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Gli impiegati della Compagnia (17/1)
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Discesa negli inferi (19)
A Febbraio lascio l’ospedale, incurabile (per tutti coloro che mi hanno
visto… Ma chi ha goduto del dono di cui la luce all’occhio si compone? O forse
scusate, ho confuso un lontano Cusano? O forse un Eckhart? O ancor prima di
loro non distante da quella fonte un Giamblico - passo antico - il quale
narrava ugual ‘cammino’…? Scusate il delirio proseguo
codesto invisibile Sentiero giacché gli Spiriti che affollano quest’ora son
troppi nella parabola nominata vita…)…comunque come dicevo a febbraio
lascio l’ospedale, incurabile però guarito dalle tentazioni del mondo.
Partendo, volevo baciare la mano della buona Madre, senza prediche, m’aveva
insegnato la ‘via crucis’. Ma un sentimento di venerazione per qualcosa di
sacrosanto m’ha trattenuto. Vorrei che accogliesse in ispirito il
ringraziamento d’uno Straniero sconvolto, smarrito in un paese lontano!
Sì è vero mi hanno inviato in questa guerra invisibile ove il Kurtz
innominato è la miglior compagnia rispetto alla ditta che risale lenta la
china…
Così
siamo due e…, per non offendere una fonte innominata della liquida storia
qui narrata e non ancora del tutto solidificata al numero della vita, siamo in
una dualità perfetta, e con questa Anima benedetta dovrò affrontare lunga
disquisizione…, ma scusate io vado ora a narrarvi un breve mio inciampo per
questo Inferno maledetto, giacché la Compagnia si appresta ad indagare l’Empedocle
fuggito: non vuol godere né vista né correre ripido e rinfrescare dovuta ed
invisibile intelligenza…
Lui è solo un fiume lontano per chi pensa godere della vista affissa ad
una avversa parabola della vita…
Ed ecco che vedano l’Inferno…
E mentre taccio questi pensieri ed abbasso le tende della mia porta a vetri, noto in salotto, un gruppo di signore e signori che bevono dello champagne.
Sono certo degli stranieri arrivati stasera…
Ma non sono certo qui per divertirsi, hanno l’aria troppo seria,
discutono, fanno progetti, parlano a bassa voce come cospiratori…. Come se non
bastasse si girano sulle sedie e col dito indicano la mia camera.
Alle dieci la mia lampada è spenta, e m’addormento, tranquillo,
rassegnato come un agonizzante.
Mi sveglio; una pendola suona le due, una porta si chiude e… balzo dal
letto, come attirato da una pompa aspirante che mi succhiasse il cuore…
Appena in piedi, una doccia elettrica mi s’abbatte sulla nuca e mi
preme sul pavimento.
Mi rialzo, afferro gli abiti e mi precipito in giardino, in preda a
orribili palpitazioni.
Vestito per prima cosa penso ad andare dal commissario di polizia, per
chiedere una perquisizione dell’albergo. Ma il portone è chiuso, e anche la
guardiola del portiere, così debbo avanzare a tastoni, apro una porta sulla destra
ed entro in una cucina dove sta accesa una piccola lampada. La rovescio e mi
trovo in piedi, nell’oscurità profonda della notte.
La paura mi fa riprendere coscienza e, guidato dal pensiero che se mi
sbaglio sono perduto, torno in camera mia.
Trascino una poltrona in giardino e, seduto sotto la volta stellata,
penso a quanto m’è successo.
Una malattia?
Impossibile!
Perché stavo bene prima di svelare la mia identità.
Un attentato?
E’ chiaro!
Ne ho visti io stesso i preparativi!
D’altronde, qui in giardino, fuori dal tiro dei nemici di questa
immonda Compagnia, la quale, in nome del Progresso ingombra ogni più certa via
ogni rima ogni simmetria ogni diversa chimica invisibile alla congiunzione di
una più antica alchimia…, mi sento meglio, ed il cuore a dispetto delle loro
tenebre… funziona…
Dov’era il cuore? Il mio cuore! Su per uncino?
Affisso al petto?
