CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

lunedì 15 novembre 2021

L'ARTIFIZIO, ovvero... (19)

 










Precedenti capitoli:


Il potere di non governare 


nel rispetto delle... (18)


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L'inganno...



 








(ovvero il capitolo completo) [19]


Prosegue con il:


Paesaggio che muta! (20/1)








Come si evolvono le macchine, le loro concezioni e la loro incidenza sulle società? Vale la pena di ripercorrere le tappe della lunga vicenda della meccanica e della successiva civiltà delle macchine, su cui oggi sostanzialmente si basa la nostra esistenza.

 

Per cogliere il senso di questa storia, bisogna partire dal carattere innovativo delle proposte di Galileo nel campo della meccanica, misurandone la distanza rispetto a una lunga tradizione che parte dalla Grecia antica e rivela non poche sorprese. In origine, infatti, il termine mechane significa soltanto astuzia, inganno, artificio, strumento e, in questa accezione, compare già nell’Iliade.

 

Soltanto più tardi (accanto alle connotazioni ‘uso appropriato di uno strumento’ e ‘macchina teatrale’, da cui l’espressione theos epi mechanes, deus ex machina) viene a designare la macchina in genere, quella semplice – leva, carrucola, cuneo, piano inclinato, vite –, quella più complessa per l’edilizia (argano, gru), la macchina da guerra (catapulte e strumenti d’assedio) e l’automa (privo di funzioni utilitarie).

 

(R. Bodei)




Una sera, mentre passavo l’inverno 1801 a M., vi incontrai in un giardino pubblico il signor C. che da poco lavorava in quella città come primo ballerino dell’Opera e godeva, presso il pubblico, di una straordinaria fortuna. Gli dissi la mia meraviglia di averlo trovato già più volte in un teatro di marionette che, montato sulla piazza, divertiva il popolino con brevi commediole inframmezzate di canti e danze.

 

Egli mi assicurò che le pantomime di quei fantocci gli procuravano molto spasso e fece capire chiaramente che un ballerino, desideroso di perfezionarsi, vi poteva apprendere parecchie cose. Poiché, per il modo con cui erano espresse, queste parole mi parvero più di una mera trovata, mi sedetti accanto a lui per ascoltare dell’altro intorno alle ragioni con le quali poteva sostenere un’affermazione così singolare.

 

Mi domandò se in realtà alcuni movimenti delle marionette, specie delle più piccole, non mi fossero sembrati molto graziosi nella danza.

 

Non lo potei negare.




(Teniers non avrebbe potuto dipingere con maggior garbo un gruppo di quattro contadini che, a un ritmo veloce, facevano il girotondo).

 

Mi informai del meccanismo di quei fantocci e domandai come fosse possibile governare le loro membra e le articolazioni secondo le esigenze dei movimenti ritmici o della danza, senza avere alle dita miriadi di fili.

 

Egli m’invitò a non figurarmi che, nei diversi momenti della danza, il marionettista sposti o tiri le membra singolarmente. Ogni movimento, mi spiegò, ha un centro di gravità; basta dominare questo, nell’interno del fantoccio; le membra, che sono saltando pendoli, seguono meccanicamente da sé, senza bisogno d’interventi. Aggiunse che questo movimento è molto semplice; ogni qualvolta il centro di gravità è mosso in linea retta, le membra descrivono già linee curve; e spesso, a una scossa soltanto fortuita, l’insieme si mette già in una specie di movimento ritmico, simile alla danza.

 

Questa osservazione mi parve delucidasse un po’ il piacere che egli affermava di provare nel teatro di marionette.




 Io però non immaginavo neanche lontanamente le deduzioni che ne avrebbe tratto in seguito.

 

Gli domandai se, secondo lui, il marionettista che fa agire le marionette debba essere a sua volta un danzatore o avere almeno un concetto del bello nella danza.

