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Del 22 Aprile... d'una e più Primavere silenziose (12/3)
Prosegue nel mito:
Dell'Eterno ritorno (15)
&...
...Nella cella accanto... (16)
Prosegue ancora con Arte & Natura ovvero:
Un petalo di Rosa [....] & natura che anima!
Rendere aperto il Mondo ai livelli arcaici di
cultura, la religione mantiene l’‘apertura’ verso un Mondo sovrumano, il mondo
dei valori assiologici. Questi sono ‘trascendenti’,
essendo stati rivelati da Esseri divini oppure da Antenati mitici. Essi sono, di conseguenza, valori
assoluti, paradigmi di tutte le attività umane.
Come si è
visto, questi modelli sono mantenuti nei miti, a cui spetta soprattutto
risvegliare e conservare la coscienza di un altro mondo, di un aldilà, mondo
divino, o mondo degli Antenati. Questo ‘altro mondo’ rappresenta un piano sovrumano, ‘trascendente’,
quello delle realtà assolute.
Nell’esperienze
del Sacro, nell’incontro con una realtà sovrumana, nasce l’idea che qualcosa
esiste realmente, che esistono dei valori assoluti, capaci di guidare l’uomo e
di dare un significato all’esistenza umana. Attraverso l’esperienza del Sacro, dunque,
si mettono in luce le idee di realtà, di verità, di significato, che saranno
ulteriormente elaborate e sistematizzate dalle speculazioni metafisiche.
Il valore
apodittico del mito è riconfermato periodicamente dai rituali. Il ricordo e la
riattualizzazione dell’avvenimento primordiale aiutano l’uomo ‘primitivo’ a distinguere
e a conservare il reale. In virtù della ripetizione continua di un gesto
paradigmatico, qualche cosa si rivela come fissa e durevole nel flusso
universale. Con la ripetizione periodica di ciò che è stato fatto in ilio tempore, si impone la certezza che qualche cosa esiste
in modo assoluto. Questo ‘qualchecosa’ è ‘Sacro’, cioè sovrumano e
sovramondano, ma accessibile all’esperienza umana.
La realtà
si svela e si lascia costruire partendo da un livello trascendente, ma da un
trascendente suscettibile di essere vissuto ritualmente e che finisce per fare
parte integrante della vita umana. Questo mondo
trascendente degli Dei, degli Eroi e degli Antenati mitici è accessibile
perché l’uomo arcaico non accetta l’irreversibilità del Tempo. L’abbiamo
constatato spesso: il rituale abolisce il Tempo profano, cronologico, e
ricupera il Tempo sacro del mito.
Si
ridiventa contemporanei delle gesta che gli Dei hanno compiuto in ilio tempore. La rivolta contro l’irreversibilità del Tempo
aiuta l’uomo a costruire la realtà e, d’altra parte, lo libera dal peso del
Tempo morto, gli dà la certezza che è in grado di abolire il passato, di
ricominciare la sua vita e di ricreare il suo Mondo. L’imitazione dei gesti
paradigmatici degli Dei, degli Eroi e degli Antenati mitici non si traduce in
una eterna ripetizione della stessa
cosa, in un’immobilità culturale completa.
L’etnologia
non conosce neppure un popolo che non abbia cambiato nel corso del tempo, che
non abbia avuto una storia. A prima vista, l’uomo delle società arcaiche non fa
che ripetere indefinitamente lo stesso gesto archetipico. In realtà, egli
conquista infaticabilmente il mondo, lo organizza, trasforma il paesaggio
naturale in ambiente culturale. In virtù del modello esemplare rivelato dal
mito cosmogonico, l’uomo diviene, a sua volta, creatore. Mentre sembrerebbero
destinati a paralizzare l’iniziativa umana, presentandosi come modelli
intangibili, i miti in realtà spingono l’uomo a creare, aprono continuamente
nuove prospettive al suo spirito inventivo.
