Prosegue con il
Secondo bicchierino
e/o la birretta
Nel 1914,
lo zar Nicola II dichiarò fuorilegge la vendita di vodka in tutta la Russia.
Nel 1918, lo zar Nicola II e il resto della sua famiglia vennero giustiziati in
una cantina di Ekaterinburg. Questi due fatti non sono privi di un collegamento.
Non è impossibile ricostruire il ragionamento di Nicola.
La disputa
si basava su due argomentazioni.
Da una
parte, la Prima guerra mondiale stava per cominciare e i soldati russi, negli
ultimi tempi, avevano perso guerre con una certa regolarità, prevalentemente
perché erano ubriachi come tegole. Dall’altro lato, un quarto dei proventi
complessivi dello stato proveniva dalle tasse sugli alcolici e, in generale,
troncare all’improvviso la principale fonte di guadagno mentre stai per entrare
in guerra non è mai una buona idea.
Gli storici se la sono spassata alla grandissima nel dibattere fino a che punto la vodka potesse aver causato la Rivoluzione russa.
La perdita
delle tasse aveva distrutto lo stato?
O la messa
al bando aveva esacerbato le tensioni sociali?
Le leggi
russe, al tempo come ora, venivano applicate davvero solo ai popolani che congelavano
nelle loro casupole. Questi ultimi non erano molto contenti di sapere che i
ricchi nelle loro dacie continuavano a buttar giù i ‘goccetti d’acqua’ che
tanto amavano. La vodka si poteva ancora ordinare nei ristoranti molto costosi;
ma i poveri non potevano permettersela, tutto lì.
Un’altra teoria ipotizza che quelli tra il 1914 e 1917 furono gli unici tre anni nella storia russa in cui la popolazione fu sufficientemente sobria da rendersi conto con esattezza di quel che il governo le stava facendo. Quando stai trattando così la tua gente, dovresti lubrificarla un po’.
Questa era
anche, incidentalmente, l’opinione di Lenin.
Pensava che
la religione fosse l’oppio dei popoli e che l’alcol fosse l’alcol delle masse,
ecco perché personalmente non beveva molto e mantenne il divieto sulla vodka,
che venne revocato da Stalin soltanto nel 1925. Se vivete in Russia ai giorni
nostri c’è il 23,4 per cento di possibilità che la vostra morte sia legata
all’alcol.
Per gli zar
il rischio era molto più alto.
Al capo più remoto della storia russa, nel 978 d.C., Vladimiro il Grande – che governava il regno neonato – convocò gli emissari delle più grandi religioni in modo da poterne scegliere una per i suoi sudditi. Scartò gli ebrei quando scoprì che non avevano una terra natia. I musulmani suscitarono il suo interesse perché descrivevano i piaceri carnali del paradiso (Vladimiro ‘adorava le donne e gli eccessi’). Ma quando gli spiegarono che la loro religione proibiva il consumo di alcolici reagì come uno zar assennato.
‘Bere’
..Disse
‘è la gioia dei russi, non possiamo esistere
senza questo piacere’.
E
fu così che la Russia divenne cristiana.
Questa
storia è molto più credibile di quanto potrebbe sembrare. Invitare ambasciatori
religiosi per poi scegliere un credo per il proprio popolo era, in realtà, una
pratica ragionevolmente diffusa al tempo. Questa testimonianza fu riportata
appena un centinaio di anni dopo nella Cronaca degli anni passati, la fonte più
autorevole sulla storia russa più remota.
Al capo più prossimo della storia russa, invece, Michail Gorbačëv lanciò una campagna in favore della sobrietà; era il 1985. La Perestroika stava prendendo l’abbrivio, lui fece una passeggiata tra la gente – trasmessa in televisione – e parlò, effettivamente, con veri rappresentanti della popolazione. Uno di loro si lamentò per il prezzo eccessivo dei beni di prima necessità, come la birra. Gorbačëv replicò che l’alcol non era una necessità vitale.
Sei anni
dopo il comunismo russo arrivò alla sua conclusione.
Ai russi piace bere e amano anche far bere gli altri.
