Prosegue in:
...Et anco cagionata ...(trad: ed anche ragionata)...
In questi tempi andati persi dismessi
meccanicamente avariati quantunque contrastati al pari del veloce desiderato ‘domani’
tutti indistintamente innamorati del visore ad alta velocità connesso in cui calato
l’oculo quanto l’intero Intelletto abdicato per conto ed in nome del
‘progresso’, e a chi ‘nulla’ ma tutto pretende e comprende giammai sia svelata l’Eva
o Beatrice in trepida attesa rivelata nella mela coltivata d’una nobile antica
filosofia celata (che Apple mi perdoni per l’ignobile Eresia la sua tentazione
miglior ‘peccato’ annunziato al trono assiso tutti gli altri frutti del
giardino coltivato un nulla dinnanzi alla nuova creazione genesi dell’intero
misfatto….) qual umile comparsa al
palcoscenico cui destinata ad un ruolo subalterno, difatti successivamente qual
vero Intelletto ‘internata’. Giacché cotal Universo stracolmo di nobili attori
da regali ciarlatani accompagnati ed incaricati recitare ridicola farsa tele-comandata.
L’intelletto duplicato con l’Anima in (corto)circuito prestampato ad un
microencefalochip delegato e meccanizzato regnare dal terzo cielo mirabilmente
(ri)creato…
L’amor platonico e beatrice svelata e celata all’Intelletto vien ora duplicata così come il nuovo amore corrisposto presso l’officina meccanica specializzata. Mi pare un dovere celare la Natura quanto l’Arte barattata d’un antico Aristotele coltivato impropriamente nel proprio ed altrui futuro giardino alla mercé d’una macchina al pari di Tristana la bambola che ti sollazza e trastulla amor gettonato e ad ognun promesso dal terzo cielo calato per il nuovo celebroleso all’intelletto dalla parabola innestato. E nel nuovo Evo così mirabilmente con-diviso donare all’altrui ciarlare e calunniare d’una impropria meccanica officina meccanizzata la duplice copia d’un’amor impossibile tridimensionalmente corrisposto per la gioia del Progresso mirabilmente duplicato doppio nell’intento coltivato…
L’amor platonico e beatrice svelata e celata all’Intelletto vien ora duplicata così come il nuovo amore corrisposto presso l’officina meccanica specializzata. Mi pare un dovere celare la Natura quanto l’Arte barattata d’un antico Aristotele coltivato impropriamente nel proprio ed altrui futuro giardino alla mercé d’una macchina al pari di Tristana la bambola che ti sollazza e trastulla amor gettonato e ad ognun promesso dal terzo cielo calato per il nuovo celebroleso all’intelletto dalla parabola innestato. E nel nuovo Evo così mirabilmente con-diviso donare all’altrui ciarlare e calunniare d’una impropria meccanica officina meccanizzata la duplice copia d’un’amor impossibile tridimensionalmente corrisposto per la gioia del Progresso mirabilmente duplicato doppio nell’intento coltivato…
Voi
che ’ntendendo il terzo ciel movete,
udite
il ragionar ch’è nel mio core,
ch’i’
no’l so dire altrui, sì mi par novo.
El
ciel che segue lo vostro valore,
gentili
creature che voi siete,
mi tragge nello stato ov’io mi trovo;
onde
’l parlar della vita ch’io provo
par
che·ssi drizzi degnamente a voi:
però
vi priego che·llo m’intendiate.
Io vi
dirò del cor la novitate,
come
l’anima trista piange in lui,
e
come un spirto contra lei favella
che
vien pe’ raggi della vostra stella.
Suol
esser vita dello cor dolente
un
soave penser che’sse ne gìa
molte
fïate a’ piè del vostro Sire,
ove
una donna glorïar vedea,
di
cui parlav’a·mme sì dolcemente
che
l’anima dicea: ‘I’ me’n vo’ gire’.
Or
apparisce chi lo fa fuggire
e
segnoreggia me di tal vertute
che
’l cor ne trema che di fuori appare.
Questi
mi face una donna guardare
e
dice: ‘Chi veder vuol la salute,
faccia
che gli occhi d’esta donna miri,
sed
e’ non teme angoscia di sospiri’.
Trova
contraro tal che lo distrugge
l’umil
pensero che parlar mi sole
d’un’angela
che ’n cielo è coronata.
L’anima
piange, sì ancor le ·n dole
e
dice: ‘Oh lassa me, come si fugge
questo
pietoso che m’ha consolata!’
Degli
occhi miei dice questa affannata:
‘Qual
ora fu che tal donna gli vide!
E
perché non credeano a me di lei?
Io
dicea: `Ben negli occhi di costei
de’
star colui che le mie pari uccide´.
E non
mi valse ch’io ne fossi accorta
che
non mirasser tal, ch’io ne son morta’.
‘Tu
non sè morta, ma sè ismarrita,
anima
nostra che sì ti lamenti’,
dice
uno spiritel d’amor gentile;
‘ché
quella bella donna che tu senti
ha
trasmutata in tanto la tua vita
che’nn’ha’
paura, sì sè fatta vile.