Grandezza e
decadenza dei miti garantiscono all’uomo che ciò che si accinge a fare è già
stato fatto (ed anche se compiuto non esattamente secondo le antiche regole del
Sacro), lo aiuta a scacciare i dubbi che potrebbe concepire sul risultato della
sua iniziativa. Perché esitare davanti a una spedizione marittima (se può
correggere l’errore passato?), dal momento che l’Eroe mitico l’ha già compiuta
in un tempo favoloso (e divenire ancora Eroe)? Non si deve fare altro che
seguire il suo esempio. Allo stesso modo: perché aver paura di stanziarsi in un
territorio sconosciuto e selvaggio, dal momento che si sa ciò che si deve fare
(anche se ciò non sempre vero per chi si astiene dalla sacralità qui
esplicitata e rinnovata nella sua infinita funzione)? Basta, molto
semplicemente, ripetere il rituale cosmogonico, e il territorio sconosciuto (=
il ‘Caos’) si trasforma in Cosmo, diventa un’imago mundi, un’abitazione
ritualmente legittimata.
L’esistenza
di un modello esemplare non ostacola affatto il processo creativo: il modello
mitico può avere applicazioni illimitate. L’uomo delle società in cui il mito è
cosa vivente, vive in un mondo aperto, anche se
cifrato e misterioso. Il Mondo parla all’uomo e, per comprendere questo
linguaggio, basta conoscere i miti e decifrare i simboli.
Attraverso
i miti e i simboli della Luna l’uomo coglie la misteriosa connessione fra
temporalità, nascita, morte e risurrezione, sessualità, fertilità, pioggia,
vegetazione e così via.
Il Mondo non è più una massa opaca di
oggetti arbitrariamente gettati assieme, ma un Cosmo vivente, articolato
e significativo. In ultima analisi, il Mondo si
rivela come linguaggio. Parla all’uomo con il proprio modo d’essere, con le sue
strutture e i suoi ritmi. L’esistenza del Mondo è il risultato di un atto
divino di creazione, le sue strutture e i suoi ritmi sono il prodotto degli
avvenimenti che sono accaduti agli inizi del Tempo.
La Luna ha la sua storia mitica, ma l’hanno anche
il Sole e le Acque, le piante e gli animali.
Ogni
oggetto cosmico ha una ‘storia’. Ciò vuol dire che è capace di ‘parlare’ all’uomo.
E, poiché parla di se stesso, in primo luogo della sua origine, dell’avvenimento
primordiale, in seguito al quale è venuto ad esistenza, l’oggetto diventa reale
e significativo. Non è più uno sconosciuto, un oggetto opaco, insondabile e
sprovvisto di significato, in breve, irreale, ma partecipa dello stesso Mondo
dell’uomo.
Una tale
compartecipazione rende il Mondo non solamente familiare e intelligibile, ma
anche trasparente. Attraverso gli oggetti di questo Mondo si colgono le vestigia
degli Esseri e delle potenze di un altro mondo. Per questa ragione dicevamo più
sopra che per l’uomo arcaico il Mondo è nello stesso tempo aperto e misterioso.
Parlando di se stesso, il Mondo rinvia ai suoi autori e protettori, e racconta
la sua storia. L’uomo non si trova in un mondo incerto e opaco e, d’altra
parte, decifrando il linguaggio del Mondo, è messo a confronto col mistero.
La Natura infatti svela e traveste nello stesso tempo
il soprannaturale, e in ciò consiste, per
l’uomo arcaico, il mistero fondamentale e irriducibile del Mondo. I miti
rivelano tutto ciò che è accaduto, dalla cosmogonia fino alla fondazione delle
istituzioni socio-culturali, ma queste rivelazioni non costituiscono una conoscenza nel senso stretto del termine, non
esauriscono assolutamente il mistero delle realtà cosmiche e umane. E ciò perché l’uomo, apprendendone il mito d’origine, giunge
a padroneggiare diverse realtà cosmiche (il fuoco, i raccolti, i serpenti,
ecc.), ma non a trasformarle in oggetti dì conoscenza; queste realtà continuano
a conservare la loro condizione ontologica originaria.