 

Rispose che, quando un’attività è facile dal lato meccanico, non ne consegue ancora che possa essere svolta senza alcun sentimento: la linea che il centro di gravità deve descrivere è, sì, molto semplice e nella maggior parte dei casi una retta. Quando è curva, la legge della sua curvatura pare sia almeno di primo o, tutt’al più, di secondo grado; e anche in questo ultimo caso soltanto ellittica; forma di movimento che, in genere, è naturale alle estremità del corpo umano (per via delle giunture) e che pertanto il marionettista non fa molta fatica a riprodurre. Per contro, questa linea, considerata da un altro lato, è molto misteriosa.

 

Non è altro infatti che la via dell’anima del ballerino.




Ed è dubbio che il marionettista la possa trovare se non trasferendosi nel centro di gravità della marionetta, ossia, con altre parole, se non ballando.

 

Ribattei che mi avevano presentato la sua attività come piuttosto priva di spirito: come, poniamo, girare la manovella di un organetto.

 

Nient’affatto

 

…replicò.

 

Anzi, i movimenti delle sue dita stanno ai fantocci che vi sono attaccati in un rapporto alquanto ingegnoso, come ad esempio i numeri ai loro logaritmi o l’asintote all’iperbole.




Era però del parere che anche quest’ultima frazione di spirito, di cui aveva parlato, si possa eliminare dalle marionette e che la loro danza possa essere interamente trasferita nel regno delle forze meccaniche e prodotta mediante una manovella, come io mi ero figurato.

 

Espressi il mio stupore nel vedere di quanta attenzione egli degnasse questa varietà di un’arte bella, varietà inventata per la plebe; poiché non solo la reputava capace di superiori sviluppi, ma pareva che se ne occupasse lui stesso.

 

Sorrise, e osava affermare,

 

- disse -

 

…che, se un meccanico gli avesse costruita una marionetta secondo le sue esigenze, avrebbe eseguito con essa un ballo che né lui né alcun altro abile ballerino contemporaneo, non escluso neanche Vestris, avrebbe saputo eguagliare.




Ha sentito,

 

…domandò, mentre in silenzio chinavo lo sguardo a terra,

 

ha sentito di quelle gambe meccaniche che artisti inglesi fabbricano per gli infelici che hanno perduto i femori?

 

Risposi che no, una cosa simile non mi era mai capitata davanti agli occhi.

 

Mi dispiace

 

soggiunse.

 

Se, infatti, le dico che con tali gambe quei disgraziati ballano, temo quasi che non mi crederà. Ma che dico, ballare? L’ambito dei loro movimenti è limitato, d’accordo; ma quelli, di cui dispongono, si effettuano con una tranquillità, una leggerezza, una grazia, da sbalordire chiunque abbia un’anima che pensa.




Osservai scherzando che in tal modo aveva già trovato l’uomo che faceva per lui. L’artista infatti che era capace di costruire un arto così meraviglioso, poteva indubbiamente mettergli insieme anche un’intera marionetta secondo le sue richieste. E siccome, un po’ perplesso, aveva abbassato lo sguardo,

 

Quali,  

 

gli domandai,

 

quali sarebbero le esigenze che lei porrebbe alla sua abilità?

 

Nessuna

 

 …rispose,

 

che non si trovi già qui: armonia, mobilità, leggerezza - ma tutte in misura superiore; e, in particolare, un più naturale ordinamento dei centri di gravità.




E quale vantaggio avrebbe questa marionetta sui ballerini vivi?

 

Il vantaggio?

 

Anzitutto un vantaggio negativo, mio egregio amico, che cioè questa non sarebbe mai affettata. Infatti, l’affettazione si manifesta, come lei sa, quando l’anima (vis motrix) si trova in qualche punto diverso dal centro di gravità del movimento. Ora, siccome il marionettista, mediante il filo di ferro o lo spago, non ha in suo potere nessun altro punto se non questo, tutte le altre membra sono ciò che devono essere, morte, semplici pendoli, e seguono soltanto la legge di gravità; qualità eccellente che si cercherebbe invano nella maggior parte dei nostri ballerini.

