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Ritmo irregolare Passo sciolto
Prosegue in:
Bang-Bang &
...E chi si aggrappa al sogno...
Ora
stiamo per assistere ad un mutamento di scena… lasciamo che Francesco passi e
che gli svizzeri prendano decisioni adeguate…
…E
lasciamo me stesso, riverso sul tavolino in quel dì di Cornovaglia…, ma non è
possibile: devo pure accompagnarvi sino alla fine del romanzo…
Se il
lettore non ha potuto ancora farsi un’idea chiara di quel pezzo di terreno
situato in fondo all’orto di zio Tobia, la colpa non è mia, ma della sua scarsa
immaginazione; sono certo, infatti, di non aver lesinato i particolari nella
descrizione, anzi sovente mi vergogno della mia pedanteria.
Quando il
fato, un pomeriggio, ispezionando i grandi avvenimenti degli anni venturi, si
ricordò a quale scopo quel piccolo lotto di terreno era destinato, fece un
cenno alla NATURA… fu sufficiente… e la NATURA vi gettò sopra una mezza vanga
dei suoi più pregiati composti, con quel tanto di argilla sufficiente a
irrobustire gli angoli e le pareti dentellate, senza neppure quel pizzico in
più che avrebbe potuto danneggiare gli attrezzi e rendere quegli splendidi
lavori di fortificazioni un’orrenda fanghiglia, col tempo cattivo.
Zio
Tobia, come il lettore ha potuto apprendere, portò con sé le piante di quasi
tutte le città fortificate d’Italia e delle Fiandre. Non appena il duca di
Maribourough e gli alleati attaccavano una città, zio Tobia immediatamente ne
allestiva un plastico in giardino. Il suo metodo, il più semplice del mondo,
consisteva nel prendere visione della pianta della città non appena questa
veniva circondata d’assedio (e se era possibile, anche prima, quando se ne
ventilava soltanto il progetto) e quindi riportarla, con misure
proporzionalmente più limitate, sulla verde spianata delle bocce, sulla cui
superficie, con l’aiuto di un grosso gomitolo di spago, di varie asticciole
piantate nel terreno, di parecchi angoli e contrafforti, riusciva a trasferire
le linee dalla carta e, dopo aver tratteggiato i contorni delle fortificazioni,
determinato la profondità e la pendenza dei fossati, gli spalti della trincea e
l’altezza precisa dei vari parapetti, metteva il caporale all’opera e tutto
procedeva regolarmente…
La NATURA
del suolo, il genere stesso di lavoro e soprattutto zio Tobia, col suo
carattere affabile, che se ne stava seduto dalla mattina alla sera a
chiacchierare amichevolmente col caporale sugli ultimi avvenimenti, rendevano
la FATICA tale solo di nome.
Quando la
fortezza era pronta, con tutti gli accorgimenti di difesa adatti, veniva
assediata!
Zio Tobia
e il caporale tracciavano la prima parallela.
Adesso vi
prego di non interrompermi con l’obiezione che la prima parallela deve essere
sempre distante trecento tese dal corpo principale della piazzaforte e che io
non ho lasciato nemmeno un centimetro di spazio: perché zio Tobia si era preso
la libertà di invadere anche l’orto per poter ampliare le fortificazioni della
verde spianata, ragion per cui tracciava la prima e la seconda parallela tra
due file di verze e di cavolfiori.
Esamineremo
ampiamente i vantaggi e gli svantaggi relativi, nel racconto delle campagne di
zio Tobia e del caporale, di cui sto tracciando ora solo un abbozzo, che
occuperà poche paginette…
Le
campagne stesse occuperebbero col loro racconto parecchi libri, capisco perciò
che verrebbe appesantito troppo questo romanzo leggero e frivolo, volendole
inserire così sconsideratamente. Certo meriterebbero di essere stampate a
parte. Studieremo anche questo problema: per ora gustatevi il seguente abbozzo…
Quando la
città con le sue fortificazioni fu terminata, zio Tobia e il caporale
cominciarono a tracciare la loro prima parallela, non a casaccio (come molti
potrebbero immaginare…), ma osservando le stesse distanze e misure usate dagli
alleati e, regolando gli assalti in base alle
notizie raccolte dal giornali (o da altre fonti… per ora anonime…), essi
avanzavano di pari passo con gli alleati durante tutto l’assedio…
Quando il
duca di Mariborough occupava una posizione strategica, mio zio Tobia faceva
altrettanto.
Quando la
facciata di un bastione veniva abbattuta o una fortificazione distrutta, il
caporale prendeva il piccone e lo imitava.
E così
proseguivano guadagnando (sì guadagnando…) terreno e impadronendosi di una
roccaforte dopo l’altra, finché tutta la città cadeva nelle loro mani. Per uno
che goda della felicità altrui non poteva esistere niente di più bello che
starsene dietro la siepe di carpine la mattina in cui la posta recò la notizia
che era stata praticata una breccia dal duca di Mariborough nel corpo
principale della roccaforte, e contemplare la gioia con cui zio Tobia, seguito
dal fedele Trim, partì anch’egli all’attacco.
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