CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
30 MAGGIO 1924

giovedì 7 febbraio 2019

LA BEATRICE DUPLICATA


















Prosegue in:

...Et anco cagionata ...(trad: ed anche ragionata)...











In questi tempi andati persi dismessi meccanicamente avariati quantunque contrastati al pari del veloce desiderato ‘domani’ tutti indistintamente innamorati del visore ad alta velocità connesso in cui calato l’oculo quanto l’intero Intelletto abdicato per conto ed in nome del ‘progresso’, e a chi ‘nulla’ ma tutto pretende e comprende giammai sia svelata l’Eva o Beatrice in trepida attesa rivelata nella mela coltivata d’una nobile antica filosofia celata (che Apple mi perdoni per l’ignobile Eresia la sua tentazione miglior ‘peccato’ annunziato al trono assiso tutti gli altri frutti del giardino coltivato un nulla dinnanzi alla nuova creazione genesi dell’intero misfatto….) qual umile  comparsa al palcoscenico cui destinata ad un ruolo subalterno, difatti successivamente qual vero Intelletto ‘internata’. Giacché cotal Universo stracolmo di nobili attori da regali ciarlatani accompagnati ed incaricati recitare ridicola farsa tele-comandata. L’intelletto duplicato con l’Anima in (corto)circuito prestampato ad un microencefalochip delegato e meccanizzato regnare dal terzo cielo mirabilmente (ri)creato… 






L’amor platonico e beatrice svelata e celata all’Intelletto vien ora duplicata così come il nuovo amore corrisposto presso l’officina meccanica specializzata. Mi pare un dovere celare la Natura quanto l’Arte barattata d’un antico Aristotele coltivato impropriamente nel proprio ed altrui  futuro giardino alla mercé d’una macchina al pari di Tristana la bambola che ti sollazza e trastulla amor gettonato e ad ognun promesso dal terzo cielo calato per il nuovo celebroleso all’intelletto dalla parabola innestato. E nel nuovo Evo così mirabilmente con-diviso donare all’altrui ciarlare e calunniare d’una impropria meccanica officina meccanizzata la duplice copia d’un’amor impossibile tridimensionalmente corrisposto per la gioia del Progresso mirabilmente duplicato doppio nell’intento coltivato…  





Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete,
udite il ragionar ch’è nel mio core,
ch’i’ no’l so dire altrui, sì mi par novo.
El ciel che segue lo vostro valore,
gentili creature che voi siete,
 mi tragge nello stato ov’io mi trovo;
onde ’l parlar della vita ch’io provo
par che·ssi drizzi degnamente a voi:
però vi priego che·llo m’intendiate.
Io vi dirò del cor la novitate,
come l’anima trista piange in lui,
e come un spirto contra lei favella
che vien pe’ raggi della vostra stella.

Suol esser vita dello cor dolente
un soave penser che’sse ne gìa
molte fïate a’ piè del vostro Sire,
ove una donna glorïar vedea,
di cui parlav’a·mme sì dolcemente
che l’anima dicea: ‘I’ me’n vo’ gire’.
Or apparisce chi lo fa fuggire
e segnoreggia me di tal vertute
che ’l cor ne trema che di fuori appare.
Questi mi face una donna guardare
e dice: ‘Chi veder vuol la salute,
faccia che gli occhi d’esta donna miri,
sed e’ non teme angoscia di sospiri’.

Trova contraro tal che lo distrugge
l’umil pensero che parlar mi sole
d’un’angela che ’n cielo è coronata.
L’anima piange, sì ancor le ·n dole
e dice: ‘Oh lassa me, come si fugge
questo pietoso che m’ha consolata!’
Degli occhi miei dice questa affannata:
‘Qual ora fu che tal donna gli vide!
E perché non credeano a me di lei?
Io dicea: `Ben negli occhi di costei
de’ star colui che le mie pari uccide´.
E non mi valse ch’io ne fossi accorta
che non mirasser tal, ch’io ne son morta’.

‘Tu non sè morta, ma sè ismarrita,
anima nostra che sì ti lamenti’,
dice uno spiritel d’amor gentile;
‘ché quella bella donna che tu senti
ha trasmutata in tanto la tua vita
che’nn’ha’ paura, sì sè fatta vile.
Mira quant’ell’è pietosa e umìle,
cortese e saggia nella sua grandezza,
e pensa di chiamarla donna ormai.
Ché se tu non t’inganni, tu vedrai
di sì alti miracoli adornezza,
che tu dirai: `Amor, segnor verace,
ecco l’ancella tua, fa’ che’tti piace’.