Mira
quant’ell’è pietosa e umìle,
cortese
e saggia nella sua grandezza,
e
pensa di chiamarla donna ormai.
Ché
se tu non t’inganni, tu vedrai
di sì
alti miracoli adornezza,
che
tu dirai: `Amor, segnor verace,
ecco
l’ancella tua, fa’ che’tti piace’.
Canzone,
io credo che saranno radi
color
che tua ragione intendan bene,
tanto
la parli faticosa e forte.
Onde,
se per ventura egli adiviene
che
tu dinanzi da persone vadi
che
non ti paian d’essa bene accorte,
allor
ti priego che ti riconforte,
dicendo
lor, diletta mia novella:
‘Ponete
mente almen com’io son bella’.
L’ultima
persona al mondo a cui un duplicatore tridimensionale avrebbe dovuto finire in
mano è Gilberto; ed invece il Mimete gli cadde in mano subito, un mese dopo il
suo lancio commerciale, e tre mesi prima che il noto decreto ne vietasse la
costruzione e l’impiego; vale a dire, ampiamente in tempo perché Gilberto si
mettesse nei guai…
…Gli
cadde in mano senza che io potessi fare nulla: stavo a San Vittore, a scontare
la pena del mio lavoro di pioniere, ben lontano dall’immaginare chi, e in che
modo, lo stesse continuando. Gilberto è un figlio del secolo. Ha trentaquattro
anni, è un bravo impiegato, mio amico da sempre. Non beve, non fuma, e coltiva
una sola passione: quella di tormentare la materia inanimata. Ha uno sgabuzzino
che chiama officina, e qui lima, sega, salda, incolla, smeriglia. Ripara gli
orologi, i frigoriferi, i rasoi elettrici; costruisce aggeggi per accendere il
termosifone al mattino, serrature fotoelettriche, modellini che volano, sonde acustiche
per giocarci al mare. Quanto poi alle auto, non gli durano che pochi mesi: le
smonta e rimonta continuamente, le lucida, lubrifica, modifica; gli monta sopra
futili accessori, poi si stufa e le vende.
…Emma,
sua moglie (una ragazza incantevole), sopporta queste sue manie con mirabile pazienza…
Ero
appena rientrato a casa dalla prigione, quando suonò il telefono. Era Gilberto,
ed era regolarmente entusiasta: possedeva il Mimete da venti giorni, e gli
aveva dedicato venti giorni e venti notti. Mi raccontò a perdifiato le
meravigliose esperienze che aveva realizzate, e le altre che aveva in animo di
fare; si era comperato il testo del Peltier, Théorie générale de l’imitation, e
il trattato di Zechmeister e Eisenlohr, The Mimes and other Duplicating
Devices; si era iscritto ad un corso accelerato di cibernetica ed elettronica.
Le esperienze che aveva realizzate assomigliavano melanconicamente alle mie,
che mi erano costate abbastanza care; tentai di dirglielo, ma fu inutile: è
difficile interrompere un interlocutore al telefono, e Gilberto in specie. Alla
fine, tolsi brutalmente la comunicazione, lasciai il ricevitore staccato e mi
dedicai agli affari miei.
Due giorni dopo il telefono squillò nuovamente: la
voce di Gilberto era carica di emozione, ma recava un inconfondibile accento di
fierezza.
- Ho
bisogno di vederti immediatamente.
- Perché?
Che cosa è successo?
- Ho
duplicato mia moglie, - mi rispose.
Giunse
dopo due ore, e mi raccontò la sua stolta impresa. Aveva ricevuto il Mimete,
aveva eseguito i soliti giochetti di tutti i principianti (l’uovo, il pacchetto
di sigarette, il libro, eccetera); poi si era stancato, aveva portato il Mimete
in officina e lo aveva smontato fino all’ultimo bullone. Ci aveva pensato sopra
tutta la notte, aveva consultato i suoi trattati, e aveva concluso che
trasformare il modello da un litro in un modello più grande non doveva essere impossibile,
e neppure tanto difficile. Detto fatto, si era fatto spedire dalla NATCA, non
so con quali pretesti, 200 libbre di pabulum speciale, aveva comprato lamiere, profilati
e guarnizioni, e dopo sette giorni il lavoro era compiuto. Aveva costruito una
specie di polmone artificiale, aveva truccato il timer del Mimete,
accelerandolo di una quarantina di volte, ed aveva collegato le due parti fra
di loro e col contenitore del pabulum.
Questo è
Gilberto, un uomo pericoloso, un piccolo prometeo nocivo: è ingegnoso e
irresponsabile, superbo e sciocco. È un figlio del secolo, come dicevo prima:
anzi, è un simbolo del nostro secolo. Ho sempre pensato che sarebbe stato capace,
all’occorrenza, di costruire una bomba atomica e di lasciarla cadere su Milano ‘per
vedere che effetto fa’.
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