CHI DELLA FOLLA, INVECE,

CHI DELLA FOLLA, INVECE,
UN LIBRO ANCORA DA SCRIVERE: UPTON SINCLAIR

martedì 5 gennaio 2021

LA BELLEZZA DELLE FORME IN NATURA (3)

 










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Circa la bellezza delle forme (2/1)


Prosegue con la...:


Natura delle 'masse' (4/5)








Qual è l’oggetto d’arte?

 

Se la realtà colpisse direttamente i nostri sensi e la nostra coscienza; se potessimo entrare in comunicazione immediata con le cose e tra di noi, credo che l’arte sarebbe inutile, o meglio che saremmo tutti artisti, perché le nostre anime allora vibrerebbero continuamente all’unisono con la natura.

 

I nostri occhi, aiutati dalla nostra memoria, ritagliavano nello spazio e fissavano nel tempo immagini inimitabili. Il nostro sguardo coglieva di sfuggita, scolpiti nel marmo vivo del corpo umano, pezzi di statuaria belli come quelli dell’antichità. Sentiremmo cantare nel profondo delle nostre anime come musica, a volte allegra, più spesso lamentosa, sempre originale, la melodia ininterrotta della nostra vita interiore.




Tutto questo è intorno a noi, tutto questo è in noi, eppure niente di tutto questo è percepito distintamente da noi. Tra noi e la natura - che dico? - tra noi e la nostra coscienza si interpone un velo, un velo spesso per l’uomo comune, un velo sottile, quasi trasparente, per l’artista e il poeta.

 

Quale fato ha tessuto questo velo?

 

È necessario vivere e la vita richiede che comprendiamo le cose relativamente ai nostri bisogni. Vivere consiste nell’agire. Vivere è ricevere dagli oggetti solo l’impressione utile per rispondere ad essa con le opportune reazioni; le altre impressioni devono cancellarsi o venire a noi solo confusamente. Guardo e credo di vedere, ascolto e credo di sentire, studio me stesso e credo di leggere fino in fondo al cuore. Ma ciò che vedo e ciò che sento dal mondo esterno è semplicemente ciò che i miei sensi ne ricavano per illuminare la mia condotta; quello che so di me stesso è ciò che scorre in superficie, ciò che prende parte all’azione. I miei sensi e la mia coscienza mi danno solo una semplificazione pratica della realtà.




Quindi, che sia pittura, scultura, poesia o musica, l’arte non ha altro scopo che dissipare i simboli praticamente utili, le generalità convenzionalmente e socialmente accettate, insomma tutto ciò che per noi maschera la realtà, per portarci faccia a faccia con la realtà stessa.

 

È un malinteso su questo punto che ha dato origine al dibattito tra realismo e idealismo nell’arte. L’arte è certamente solo una visione più diretta della realtà. Ma questa purezza di percezione implica una rottura con le convenzioni utili, un disinteresse innato e specialmente localizzato del senso o della coscienza, insomma una certa immaterialità della vita che è ciò che è sempre stato chiamato idealismo.

 

Quindi si potrebbe dire senza minimamente giocare sul senso delle parole, che il realismo è nell’opera quando l’idealismo è nell’anima….




Ci sono cose che solo l’intelligenza è in grado di cercare ma che, da sola, non troverà mai. Queste cose solo l’istinto può trovare, ma non le cercherà mai.

 

L’intelligenza e l’istinto sono rivolti in direzioni opposte, la prima verso la materia inerte, la seconda verso la vita.

 

L’intelligenza per mezzo della scienza, che è il suo lavoro, ci consegnerà sempre più completamente il segreto delle operazioni fisiche. Gira intorno alla vita, prendendone dall’esterno il maggior numero possibile di visioni, attirandola in se stessa invece di entrarvi. Ma è all’interiorità stessa della vita che l’intuizione conduce - e per intuizione intendo l’istinto che è diventato disinteressato, autocosciente, capace di riflettere sul suo oggetto e di ingrandirlo indefinitamente.




