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Il Limite della vita (27/8)
Prosegue con la...:
Tempesta del Fiume (30)
Carrel lancia un grido nel sonno e alza la testa, come
se si fosse svegliato.
‘Ha chiamato?’
chiede
Sinigaglia.
‘No’,
risponde
Gorret, la giovane guida alpina.
‘Sta
sognando. Forse la transumanza, ma non più la caccia’.
‘Ha paura?’
‘Di cosa?’
‘Magari del maltempo’.
Gorret guarda Carrel, sdraiato sul suo tavolato a russare. Si è addormentato
subito, nel piccolo rifugio a metà strada verso la vetta.
‘No, ha preso sonno prima che scoppiasse la tempesta’.
‘E allora
come mai quest’urlo spaventoso?’
‘Jean-Antoine è stanco. Sono giorni ormai che
a mezzanotte è già in attività, prima sul Monte Bianco, poi la traversata da
Chamonix a Courmayeur attraverso i passi’.
‘Capisco,
dev’essere davvero esausto’.
‘Ritirata?’
chiede
Sinigaglia mentre si scalda le mani davanti al fuoco.
Gorret
scuote il capo. Guarda storto il torinese, solo per un istante, e borbotta
qualcosa tipo
‘No, no’.
Non torneranno indietro, lui ha bisogno del compenso da guida per i suoi figli.
Dentro la piccola stufa a muro crepitano ciocchi di legno, sul tetto tirano raffiche di vento degne di un uragano. Quando Carrel si sveglia, si guarda attorno, fiuta l’aria di quella stanza fumosa, tende l’orecchio verso il temporale: un animale spaventato.
‘E questa
tempesta?’
chiede,
come assente.
‘Venuta
all’improvviso, dal nulla’,
gli
risponde Gorret.
‘Non mi
piace per niente’.
Segue un
lungo silenzio.
‘C’è neve
fresca?’
‘Grandine e neve’.
‘Quanta?’
‘Non lo so’.
[….]
…E dov’è il
resto del mondo?
Dietro a
nubi che s’inseguono veloci, Carrel
scorge una pallida luna invernale, così lontana ed eterea che non sembra
nemmeno di questo mondo.
‘Il cielo
non c’è più’,
Gorret
sente dire al vecchio mentre torna dentro al rifugio. Carrel si scuote, alza la
testa, mormora qualcosa. Ora lo sa anche Sinigaglia: non si mette bene.
Arrivati al
rifugio, in tarda mattinata, avevano incontrato Daniele e Antonio Maquignaz,
Pietro Maquignaz e Edoardo Bich, che avevano attrezzato un tratto di via con
corde fisse. Le giovani guide avevano rafforzato la speranza di Sinigaglia che
il giorno seguente il tempo sarebbe stato magnifico: Carrel sarebbe senz’altro riuscito a condurre la sua squadra in
vetta!
Verso le tre del pomeriggio, il gruppo Maquignaz era sceso verso il Breuil. Carrel era rimasto a guardare i quattro giovanotti e li aveva salutati un’ultima volta con la mano. Poi aveva voluto riposarsi un attimo. Ora, dentro al rifugio, Carrel non parla. Controlla ancora una volta il tempo: dal Monte Bianco soffiano nuvole di tempesta, il cielo si è incupito come un oceano in burrasca.
Quando esce
per la terza volta dal rifugio, la depressione ha raggiunto la Dent d’Hérens; i
seracchi a lui familiari e le creste di ghiaccio filigranate sono spariti,
sulla grande montagna a ovest regna solo il caos: un quadro nei toni del nero e
del blu. Carrel spera si tratti di un
temporale passeggero.
Però prevede guai, è incerto.
Il vento
che soffia da nord aumenta ora dopo ora.
Carrel rimugina, rievoca con la memoria i peggiori episodi di maltempo della sua vita da guida alpina. Come se dai pericoli scampati fosse possibile trarre la forza di sopravvivere. Spetta a lui la responsabilità, ora non può commettere errori, non può allarmare l’ospite. Se avessero continuato verso la vetta come voleva Sinigaglia, a quest’ora, in discesa, si sarebbero trovati in trappola: chissà dove, senza riparo, ancora molto in alto sulla montagna. Nel frattempo, anche l’ospite ha capito che se Carrel non avesse imposto quell’attesa a quest’ora sarebbero tutti morti.
