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Nuvola Rossa (2)
È per me uno dei pochi dogmi incontrastati della biologia, che il primum nascens è l’ultimum moriens; e così come nell’uovo
fecondato la prima forma che si disegna è l’asse cerebrospinale; così nell’organismo
che muore l’ultimum
moriens è il cervello, con le sue mille o
proteiformi energie.
E il mio dogma
non è soltanto vero nel suo complesso e preso nella sua sintesi più larga, ma
si afferma nei più minuti particolari.
Ognuno di noi nasce con diverse attitudini, che segnano il sentiero
in cui cammineremo per tutta la vita; ma
nella giovinezza tutte quante a volta a volta e magari tutte insieme
esigono il loro posto al sole. Il cervello dell’uomo giovane è un giardino, in cui sbocciano nello stesso tempo molti fiori e noi non ci curiamo
di vedere quale di essi dia più ricca messe di corolle.
Ma più innanzi nella vita i fiori dati dalle piante più gracili e
delicate avvizziscono e rimangono quelli soltanto delle piante più robuste e
che nel terreno d’ogni cervello trovano il campo più adattato alla loro natura.
E se invece dell’immagine dei fiori ne volete una forse più fedele, vi dirò che il cervello di
un giovane è un orto che dà molti e svariati frutti; ma non tutti giungono alla
maturità, mentre quello d’un vecchio è un orto che dà meno frutti, ma maturan
tutti e son più saporosi e più nutrienti.
E gli alberi,
che nell’orto del vecchio continuano a dar frutti sono i più robusti, quelli
che eran più conformi alla sua particolare natura.
Il primum nascens anche qui si manifesta l’ultimum moriens.
L’Azeglio nasce artista, ma oltre il genio dell’arte ha anche un vivo
amor di patria, ha anche un culto sovrano per la libertà, ha anche un buon
senso tetragono. Orbene nella sua
giovinezza e nella sua età matura egli è a un tempo pittore, scrittore,
soldato, uomo politico; ma giunto alla
vecchiaia gli alberi minori non danno più frutti o pochi soltanto, e in lui
sopravvive il grande artista e si diletta soltanto della pittura, l’ultimum moriens di quel cervello tanto
italiano e tanto polimorfo.
E nella vita di tutti i grandi uomini, e specialmente di quelli che possiamo
chiamar polimorfi perché dotati di diverse energie, potreste verificare l’esattezza
del mio dogma.
Ma vediamo di approfondire lo scalpello nelle profonde fibre del cervello
umano, segnando i caratteri propri dell’ingegno nella vecchiaia, onde sfatare,
se è possibile, il detto volgare e pessimista, che il vecchio sia poco meno che
un imbecille, che finisce i periodi a suon d’orecchio, che pensa col pensiero
degli altri, che nulla più produce di buono, di bello, di utile all’umana famiglia.
Il
giovane non ha passato: egli è l’uomo
del presente e soprattutto dell’avvenire come l’intera Società del progresso il
quale rappresenta, e nei suoi giudizi manca quasi sempre la più
esatta delle misure, che è appunto il confronto del passato col tempo che è,
col tempo che sarà. Egli può studiare la
storia, ma ben di raro lo farà per
piacere.
Nella sua lunga
esperienza ha dovuto correggersi molte volte nei
giudizi dati con troppa fretta o ispirati da troppa passione. E quindi più
giusto, più equanime. Egli non odia il passato, ma neppure teme l’avvenire; perché
sa che sono anelli di una catena, che non ha interruzioni né rotture. Egli era
darvinista dieci secoli prima che Darwin nascesse, e se non è colto nelle
scienze naturali o nelle filosofiche lo è egualmente, perché la teoria dell’evoluzione
sta scritta in tutti i cervelli che pensano, in tutti gli organismi che vivono;
da per tutto. E il vecchio che ha vissuto molto ha naturalmente in sé una più
lunga storia di evoluzioni, ch’egli contempla con grande serenità, con calma
grandissima.
Il giovane, nel
tumulto della sua vita appassionata, nel contrasto
dei venti che agitano le vele della sua navicella coraggiosa, muta spesso di direzione
e di movimento. Ora temerario si lancia nelle più pazze utopie, ora per reazione
si fa conservatore arrabbiato; oggi socialista, domani difensore del trono e dell’altare;
or credente, or miscredente; sempre però sicuro di se stesso e della propria
fede.