Canzone, io credo che saranno radi
color che tua ragione intendan bene,
tanto la parli faticosa e forte.
Onde, se per ventura egli adiviene
che tu dinanzi da persone vadi
che non ti paian d’essa bene accorte,
allor ti priego che ti riconforte,
dicendo lor, diletta mia novella:
‘Ponete mente almen com’io son bella’.






L’ultima persona al mondo a cui un duplicatore tridimensionale avrebbe dovuto finire in mano è Gilberto; ed invece il Mimete gli cadde in mano subito, un mese dopo il suo lancio commerciale, e tre mesi prima che il noto decreto ne vietasse la costruzione e l’impiego; vale a dire, ampiamente in tempo perché Gilberto si mettesse nei guai…

…Gli cadde in mano senza che io potessi fare nulla: stavo a San Vittore, a scontare la pena del mio lavoro di pioniere, ben lontano dall’immaginare chi, e in che modo, lo stesse continuando. Gilberto è un figlio del secolo. Ha trentaquattro anni, è un bravo impiegato, mio amico da sempre. Non beve, non fuma, e coltiva una sola passione: quella di tormentare la materia inanimata. Ha uno sgabuzzino che chiama officina, e qui lima, sega, salda, incolla, smeriglia. Ripara gli orologi, i frigoriferi, i rasoi elettrici; costruisce aggeggi per accendere il termosifone al mattino, serrature fotoelettriche, modellini che volano, sonde acustiche per giocarci al mare. Quanto poi alle auto, non gli durano che pochi mesi: le smonta e rimonta continuamente, le lucida, lubrifica, modifica; gli monta sopra futili accessori, poi si stufa e le vende.

…Emma, sua moglie (una ragazza incantevole), sopporta queste sue manie con mirabile pazienza…




Ero appena rientrato a casa dalla prigione, quando suonò il telefono. Era Gilberto, ed era regolarmente entusiasta: possedeva il Mimete da venti giorni, e gli aveva dedicato venti giorni e venti notti. Mi raccontò a perdifiato le meravigliose esperienze che aveva realizzate, e le altre che aveva in animo di fare; si era comperato il testo del Peltier, Théorie générale de l’imitation, e il trattato di Zechmeister e Eisenlohr, The Mimes and other Duplicating Devices; si era iscritto ad un corso accelerato di cibernetica ed elettronica. Le esperienze che aveva realizzate assomigliavano melanconicamente alle mie, che mi erano costate abbastanza care; tentai di dirglielo, ma fu inutile: è difficile interrompere un interlocutore al telefono, e Gilberto in specie. Alla fine, tolsi brutalmente la comunicazione, lasciai il ricevitore staccato e mi dedicai agli affari miei.

Due  giorni dopo il telefono squillò nuovamente: la voce di Gilberto era carica di emozione, ma recava un inconfondibile accento di fierezza.

- Ho bisogno di vederti immediatamente.

- Perché? Che cosa è successo?

- Ho duplicato mia moglie, - mi rispose.




Giunse dopo due ore, e mi raccontò la sua stolta impresa. Aveva ricevuto il Mimete, aveva eseguito i soliti giochetti di tutti i principianti (l’uovo, il pacchetto di sigarette, il libro, eccetera); poi si era stancato, aveva portato il Mimete in officina e lo aveva smontato fino all’ultimo bullone. Ci aveva pensato sopra tutta la notte, aveva consultato i suoi trattati, e aveva concluso che trasformare il modello da un litro in un modello più grande non doveva essere impossibile, e neppure tanto difficile. Detto fatto, si era fatto spedire dalla NATCA, non so con quali pretesti, 200 libbre di pabulum speciale, aveva comprato lamiere, profilati e guarnizioni, e dopo sette giorni il lavoro era compiuto. Aveva costruito una specie di polmone artificiale, aveva truccato il timer del Mimete, accelerandolo di una quarantina di volte, ed aveva collegato le due parti fra di loro e col contenitore del pabulum.


Questo è Gilberto, un uomo pericoloso, un piccolo prometeo nocivo: è ingegnoso e irresponsabile, superbo e sciocco. È un figlio del secolo, come dicevo prima: anzi, è un simbolo del nostro secolo. Ho sempre pensato che sarebbe stato capace, all’occorrenza, di costruire una bomba atomica e di lasciarla cadere su Milano ‘per vedere che effetto fa’. 














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