Il vecchio era riuscito a prevedere il brusco
cambiamento?
A intuire
cosa sarebbe accaduto?
Il tempo aveva
iniziato a peggiorare soltanto dopo che i quattro giovani avevano lasciato il
rifugio. E lo aveva fatto con una rapidità ignota tanto a Sinigaglia quanto a
Gorret.
Che
tempesta!
Neve, prima
a ciel sereno, poi neve ghiacciata.
(R. Messner)
(J. Ruskin)
La data del 1851 inizia a Zermatt, colla
presenza del famoso alpinista Alfred Wills, il periodo delle conquiste. Non è
più solo l’amore della scienza che eccita gli animi e sospinge l’uomo sulle
cime, ma la passione vera del monte e la conquista del medesimo. Ben 9 anni
dura la lotta col Monte Rosa, infine nel 1855 quest’eccelsa sommità viene
debellata. In quell’anno nasce a qualcuno l’idea di scalare anche il Cervino;
Dollfuss-Ausset ne insegna il modo :..... in pallone!
Piemontese Angelo Sismonda, il quale col suo libro
compieva la prima opera di ravvicinamento fra le regioni montane e gli
abitatori delle città. Il Rey ricorda
però con compiacenza alcune luminose eccezioni, ossia i primi cultori dell’alpinismo
in Italia: Pietro Giordani (1801) Vincent e Zumstein (1819),
Gnifetti e l’abate Chamonin (1842),
e infine il Padre della Patria, che ‘professò pubblicamente, prima di ogni
altro forse, in Piemonte, la passione dei monti’.
Il Rey ci ricorda gli abitanti, gli usi e i
costumi della valle, le emigrazioni periodiche, cine in parte si verificano
tuttora, le feste, le storie lunghe, per lo più di fate, in cui il Cervino
entra tratto tratto, e infine le comitive che percorrono la Valtournanche.
Quivi non esisteva il mestiere di guida e nemmeno quello di albergatore: unico,
il parroco dava alloggio e contorto ai viandanti nella sua ‘cure’.
Solo nel 1855 troviamo nel villaggio di Valtournanche il modesto Hotel du Mont- Cervin, che prese poi nome di Hôtel du Mont Rose. Esso è l’attuale locanda albergo, ‘che tiene il suo piccolo posto nella grande storia del Cervino’. Per convincersene, basta sfogliate il libro dei viaggiatori, contenente le firme di quasi tutti gli illustratori del Cervino. Nell’anno successivo (1856) si apre l’albergo al Grornein, il quale viene via via ampliandosi, sino a costituire l’attuale grandioso hotel.
Interessante,
soprattutto, è la storia remota del Colle del Teodulo, pel quale transitavano i
pellegrini che per la Valtournanche recavansi a Sion ‘la piccola Gerusalemme
del Vallese’. Ma sul finire del secolo
VIII viene la luce della scienza a fugare le tenebre e la santificazione
del Colle: è De Saussur che vi colloca la sua famosa tenda e procede ai suoi
studi di geologia. Sessant’anni dopo (1849),
i viaggiatori erano meravigliati ai trovare lassù, accampati al riparo di una
tenda mal rabberciata, due poveri coniugi J. Pierre Meynet, i quali loro
offrivano cibi e i propri servizi.
Durante questo soggiorno estivo di 3 mesi al Teodulo, essi attendevano alla costruzione di una baracca destinata a dar ricetto ai passanti. E questa venne terminata nel 1855 dal successore di costoro, certo B. Meynet.
Interessa pure la storia delle prime guide della
valle.
In epoca
anteriore al 1840 i viaggiatori
duravano molti stenti prima di trovarvi una guida, la quale era poi quasi
sempre un contrabbandiere, iniziato assai poco ai misteri della montagna. Ma
come i valligiani si accorsero che gli alpinisti cominciavano ad affluire nella
loro contrada, ‘compresero che c’era qualche cosa da guadagnare: allora sentirono
di essere guide, e una vera smania li colse e un sentimento di emulazione’, di
fronte alle guide che da Chamonix e da Zermatt capitavano nella Valtournanche (dopo il 1857). E fu questa delle guide
straniere una buona scuola per le nostre, e tanto più l’appresero, in quanto comprendevano che,
emancipandosi dalle guide savoiarde o vallesane, essi avrebbero acquistato
maggior nome e ricavato e maggior profitto.
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