CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

giovedì 21 febbraio 2019

POESIE SCIOLTE (bocconi brevi)



































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E a voi chevvefrega!

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Bocconi Brevi...













Esser sepolto
Con chi nacqui
Ed al freddo giacqui

Al riparo d’una Grotta
Neppur dimora concessa
D’un Antro antico

In mezzo al ghiaccio
In mezzo alla neve
In mezzo alla bufera

Esser sepolto
Dalla foglia così come la neve
E non certo da una valanga

D’azzurra zozzura vestita

D’azzurro regna solo il cielo
Accompagnato ad un vasto firmamento
D’un esercito di stelle è pur rimasto

Neppure quello giacché troppo affollato
Da strani oggetti
Cavalcare draghi e da serpenti accompagnato

In disaccordo con i veri Elementi!

Esser sepolti all’uscio d’un mistero
Antico ed Eretico
Per esser detto

O solo rivelato
E sepolto
Con chi dalla Natura votato
(Saramonda d’Orange, da ‘Poesie sciolte bocconi brevi’)








…Un pazzo, sì certo quello che accompagnava Saramonda, un pazzo che aveva scelto di conferire alla sua pazzia una forma molto vicina a quella, rigorosamente formalizzata del lazzi giullareschi.

La parola ‘araldo’, a questo proposito, non lascia dubbi: l’araldo (in latino praeco) è appunto il più autorevole tra i giullari presenti durante un torneo, colui che è in grado di riconoscere le armi dipinte dei cavalieri partecipanti e ne descrive a gran voce i pregi e gli atti di valore.

Si può pensare che, in quel periodo, egli fosse ancora incerto fra la vita dell’eremita e quella del pellegrino: due esperienze del resto simili, al punto che il pellegrinaggio ha potuto esser definito un ‘eremitismo ambulante’.

L’eremita bassomedievale viveva di solito non in solitudini inaccessibili come i suoi modelli egizi o siriaci del primo cristianesimo, bensì in romitori prossimi ai centri urbani e alla vie di comunicazione; il pellegrino si spostava di ospizio in ospizio, e i luoghi nei quali trovava riparo giornaliero erano sempre più frequentemente siti in aree urbane o immediatamente suburbane.

Certo è che – questo era necessario per la sua ‘riconoscibilità’ (sottolineiamo che tal condizione riproposta non men che tradotta negli odierni quotidiani accadimenti vien solitamente interpretata da medesimi ugual ‘fedeli’ come condizione della ‘pazzia’ già nominata e da tutti nessun escluso indicata… Dacché conveniamo in cotal difetto d’una o più mirabili Nobili Terre transitate e navigate donde superiore favella regna et impera ma non necessariamente cogitata solo suggerita da indegna misera parabola distribuita e connessa anche per chi ‘custode’ come il Tempo enunciato della vera dottrina divenuta farsa sia essa filosofica o teologica tratta per la sostanza data qual superiore Intelletto e Credo da ognun predicato coltivato et anco da ogni fedele pregato non men che disquisito… Dimorare medesima intolleranza per simmetrica Storia transitata…), per la sua identità socio-giuridica – Francesco veniva considerato un Eremita (oggi se solo bivaccasse fori ugual mura additato e apostrofato come un povero inetto pazzo!).



                                      I   TEMPI  NARRATI


Prossimi al 24 Febbraio ne ravviviamo la Memoria sottratta alle Ragioni della Storia rimembrata ceduta - o se preferite - abdicata alla normalità e non certo alla Pazzia pregata e come il Tempo odierno perseguitata… E rivelata non men che rilevata chi della stessa (pazzia) non certo si maschera o ciarla ma si ispira come acqua da medesima fonte attinta per condividere ugual sete non certo di dotto sapere o falsa preghiera dispensata ma di più elevato Principio Dottrina e con essi Statura e Dio…

Tommaso da Celano narra nella ‘Vita prima’ che un giorno Francesco ascoltando la messa nella sua diletta Porziuncola verso la fine del 1208 rimase colpito della lettura del Vangelo relativa alla ‘missione apostolica’:

‘Andate e predicate dicendo che il regno dei cieli è vicino; curate i malati, suscitate i morti, mondate i lebbrosi, cacciate e dèmoni, i malvagi, i nani…’…

In questa versione della biografia sanfrancescana, Tommaso è evidentemente preoccupato di salvare le ragioni ortodosse d’una scelta radicale di povertà che in quel momento erano ‘Perfette’ per esser confuse, ragioni che rivendicavano proprie e che non somigliavano in nulla al modo di vivere dei preti e neppure dei ricchi monaci: questi ultimi difatti rispettavano sì il voto di povertà personale, ma appartenevano ad Ordini ricchissimi e si vedevano per giunta ordinariamente obbligati a risiedere tutta la vita in quel monastero nel quale avevano pronunziato la loro solenne promessa. Perciò Tommaso aggiunge che Francesco, colpito da questo passo evangelico che egli stimava letto appositamente per lui, corse dal sacerdote che aveva detto messa e se lo fece spiegare punto per punto.

Informazione in apparenza incongrua, dal momento che le pagine successive dimostrarono come fosse proprio la nuda e pura lettera del passo che lo aveva affascinato e convinto; e che a quella egli voleva attenersi, senza alcun commento che ne attutisse la semplice durezza. In realtà, il biografo sottolinea l’immediato ricorso da parte di Francesco al sacerdote e la richiesta di un’interpretazione sicura e fedelmente ortodossa della pagina evangelica in quanto desiderava evidenziare la propria preoccupazione di mantenersi e di mostrarsi sempre ortodosso e il suo desiderio di attenersi alla mediazione della Chiesa, cosa che sempre lo avrebbe distinto…

Forse perché nella manifesta ortodossia si celava e dispiegava ben diversa Natura…

















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