Il vecchio
invece ha trionfato delle procelle e soprattutto ha
imparato a conoscere la navicella, in cui ha navigato per tanti anni. Dopo aver
attraversato il mare delle dubbiezze è entrato nel porto tranquillo e sicuro di
poche e sicure convinzioni. Egli non si tormenta più nella ricerca dell’inintelligibile
o nella conquista dell’infinito. Al di là del suo giardino e del suo orto ha
messo Dio o uno zero, e se ne accontenta.
Egli ha opinioni
ben determinate in religione, in politica e in morale, e non
perde il tempo nel metter acqua in un cribro o nel correr dietro alle tante fate
morgane, che brillano sull’orizzonte dell’uomo giovane. Avere poche e sicure
convinzioni dà al vecchio una grande sicurezza di propositi, che gli accresce
valore presso gli uomini e a lui pure rende più facili e piacevoli i travagli
del pensiero. Non è senza ragione, che da secoli l’umana famiglia ha sempre
chiesto luce e consiglio dai vecchi. Non è invano che Senatus deriva da senex e che la mitologia cristiana dipinge sempre
il Padre eterno sotto le sembianze d’un vecchio canuto.
Ecco perché egli riesce soprattutto nelle arti della politica, che appunto esige
sicurezza di terreno per piantarvi edifici che non crollino al primo soffio di
vento. Non c’è bisogno di dimostrare il
perché nel vecchio la sintesi sia e debba essere più larga.
Egli ha molto veduto e nel suo cervello sono entrati tali e tanti
elementi del mondo umano e del mondo cosmico, da allargargli sempre più l’orizzonte.
Se il giovane è più alpinista di lui,
perché ha polmoni più ampi e garretti più robusti, il vecchio ha salito più cime del pensiero e ha imparato a intendere
le ombre nelle ali dell'ignoranza e a non lasciarsi ingannare da tutti i
fantasmi della luce e delle meteore.
Egli è presbite anche nel cervello e non soltanto negli occhi e alla
sintesi questo difetto giova assai più che la miopia. Alla più larga sintesi si
associa nel vecchio anche una maggior ricchezza di associazioni nelle idee.
È questa la
conseguenza logica della prima virtù.
Nel giovane vi
sono molti tasti che non rispondono, vi sono
accordi che non riescono, perché ha molte corde vergini, che non hanno vibrato
ancora. Nel vecchio invece tutti i
tasti sono agevoli, tutte le corde sono attraversate da mille correnti, e le
associazioni delle idee si fanno pronte e per ogni verso; diffondendosi per
tutti i territori del pensiero e del sentimento. Questa è grande virtù e che
supplisce in gran parte alla forza diminuita, all’intensità più debole della
corrente prima, che si sprigiona da quel laboratorio massimo della natura viva,
che è un cervello che pensa.
A supplire alla forza iniziale diminuita contribuisce assai anche la
facilità acquistata nella tecnica del pensiero. Di certo che la macchina pensante di un giovane è migliore di quella
del vecchio; ma appunto perché esce da poco dall’officina ha molta rigidità
nelle sue articolazioni, per cui si muove a scatti e chi la maneggia è ancora inesperto.
Nel vecchio
invece gli attriti son vinti dall’uso, le giunture
son molli e pieghevoli e il macchinista ha imparato a conoscere tutti i difetti
e tutte le virtù della sua macchina; per cui tutte le forme diverse di
movimenti son divenute in lui quasi automatiche e si fanno senza fatica e senza
esitanza.
Quanti intoppi, quanto balbettamento nell’uomo bambino, prima che la corrente della
parola corra pei nervi alla laringe, alla lingua, alle labbra!
Quanti tentativi
inutili, quante storpiature, quanti involontari
idiotismi, prima che l’uomo raggiunga quella bellissima equazione, che apre poi
le porte all’eloquenza: Pensiero =
Parola.
Se la vita non fosse tanto breve ai mille viaggi pensati, vorrei nei
discorsi politici degli oratori più celebri seguire l’evoluzione della parola
attraverso le età; studiando come essa si muti passando dalla prima giovinezza
alla vecchiaia. Sarebbe questo un lavoro utile e fecondo, perché ci
permetterebbe di segnare a grandi linee il diverso stile dell’eloquenza, che
pur rimanendo sempre alla stessa altezza, ha però tante fisionomie, quante ne
hanno la pittura e l’architettura.