Vediamo che l’intelletto, così abile nel trattare con l’inerte, è goffo nel momento in cui tocca i vivi. Che voglia curare la vita del corpo o la vita della mente, procede con il rigore, la rigidità e la brutalità di uno strumento non concepito per tale uso. La storia dell’igiene o della pedagogia ci insegna molto in questa materia.

 

I nostri ricordi, in un dato momento, formano un insieme solido, una piramide, per così dire, il cui punto è inserito precisamente nella nostra azione presente. Ma dietro i ricordi che interessano le nostre occupazioni e si rivelano per mezzo di essa, ce ne sono altri, migliaia di altri, immagazzinati sotto la scena illuminata dalla coscienza.

 

Sì, credo davvero che tutta la nostra vita passata sia lì, conservata anche nei minimi dettagli, e che non dimentichiamo nulla, e che tutto ciò che abbiamo sentito, percepito, pensato, voluto, dal primo risveglio della nostra coscienza, sopravviva indistruttibile. Ma i ricordi che sono conservati in queste oscure profondità sono lì nello stato di fantasmi invisibili. Aspirano, forse, alla luce, ma non cercano neppure di raggiungerla, sanno che è impossibile e che io, in quanto essere vivente e agente, vi anelo (in uno strato remoto della nostra coscienza genetica… dirà in seguito Jung…).




 Ma supponiamo che, in un dato momento, diventi disinteressato nella situazione presente, nell’azione presente - in breve, in tutto ciò che prima ha fissato e guidato la mia memoria; supponiamo, in altre parole, che io stia dormendo. Allora questi ricordi, percependo che ho tolto loro l’ostacolo, hanno rialzato la botola che li ha tenuti sotto il pavimento della coscienza, sorgono dal profondo; si alzano, si muovono, si esibiscono nella notte dell’incoscienza una grande danza macabra.

 

Corrono insieme alla porta che è stata lasciata socchiusa.

 

Tutti vogliono passare.

 

Ma non possono;

 

Ce ne sono troppi.

 

Tra le moltitudini che sono chiamate, quale sarà scelto? Non è difficile da dire.




Un tempo, quando ero sveglio, i ricordi che si facevano strada erano quelli che potevano implicare pretese di relazione con la situazione attuale, con ciò che vedevo e sentivo intorno a me. Ora sono immagini più vaghe che occupano la mia vista, suoni più indecisi che colpiscono il mio orecchio, tocchi più indistinti che si distribuiscono sulla superficie del mio corpo, ma ci sono anche le sensazioni più numerose che provengono dalle parti più profonde dell’organismo.

 

Dunque, tra i ricordi fantasma che aspirano a riempirsi di colore, di sonorità, insomma di materialità, gli unici che riescono sono quelli che possono assimilarsi al colore-polvere che noi percepiamo, le sensazioni esterne ed interne che catturiamo, ecc., e che inoltre rispondono al tono efficace della nostra sensibilità generale.

 

Quando si effettua questa unione tra la memoria e la sensazione, abbiamo un sogno, ma ci sono anche le sensazioni più numerose che nascono dalle parti più profonde dell’organismo. 

(H. Bergson)




L’uomo era in grado di valutare approssimativamente il tempo molto prima che fosse innalzato uno gnomone, e molto prima del lento fluire della sabbia - o polvere - all’interno di una clessidra, di un cristallo…

 

…Prima, cioè, che avesse inizio la sua vera e propria misurazione.

 

Come gli animali e le piante, anche l’uomo possedeva infatti la naturale capacità di orientarsi nel tempo. Il sorgere e il tramontare delle costellazioni, le quali attraverso i loro numerosi passaggi determinano i cicli di luce e ombra, inverno ed estate, bassa e alta marea, non si limitano a costituire le basi del calcolo del tempo da parte dell’uomo, ma lo inglobano, lo avvolgono come un alveo.

 

Tutti gli altri esseri viventi, e perfino la materia inanimata, si orientano in base all’orologio cosmico.




Non dobbiamo però dimenticare che esso indica il tempo in virtù della rotazione del quadrante. La terra trasforma in misura del tempo ciò che, se noi ce ne staccassimo, altro non sarebbe che spazio e rifrazione inalterabile, luce mortale.