 

Osservi un po’,

 

…continuò,

 

osservi la P. quando fa la parte di Dafne e, inseguita da Apollo, si volta a guardarlo; ha l’anima nelle vertebre delle reni; si piega come volesse spezzarsi, simile a una Naiade della scuola del Bernini. Osservi il giovane F. quando nelle vesti di Paride sta fra le tre dee e porge il pomo a Venere: la sua anima (orrore a vedersi!) è addirittura nel gomito.

 

Questi errori,

 

…aggiunse concludendo,



 ...sono inevitabili da quando abbiamo mangiato il frutto dell’albero della conoscenza. Ma il paradiso terrestre è sprangato e il cherubino è alle nostre spalle; dobbiamo fare il viaggio intorno al mondo e vedere se non si sia riaperto dietro, da qualche parte.

 

Mi misi a ridere.

 

Certo, pensai, lo spirito non può sbagliare dove non esiste.

 

Ma vedendo che egli aveva altro da dire, lo pregai di continuare.

 

Oltre a ciò

 

disse,

 

i fantocci hanno un altro vantaggio: sono antigravi.




 Non conoscono l’inerzia della materia, tra tutte le qualità la più contraria alla danza, perché la forza che li solleva in aria è maggiore di quella che li inchioda sulla terra.

 

Che non darebbe la nostra brava. G. per pesare sessanta libbre di meno o per essere soltanto di tale peso e trarne vantaggio nelle sue capriole e piroette!

 

I fantocci, come gli elfi, hanno bisogno del terreno soltanto per sfiorarlo e per rianimare, con il momentaneo arresto, lo slancio delle membra; noi invece ne abbiamo bisogno per riposarvi e ristorarci dalla fatica della danza: situazione che evidentemente non è danza e non si può utilizzare se non facendola possibilmente scomparire.

 

Gli feci notare che, per quanto perorasse abilmente la causa dei suoi paradossi, non mi avrebbe mai convinto che in un fantoccio meccanico ci possa essere più grazia che nella struttura del corpo umano.




 Replicò che per l’uomo è addirittura impossibile arrivare, in questo campo, alla pari del fantoccio. Qui soltanto un dio può misurarsi con la materia; e questo è il punto in cui s’incastrano i due capi del mondo anelliforme.

 

Ero sempre più stupefatto e non sapevo proprio che cosa dire di fronte a così singolari affermazioni!

 

Pareva - soggiunse fiutando una presa di tabacco - che non avessi letto attentamente il terzo capitolo del primo libro di Mosè;  e con chi non conosca quel primo periodo di ogni formazione umana, non è possibile parlare dei successivi, meno che mai dell’ultimo.




 N.B. (è vero, infatti nel buon nome che porto - e certo mai indosso come il costume d’una marionetta posta in ugual scena -, seppur la dotta citazione del ‘Von’ [appena letta], aggiungo alla suddetta che, oltre il capitolo del tomo di Mosè, mi deve esser sfuggito, il breve frammento di come si compone e conclude, in ugual medesimo paradosso, il capitolo circa le dette marionette; giacché è bene tornare al frutto proibito della Conoscenza, il quale, sembra,  rinnovarne la dismessa rimossa Coscienza, abdicata ad una o più marionette poste in ugual Giardino. Ed a colui che impropriamente, circa il Dio così ‘paradossalmente’ interpretato, ne incarna ed anima - in cotal teatrino -, i fili del  ‘comandato’ seguito, subordinato al rimosso abdicato frutto da cui preferito saporito Verbo o Agnello, immolato all’altare del progresso odiernamente mal interpretato da un teatro di marionette; preferiamo un diverso Tempio ove pregare come rinsaldare il divino, a cui l’eletta marionetta sembra sfuggirgli ogni più profondo Spirito accompagnato dalla infruttuosa certezza. Ebbene noi rinnoviamo proprio quella, che la marionetta ne prenda dovuta nota, a dispetto dell’apparente certezza dei fili di come mossa e comandata!