In un mondo
simile, l’uomo non si sente rinchiuso nel suo modo d’esistenza; anch’egli è
aperto, comunica con il Mondo, perché utilizza lo stesso linguaggio: il
simbolo. Se il Mondo gli parla attraverso i suoi astri, le sue piante e i suoi
animali, i suoi fiumi e i suoi monti, le sue stagioni e le sue notti, l’uomo
gli risponde con i suoi sogni e la sua vita immaginativa, con i suoi Antenati oppure
i suoi totem — ad un tempo Natura, sovra-natura ed esseri umani, — con la sua
capacità di morire e risuscitare ritualmente nelle cerimonie di iniziazione (né
più, né meno della Luna e della vegetazione), con il suo potere di incarnare
uno spirito mettendosi una maschera...
Se il Mondo
è trasparente per l’uomo arcaico, anche questo si sente guardato e compreso dal
Mondo. La selvaggina lo guarda e lo comprende (spesso l’animale si lascia curare
perché sa che l’uomo gli vuole bene), come pure la roccia, o l’albero, o il
fiume. Ciascuno ha la sua storia da raccontargli, un consiglio da dargli. Pur
sapendosi essere umano e accettandosi come tale, l’uomo delle società arcaiche
sa anche di essere qualche cosa di più.
E, per
esempio, sa che il suo Antenato è stato un animale, oppure che può morire e
ritornare alla vita (iniziazione, trance sciamanica), e che può influenzarci.
Nelle culture più complesse, l’uomo sa che i suoi respiri sono Venti, che le
sue ossa sono simili a montagne, che un fuoco brucia nel suo stomaco, che il
suo ombelico può diventare un ‘Centro del Mondo’. Non bisogna immaginare che
questa apertura verso il Mondo si traduca in una concezione bucolica dell’esistenza.
I miti dei primitivi e i rituali che ne dipendono non ci rivelano un’Arcadia
arcaica.
Il mondo
vegetale e animale gli parla della sua origine, cioè, in ultima analisi, il
paleocoltivatore (arcaico) comprende
questo linguaggio e scopre un significato religioso per tutto ciò che lo
circonda e per tutto ciò che fa. Ma questo lo obbliga ad accettare la crudeltà,
l’uccisione come una parte integrante del suo modo d’essere. Certamente, la
crudeltà, la tortura, l’uccisione non sono comportamenti specifici ed esclusivi
dei primitivi. Li si incontra lungo
tutta la Storia, talvolta con un parossismo sconosciuto alle società arcaiche.
La
differenza consiste soprattutto nel fatto che, per i primitivi, questa condotta violenta ha un
valore religioso ed è ricalcata su modelli sovrumani. Questa concezione si è
protratta a lungo nella Storia; gli stermini in massa di un Gengis Khan, per
esempio, trovavano ancora una giustificazione religiosa. Il mito non è, in se
stesso, una garanzia di bontà e di moralità. La sua funzione consiste nel
rivelare dei modelli e nel fornire così un significato al Mondo e all’esistenza
umana.
Anche il
suo ruolo nella costituzione dell’uomo è immenso. In virtù del mito, lo abbiamo
detto, le idee di realtà, di valore, di trascendenza vengono lentamente alla luce.
In virtù del mito, il Mondo si lascia cogliere come Cosmo perfettamente
articolato, intelligibile e significativo. Raccontando come le cose sono state
fatte, i miti svelano per chi e perché sono state fatte e in quale circostanza.
Tutte queste rivelazioni impegnano più o meno direttamente l’uomo, perché
costituiscono una Storia Sacra.
Insomma, i miti ricordano continuamente che fatti
grandiosi sono avvenuti sulla terra e che questo passato glorioso è in parte
recuperabile.