Nel diletto segreto di un padre gesuita rimembrato ho anche questo
antico dilemma da svelare e rilevare giacché dovrei entrare in conflitto col
Cartesio e procedere all’esclusione di ogni possibile direzione del Tempo ma
siamo Infiniti e correggere la rotta è nostro compito, Soli in questo
Frammento d’Universo…
Anche se la misera materia pur vedendo non gode dell’emozione…: pulza
una diversa semenza che la foglia appassisce l’inverno uccide la primavera
annega e l’autunno rinnega nel palpito smarrito della vita, o forse, l’alito
appesantito di una diversa coscienza cardiaca… Chissà?
La loro è una diversa Compagnia…
Mentre sto così riflettendo (sì riflettendo hai letto bene! Perché
pensavi che ciò che pur leggi nella Memoria sia solo un in inciampo momentaneo?
La mia follia continua in quest’Inferno della vita e medita quel che dico… il
Kurtz mio amico sa bene ciò che scrivo!!).
Ma ora sento qualcuno tossire non gradisce quest’Eretico Intelligibile
Pensiero, un ortodosso?
No!
La Compagnia!
Subito gli risponde, dalla stanza di sopra, un piccolo colpo di tosse.
Sembrano segnali, simili appunto a quelli che avevo udito l’ultima
notte all’Hotel Orfila.
Tento la porta a vetri del pianterreno, sperando di forzare la
serratura, ma inutilmente!
Stanco per l’inutile lotta contro questa Compagnia, m’accascio nella
poltrona ove il sonno della vita ha il sopravvento su di me, e così m’assopisco,
ho meglio, ancora vivo all’oculo distratto della vista la quale contempla Infinita mia Natura, forse poco compresa…
Comunque da quella follia sono pur guarito ed ora cerco di curare la
malattia invisibile di una più solida
scienza anche se il liquido alcolico
ancor non ho ingerito solo rinato in un’altra vita, o forse una lotta, del
resto anch’io sono il Giobbe che pensa, certo non fu’ solo il Gustav della
stanza a fianco…
Dovrei spiegargli il tutto quando il sole mi sveglia, grazie alla
provvidenza che mi ha strappato da una strana morte incompresa frutto della
limitata conoscenza…
Raccolgo le mie poche cose per andare a Dieppe, dove troverò rifugio
presso alcuni amici, trascurati da me come tutti gli altri, nonostante siano
indulgenti e generosi con gli sfortunati ed i naufraghi…
Quando chiedo della padrona dell’albergo, mi dicono che non è visibile,
e raccontano che è indisposta. Lasciando il terreno luogo della mia avventura
lancio una maledizione sulla testa dei malviventi e invoco il fuoco del cielo
su quel covo di briganti; a torto o a ragione, chi può saperlo?
Quando i miei amici mi vedono si spaventano non potrebbe essere
altrimenti tutte le volte che estranei si avventurano per le nostre dimore…
Ho con me la mia borsa da Viaggio colma di manoscritti debbono essere
protetti dalle grinfie della Compagnia è il miglior avorio con cui azzannare quei
colpi piantati nel petto come elefanti cresciuti nel giardino del Tempo ove la
mela hanno colto ed il sapore gradito… Li ha sfamati forse anche saziati del
resto la fame conosce la propria passione nella genesi di questa evoluzione…
Ma anche questa è una favola antica nella disputa fra la foglia il seme
la radice ed il frutto proibito, tutti indistintamente ammirati nell’Albero
certamente appassito e bruciato al rogo di un fuoco che non sazia alcun
appetito, solo il muscolo di un cardiaco e meccanico movimento più affine allo
stupore pari all’inganno con cui si è soliti crocifiggere codesto Sentiero e
con lui ogni Stagione da cui la vita…
‘Da dove viene, poveretto?’.
‘Vengo dalla morte’.
‘Me l’ero immaginato, con quella faccia cadaverica!’.
La cara e buona signora di casa mi prende per mano e mi conduce davanti
a uno specchio, ove posso guardarmi il viso (Dio sono ancora vivo!).
Il viso nero dal fumo della ferrovia, le guancie scavate, i capelli
sudati e grigi, gli occhi stralunati, la biancheria annerita: facevo pietà.
Quando la gentile signora, che mi trattava come un bambino malato e
abbandonato, mi lasciò solo davanti allo specchio, esaminai da vicino il mio
viso.
C’era nei miei tratti una congiunzione di elementi sconosciuti alla
matematica della loro chimica ed ora andiamo a formulare l’elemento della vita…
Siamo soli in questa Eresia…
(A. Strindberg mi ha detto: vedo l’Inferno!)
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