i movimenti dell’atmosfera e dei mari, dipendono da cause per lo più cosmiche, e di ovviamente, completamente al di fuori del nostro controllo. L’elevazione, la configurazione e la composizione delle grandi masse della superficie terrestre, e la relativa estensione e distribuzione della terra e dell’acqua, sono determinate da influenze geologiche ugualmente lontane dalla nostra giurisdizione. Sembrerebbe quindi che l’adattamento fisico delle diverse parti della terra all’uso e al godimento dell’uomo sia una questione così strettamente appartenente a poteri più potenti dell’uomo, che possiamo solo accettare la natura geografica come la troviamo, e accontentarci di tale suoli e cieli che lei spontaneamente offre.

 

Ma è certo che l’uomo ha reagito alla natura organizzata e inorganica, modificando, se non determinando, la struttura materiale della sua dimora terrena. La misura di quella reazione costituisce manifestamente un elemento molto importante nella valutazione dei rapporti tra mente e materia, nonché nella discussione di molti problemi puramente fisici. Ma sebbene l’argomento sia stato toccato incidentalmente da molti geografi e trattato con molta pienezza di dettagli riguardo a certi campi limitati dello sforzo umano e a certi effetti specifici dell’azione umana, nel suo insieme non ha effetti duraturi sul sapere, è stato oggetto di osservazione speciale, o di ricerca storica, da qualsiasi ricercatore scientifico.




Infatti, fino a quando l’influenza delle condizioni geografiche sulla vita umana non fu riconosciuta come un ramo distinto dell’indagine filosofica, non c’era motivo per perseguire tali speculazioni; ed era desiderabile indagare fino a che punto siamo, o possiamo, diventare gli architetti del nostro stesso luogo in cui dimorare, solo quando si sapeva come il modo del nostro essere fisico, morale e intellettuale è influenzato dal carattere della casa che la Provvidenza ha designato, e abbiamo modellato, per la nostra abitazione materiale.

 

È ancora troppo presto per tentare un metodo scientifico nel discutere questo problema, né lo è il nostro presente archivio dei fatti necessari con qualsiasi mezzo sufficientemente completo da giustificarmi nel promettere qualsiasi approccio alla pienezza dell’affermazione che li rispetti. L’osservazione sistematica in relazione a questo argomento è appena iniziata, e i dati sparsi che sono stati registrati per caso non sono mai stati approfonditi. Ora non ha posto nello schema generale della scienza fisica, ed è solo materia di suggestione e speculazione, non di conclusione stabilita e positiva.




Al momento, quindi, tutto ciò che posso sperare è di suscitare l’interesse per un argomento di grande importanza economica, indicando le direzioni e illustrando i modi in cui l’azione umana è stata, o può essere, più dannosa o più vantaggiosa nella sua influenza sulle condizioni fisiche della terra che abitiamo.

 

Non sempre possiamo distinguere tra i risultati dell’azione dell’uomo e gli effetti di cause puramente geologiche o cosmiche. La distruzione delle foreste, il prosciugamento di laghi e paludi, e le operazioni dell’agricoltura rurale e dell’arte industriale hanno, senza dubbio, teso a produrre grandi cambiamenti nelle condizioni igrometriche, termometriche, elettriche e chimiche dell’atmosfera, sebbene non siamo ancora in grado di misurare la forza dei diversi elementi di disturbo, o di dire fino a che punto sono stati neutralizzati l’uno dall’altro o da influenze ancora più oscure; ed è altrettanto certo che le miriadi di forme di vita animale e vegetale, che coprivano la terra quando l’uomo entrava per la prima volta nel teatro di una natura di cui era destinato a sconvolgere le armonie, sono state, per sua interferenza, molto cambiate in proporzione numerica, a volte irreversibilmente modificate nella forma e nel prodotto, e a volte del tutto estirpate.




 L’uomo non solo ha sovvertito le naturali relazioni numeriche di quadrupedi selvatici e domestici, pesci, uccelli, rettili, insetti e piante comuni, e anche di tribù ancora più umili di vita animale e vegetale, ma ha effettuato nelle forme, abitudini, nutrimento e prodotti degli organismi che soddisfano i suoi bisogni e i suoi piaceri, cambiamenti che, più che ogni altra manifestazione dell’energia umana, assomiglia all’esercizio di un potere creativo (ma in realtà è distruttivo).

 

Anche gli animali selvatici sono stati da lui costretti, attraverso la distruzione delle piante e degli insetti che fornivano il loro giusto alimento, a ricorrere a cibi appartenenti a un diverso regno della natura. Così un uccello della Nuova Zelanda, originariamente granivoro e insettivoro, è diventato carnivoro, per mancanza di provviste naturali, e ora strappa il vello dal dorso delle pecore, per nutrirsi della loro carne viva. Tutti questi mutamenti hanno esercitato un’azione più o meno diretta o indiretta sulla superficie inorganica del globo; e la storia delle rivoluzioni geografiche così prodotte fornirebbe ampio materiale per un volume.