Nel giovane la
parola è più calda, più prorompente: se volete, più affascinante,
perché ispirata da più calde passioni, perché in essa sentite il grido della
battaglia e l’impeto della lotta. E più adatta ai tumulti dei meeeting e alla conquista
del popolo nelle piazze o alla conquista delle coscienze sotto le volte del tempio.
Nel vecchio
invece vi è meno calore, ma maggior potenza di
idee, e l’arte più sottile e più ingegnosa nasconde mirabilmente i tranelli dei
sofismi e le trappole dei sillogismi. L’eloquenza del vecchio conquista e tien
salda la conquista. La prima è una carica di cavalleria o un
attacco di bersaglieri; la seconda è un quadrato di fanteria, che non si rompe nella difesa, o è l’artiglieria che abbatte gli
eserciti e rende sicura e infallibile la vittoria.
Se dovessi
quindi riassumere la fisionomia caratteristica del pensiero nell’ultima
età della vita, direi che il vecchio ha un cervello potentemente stereoscopico,
mentre il giovane ha un cervello
creatore. In questo l’agilità e la fecondità, in quello la sicurezza e la
tenacità. Nessuno primo, nessuno
secondo; entrambi organi diversi, che adempiono funzioni distinte in quel
grande organismo, che è una società umana.
Società antiche,
coloni moderni, il pensiero del, se pur datato antropologo, ci suggerisce qui
un paragone non certo azzardato, non solo un paragone ma forse un valido
enunciato così da poterlo inserire in un più ampio contesto, anche se ogni
Vecchio ed Antiquato come da lui disquisito, può ed è sicuramente ignorato
nell’attuale odierno progresso ed èvo moderno, ove ogni pandemia figlia d’una
giovane Società senza morale e principio uccidere come e più di pria.
…Così il
paragone non ci sembra azzardato e se andiamo a riproporre differenze di
pensiero fra il Vecchio ed il Nuovo Progresso che camminando inciampa, vi accorgerete che
pur cambiando la sostanza, nel Tempo andato (per altrui difettevole mano)
sopravvive, e non solo alla pandemica malattia che lenta avanza uccidendo e
sterminando quanto di più antico principio, e non solo nello Spirito dalla
Terra fondato e con lei evoluto, simmetrico alla Natura, perita anch’essa per
vil mano, e giovane difettevole breve Pensiero mal concepito quanto seminato…
Non vi è nessuna speranza sulla Terra, e Dio sembra averci
dimenticato. Alcuni dissero di aver visto il Figlio di Dio, certo anche noi nel
giorno quinto delle Palme coglievamo il suo Antico Pensiero scritto come un
Fiore non appassito, il giovane colono lo colorò di rosso, ancor oggi compie
identico medesimo sacrificio, il Figlio di Dio viene narrato nonché annunciato
nelle Palme pregate, anche noi antiche croste preghiamo un Fiore, ma il Giovane
lo recide dal proprio secolare trono, per porlo entro un circuito di fuoco ove
scorre la luce del tuono. Medesima luce evochiamo mentre danziamo e preghiamo
la Danza degli
Spettri, l’uomo bianco non potrà goderne né profumo
né colore, osservando bufera e tuono accompagnare il triste lamento della Terra
e con essa dell’intera Selva. Anche noi quel Giorno parlavamo di Fiori mentre
il Giovane in nome d’una Palma sterminava ogni Dio di questa Terra divenuto
Eterno Spirito!
Alcuni dissero di aver visto il Figlio di Dio; altri di non averLo né
visto né udito. Se Egli fosse venuto. Egli avrebbe fatto alcune grandi cose
come aveva fatto prima. Noi dubitavamo perché non avevamo visto né Lui ne le
sue Opere. Gli altri Indiani non sapevano, non si preoccupavano. Si
aggrappavano alla Speranza. Come pazzi gridavano implorando pietà da Lui.
Cercavano di ottenere la promessa che essi avevano sentito che Lui aveva fatto
di non uccidere la Terra! Gli uomini bianchi erano spaventati e chiamarono i
soldati. Noi avevamo chiesto la Vita e la sopravvivenza di questa Terra, e gli
uomini bianchi pensarono che volessimo la loro mentre rubavano la nostra.
Venimmo a sapere che i soldati stavano arrivando. Non avevamo paura. Speravamo
di poter spiegare loro i nostri guai e di ricevere aiuto. Un uomo bianco disse
che i soldati intendevano ucciderci. Noi non gli credemmo perché venivano in
nome del Salvatore. Noi non gli credemmo, ma alcuni erano spaventati e
fuggirono via…
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