Ai futuri inganni accompagnati da infiniti misfatti conditi da solite ed insolite ingiustizie, prescriviamo oracoli poeti e sciamani. Al morbo dell’odierna pazzia, raccomandiamo responsi oracolari. Al dio della meccanica dell’eterno umano raggiro, raccomandiamo di ascoltare ed interpretare la più elevata Lingua d’ogni più naturale bestia, con cui solitamente mi accompagno circa l’adottata grammatica in ugual vita intrapresa nonché disquisita. Al dio della certezza, preferiamo il demone - ogni dèmone - della Terra. Al circoscritto Universo, preferiamo e prescriviamo il rimedio dello Sciamano, di descriverne la più reale concreta appartenenza per ogni Viaggio intrapreso posto in ugual orbita. Alla gravità della loro materia, preferiamo la scomposta e non ancor ben decifrata Anima-Mundi Madre della Terra. Alla certezza della marionetta, abdichiamo e raccomandiamo un diverso responso oracolare dedotto dalle viscere della solfurea Terra quotidianamente attentata. All’odierna falsa ‘parabola’ in cui costretto ogni Elemento, così come la simmetrica dedotta marionetta, preferiamo un Primo ed Ultimo Elemento, in nome e per conto degli Dèi che ne rinnovano il sofferto martirio. Al mito del progresso, preferiamo l’Esilio del nostro Dio. Se questo un triste Destino, o un Elevato invisibile Merito, solo per ogni Elemento in noi rinato e restituito, e mai sia detto subordinato, possiamo sperare di rifondare quanto Creato.  - Giuliano -)      

 

(H. Von Kleist)




Le arti meccaniche, proprio in quanto appartengono al regno dell’astuzia e di ciò che è contro natura, non fanno parte della fisica, che si occupa di ciò che avviene secondo natura. Del resto, per i greci, solo la matematica e l’astronomia sono, appunto, scienze in senso pieno e proprio, poiché si occupano di quelle cose i cui principi non possono essere diversamente da quel che è.

 

Esse godono quindi dei privilegi della necessità e della conoscenza a priori, giacché hanno validità indipendentemente dall’esperienza. Nel vasto dibattito sul rapporto tra physis (natura) e nomos (legge) la meccanica si pone risolutamente, sin dalle sue mitiche origini in Dedalo e Icaro, quale antinatura, mentre la medicina – così appare, ad esempio, nel De arte e nel De victu del Corpus Hippocraticum – si presenta piuttosto come assecondamento e imitazione della natura.




Nel De victu, in particolare, si mostra come il corpo umano segua inconsapevolmente la natura e come, di conseguenza, la medicina debba, al massimo, accelerare il corso che la natura stessa comunque prenderebbe.

 

La mitologia antica ha creato una innumerevole quantità di esseri fabbricati, non nati, dotati di una vita artificiale: basti ricordare ‘Talos’, il gigantesco automa, creato da Efesto per Zeus nella funzione di guardiano di Creta, ‘Pandora’, altro prodotto del divino fabbro, o la statua scolpita in avorio da Pigmalione (di cui egli si innamorò e che prese vita grazie ad Afrodite) o, ancora, i mirabili oggetti semoventi in precedenza ricordati in Omero e Aristotele.

 

Talvolta, gli dèi si possono vendicare del turbamento dell’ordine naturale di cui sono garanti, punendo la hybris di chi si serve della mechane, dell’astuzia tecnica. Ed ecco che il calore del sole fa fondere sintomaticamente la cera delle ali artificiali di Icaro, giacché la costruzione di macchine (al pari di ogni accentuata alterazione dell’equilibrio tra uomo e natura) appare come un inganno teso alla divinità, simile al furto del fuoco compiuto dall’astuto Prometeo.


[Prosegue con il capitolo completo]







 

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