 

Come un grande mulino cosmico essa macina per noi la ricchezza dell’universo. È questo che la rende ai nostri occhi terra natia: ciascuno di noi trova la propria vera legge entro il suo ordinamento. Su questa prossimità riposano segni originari, quasi inconsapevoli, della percezione del tempo: formatisi nella selvatichezza, essi vanno poi sfuocandosi via via fino a perdersi nelle nostre città.




Anche dal semplice punto di vista atmosferico ogni ora ha un suo carattere inconfondibile, una sua particolare lucentezza: coloro che sanno osservare la natura conservano forse ancora il dono di riconoscere le ore senza dover ricorrere agli orologi.

 

In natura ci sono tanti altri segni del tempo, che l’uomo percepisce in quanto si ripresentano periodicamente, che gli diventano familiari, e tali rimangono finché egli, nella sua vita, vi fa riferimento.

 

Questo evocare i cicli della vita contribuisce a creare l’incanto della poesia. Essa riconduce nelle profondità della terra natia, che la semplice dimensione spaziale non è in grado di offrirci. Le immagini si susseguono l’una all’altra come l’attacco dei violini in un’orchestra; attraverso segni imponderabili conducono al cuore dei minuti, delle ore, delle stagioni.




Spesso questi segni sono talmente impercettibili che al lettore, forse allo stesso autore della poesia, resta celata la loro natura temporale. Essi derivano da una coscienza originaria dell’ordine temporale che contraddistingue il poeta. Egli la condivide con l’antichissima condizione del cacciatore e del pescatore, che si accostano alla preda orientandosi con riferimenti non puramente spaziali.

 

La traccia esibisce sempre segnali anche temporali.

 

Pur svolgendosi gran parte della nostra esistenza in uno stato di veglia, è tuttavia nel tempo del sogno, in uno stato di piacere inconscio, che noi partecipiamo alla selvatichezza. Sdraiati nelle dune, sopra di noi vediamo passare le nuvole e agitarsi gli steli d’erba. Dalla spiaggia giunge fino a noi il ritmo cadenzato dei frangenti. E manciate di bianca sabbia continuano a scorrere nei piccoli avvallamenti, quasi fossero sussulti della pelliccia di un grande animale. 

(E. Junger)




Mentre stiamo per addormentarci scorgiamo un barlume di ‘vita’ proiettata dal cielo che lenta ci osserva… uno diverso dall’altro sembrano ridere della nostra breve poesia, della nostra vita rinchiusa e costretta. Tutto nel Nulla precipitato nella graduale gravità della crosta, non meno della grande ricchezza riflessa nella bellezza, può questa Arte della Natura. 




 …Nulla di accettabile a tale cornice l’umano ingegno sa ancora dipingere ed apostrofare pari alla sua bellezza; procedere seguendo cotal Sentiero è utile per il retto conseguimento affine all’ideale dell’uomo; questo l’umile monito oltre i calcolati diagrammi circa il generale malessere del nostro pianeta posti in ugual condizione del Tempo; non percependo, però, che la polvere entro ugual medesima clessidra disquisita diviene sincronismo sì perfetto o meccanico ingranaggio di medesimo intento contrastato; solo ripensando all’uomo che èra e non più ‘polvere’ entro un prezioso cristallo della nostra sfera, potrà misurare e non più calcolare il Tempo precipitato dal Nulla di ciò che impercettibilmente transitato; come lo stretto passaggio che da un ampolla conduce all’altra dimensione da cui forse proveniamo; rovesciando la clessidra in cotal simmetrica pretesa, potremo ottenere il principio della Vita difesa in Ecologica scientifica geometrica e perfetta ascesa…; e ristabilirne con l’umile volontà ciò che di antico sedimentato dal nucleo sino alla crosta, e proseguendo ancora, dalla Spirale all’angolo della curvatura che l’ha pur generata…, ed ancora fino al superamento della stessa sino al Nulla ammirato… 

(Giuliano)   








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