La modificazione delle specie organiche mediante l’addomesticamento è un ramo della ricerca filosofica che possiamo quasi dire sia stato creato da Darwin; ma i risultati geografici di queste modificazioni non sembrano essere stati ancora oggetto di indagine scientifica.

 

La Natura, lasciata indisturbata, modella il suo territorio in modo tale da dargli una permanenza quasi immutabile di forma, contorno e proporzione, tranne quando è sconvolta da convulsioni geologiche; e in questi relativamente rari casi di squilibrio, si mette subito a riparare il danno superficiale, e a restaurare, per quanto possibile, l’antico aspetto del suo dominio. Nei nuovi paesi, la naturale inclinazione del terreno, i pendii e i livelli auto-formati, sono generalmente tali da garantire al meglio la stabilità del suolo. Sono stati graduati e abbassati o elevati dal gelo e dalle forze chimiche e gravitazionali e dal flusso dell’acqua e dai depositi vegetali e dall’azione dei venti, finché, per una generale compensazione di forze contrastanti, si è preparata una condizione di equilibrio che, senza l’azione principale, rimarrebbe, con poche fluttuazioni, per innumerevoli secoli.




Non occorre tornare molto indietro per arrivare a un periodo in cui, in tutta quella porzione del continente nordamericano che è stata occupata dalla colonizzazione britannica, gli elementi geografici quasi si equilibravano e si compensavano a vicenda. All’inizio del XVII secolo il suolo, salvo insignificanti eccezioni, era ricoperto di foreste.

 

Le foreste ininterrotte avevano raggiunto la loro massima densità e forza di crescita e, man mano che gli alberi più vecchi decadevano e cadevano, furono seguiti da nuovi germogli o piantine, così che di secolo in secolo non sembra essersi verificato alcun cambiamento percettibile nel bosco, tranne il lento, spontaneo succedersi dei raccolti. Questa successione non comportava alcuna interruzione della crescita, e solo poche interruzioni nella ‘contiguità sconfinata dell’ombra’, perché, nella costante crescita della natura non ci sono ‘evoluzioni distruttive, ma solo creative’. 




 Gli alberi cadono isolati, e l’alto pino è appena prostrato, prima che la luce e il calore, ammessi al suolo mediante l’asportazione della fitta chioma di fogliame che li aveva chiusi, stimolino la germinazione dei semi delle larghe -lasciava alberi che erano rimasti, aspettando questa benevola influenza, forse per secoli.

 

L’uomo ha troppo a lungo dimenticato che la terra gli è stata data solo in usufrutto, non per consumo, tanto meno per spreco dissoluto. La natura ha provveduto alla distruzione assoluta di ogni sua materia elementare, materia prima delle sue opere; il fulmine e il tornado, gli spasimi più convulsi anche del vulcano e del terremoto, essendo solo fenomeni di decomposizione e ricomposizione. Ma ha lasciato in potere dell’uomo sconvolgere irreparabilmente le combinazioni della materia inorganica e della vita organica, che durante la notte degli eoni aveva proporzionato e bilanciato, per preparare la terra per la sua abitazione, quando nella pienezza dei tempi il suo Creatore dovrebbe chiamarlo a entrare in suo possesso.




A parte l’influenza ostile dell’uomo, il mondo organico e inorganico sono, come ho notato, legati insieme da tali reciproche relazioni e adattamenti come sicuri, se non l’assoluta permanenza ed equilibrio di entrambi, una lunga continuazione delle condizioni stabilite di ciascuno in un dato momento e luogo, o almeno, una successione molto lenta e graduale di cambiamenti in quelle condizioni.

 

Ma l’uomo è ovunque un agente di disturbo.

 

Ovunque metta il piede, le armonie della natura si trasformano in discordie.

 

Le proporzioni e le sistemazioni che assicuravano la stabilità degli assetti esistenti sono rovesciate. Le specie autoctone vegetali e animali sono estirpate, e soppiantate da altre di origine straniera, è vietata o limitata la produzione spontanea, e la faccia della terra o è messa a nudo o è coperta da una nuova e riluttante crescita di forme vegetali, e da tribù estranee di vita animale.




 Questi cambiamenti e sostituzioni intenzionali costituiscono, infatti, grandi rivoluzioni; ma per quanto vaste siano la loro grandezza e importanza, sono, come vedremo, insignificanti in confronto ai risultati contingenti e non ricercati che ne sono scaturiti.

 

Il fatto che, di tutti gli esseri organici, solo l’uomo sia da considerarsi essenzialmente un potere distruttivo, e che eserciti energie per resistere alla quale la Natura, quella natura alla quale obbediscono ogni vita materiale e ogni sostanza inorganica, è del tutto impotente, tende a dimostrare che, pur vivendo nella natura fisica, non è di lei, che è di parentela più elevata, e appartiene a un ordine di esistenze più alto, di quelle che nascono dal suo grembo e vivono in cieca sottomissione ai suoi dettami.


(Prosegue....)







Nessun commento:

Posta un commento