L’imitazione dei gesti paradigmatici ha anche un aspetto positivo: il mito
forza l’uomo a trascendere i suoi limiti, lo obbliga a situarsi accanto agli
Dei e agli Eroi mitici per poter compiere i loro atti. Direttamente o
indirettamente il mito opera un’elevazione dell’uomo.
Si vede
ancor più chiaramente ciò, se si tiene conto che, nelle società arcaiche, là
recitazione delle tradizioni mitologiche resta la prerogativa di pochi
individui. In certe società i recitatori sono presi fra gli sciamani e i
medicine-men, oppure fra i membri delle confraternite segrete. Ad ogni modo,
colui che recita i miti ha dovuto dare prova della sua vocazione e ha dovuto
essere istruito da vecchi maestri.
Il soggetto
si distingue sempre sia per la sua capacità mnemonica, sia per la immaginazione
e il talento letterario. La recitazione non è necessariamente stereotipa.
Talvolta le varianti si allontanano sensibilmente dal prototipo. Senza dubbio,
le inchieste fatte ai nostri giorni dagli etnologi e dai folkloristi non
possono pretendere di svelare il processo della creazione mitologica. Si sono potute
registrare le varianti di un mito oppure di un tema folkloristico, ma non si è
potuto registrare l’invenzione di un nuovo mito. Si tratta sempre di modifiche più
o meno sensibili di un testo preesistente.
Ciò
nonostante, queste ricerche hanno messo in luce il ruolo degli individui
creatori nell’elaborazione e nella trasmissione dei miti. Molto probabilmente
questo ruolo era ancor più importante nel passato, quando la creatività poetica, come si direbbe oggi, era
connessa e dipendente da un’esperienza estatica. Possiamo intuire le fonti d’ispirazione di una tale personalità
creatrice all’interno di una società arcaica: sono crisi, incontri, rivelazioni, in breve,
esperienze religiose privilegiate, accompagnate e arricchite da una miriade di
immagini e di scenari particolarmente vivi e drammatici.
Sono gli specialisti dell’èstasi, coloro che
hanno familiarità con universi fantastici, che nutrono, accrescono ed elaborano
i motivi mitologici tradizionali. In fin dei conti, una creatività sul piano dell’immaginazione
religiosa rinnova la materia mitologica tradizionale.
Appare da
ciò che il ruolo delle personalità creatrici ha dovuto essere più grande di
quello che si suppone. I vari specialisti del Sacro, dagli sciamani fino ai
bardi, hanno finito per imporre nelle rispettive collettività almeno alcune
delle loro visioni e immagini. Certamente, i successi di tali visioni
dipenderanno dagli schemi già esistenti: una visione che contrastasse
radicalmente con le immagini e gli scenari tradizionali rischiava di non essere
facilmente accettata. Ma si riconosce il ruolo dei medicine-men, degli sciamani
e dei vecchi maestri nella vita religiosa delle società arcaiche. Sono tutti
individui differentemente specializzati nelle esperienze estatiche.
I rapporti
tra gli schemi tradizionali e le valorizzazioni individuali innovatrici non
sono rigidi: sotto la spinta di una forte personalità religiosa il canovaccio
tradizionale finisce per modificarsi. In una parola, le esperienze religiose
privilegiate, quando sono comunicate per mezzo di uno scenario fantastico impressionante,
riescono a imporre a tutta la comunità modelli o fonti di ispirazione.
Nelle
società arcaiche, come ovunque altrove, la cultura si costituisce e si rinnova grazie
alle esperienze creatrici di alcuni individui. Ma, poiché la cultura arcaica
gravita attorno ai miti, e poiché questi sono continuamente reinterpretati e
approfonditi dagli specialisti del sacro, la società nel suo insieme è
trascinata verso i valori e i significati scoperti e portati innanzi da questi
pochi individui. In questo senso, il mito aiuta l’uomo a superare i propri
limiti e condizionamenti, lo incita a elevarsi fino ai più grandi.
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