È una
tendenza che ha origini molto antiche. Spostiamoci nel 1550, con un’annotazione
dell’ambasciatore in Russia del Sacro romano impero:
‘I
moscoviti sono veri maestri nell’arte di conversare con gli altri,
convincendoli a bere. E se tutto il resto fallisce, c’è sempre qualcuno che si
alza per proporre un brindisi al Granduca, al che i presenti non possono
astenersi dal bere e svuotare il calice […]. L’uomo che propone il brindisi, in
piedi al centro della stanza a capo scoperto, dichiara i suoi auspici per il
Granduca o per un altro signore – felicità, vittoria, salute – e si augura che
nelle vene dei suoi nemici possa rimanere tanto sangue quant’è la bevanda
contenuta nella sua coppa. Dopo averla svuotata, la capovolge e se l’appoggia
sulla testa, augurando al signore buona salute’.
Quest’usanza
conferisce ai russi l’insolita capacità di imporre l’ubriachezza.
Più o meno ovunque, in questo libro, sbronzarsi veniva ritenuto facoltativo o era proibito, biasimato o limitato a specifici momenti o luoghi che potevano essere evitati. È vero che in parecchie culture ci sono brindisi a cui tutti devono unirsi, ma tendono a coinvolgere uno o due bicchieri all’inizio della serata (o alla fine della messa). Una volta che ci si trovava in un simposio o in un saloon, bisognava bere, ma nessuno era obbligato ad andare. È anche vero, ovviamente, che è sempre esistita una pressione sociale legata al bere, e non mi piacerebbe affatto essere l’unico vichingo che ordina un’aranciata, ma in Russia l’imposizione di un pesante consumo alcolico fa parte degli affari, della diplomazia e della politica.
Nelle
discussioni riguardanti la Russia il nome di Stalin salta sempre fuori, il che
è buffo visto che non era russo e Stalin non era il suo nome. Che Stalin governasse
con il terrore è cosa assai risaputa, e il terrore – ovviamente – si era fatto
strada fino alla cima, ai vertici del governo. Ma ancora più su, più in cima, ai
livelli di Berija – il capo della polizia segreta – e di Chruščëv, Stalin governava
con il terrore e l’ubriachezza.
Il metodo era semplice. Stalin chiamava il suo Politburo e invitava tutti per cena.
Non avevano
la possibilità di rifiutare, a dire il vero. A cena Stalin li faceva bere, bere
e bere; e anche qui, non erano autorizzati a declinare. Chruščëv ricorda che: Il
telefono squillava quasi ogni sera: ‘Vieni, ceniamo insieme’. Erano cene
tremende. Arrivavamo a casa verso l’alba, e dovevamo comunque andare al lavoro
[…]. Le cose andavano a finire male per chi si addormentava al tavolo di
Stalin. Stalin stava semplicemente facendo al suo gabinetto quello che il resto
dei sovietici faceva allegramente a chiunque.
Il
patto Molotov-Ribbentrop del 1939 fu celebrato con una cena in cui ci furono
ventidue brindisi prima che arrivasse qualcosa da mangiare.
Ma le cene
private di Stalin avevano anche una sfumatura da incubo in più. Stalin rideva
fino alle lacrime mentre Berija faceva l’imitazione delle grida agonizzanti di
Zinov’ev, che Stalin aveva condannato a morte. Il dittatore batteva la sua pipa
a ritmo sul cranio pelato di Chruščëv, ordinandogli poi di esibirsi in una
danza cosacca. Il commissario del popolo alla Difesa veniva sempre spinto in
uno stagno.
Di suo,
Stalin non beveva granché.
O comunque molto meno dei suoi ospiti, e si diceva che la vodka che buttava giù fosse in realtà acqua. Anche Berija fece un tentativo con questo trucchetto, ma venne scoperto. Alla fine la prese con filosofia e dichiarò: ‘Dobbiamo sbronzarci, prima ci riusciamo, meglio è. La festa finirà appena saremo ubriachi. Qualunque cosa accada, non ci lascerà andar via sobri’. L’obiettivo di tutto questo era umiliare il Politburo, seminare zizzania e sciogliere le lingue.
Era
comunque molto difficile complottare contro Stalin, ma era ancora più
complicato quando eri obbligato a sbronzarti pesantemente davanti a lui tutte
le sere. Nulla di nuovo. Un terribile dittatore russo che ti caccia della vodka
in gola con la forza fa parte di una tradizione lunghissima e talvolta
spassosa. La differenza principale tra Stalin e Pietro il Grande (1672-1725) è
che Pietro di certo beveva quanto chi costringeva a bere. Le storie sul consumo
alcolico di Pietro sono diverse, ed è abbastanza difficile credervi. Una
cronaca afferma che bevesse una pinta di vodka e una bottiglia di sherry a
colazione, seguite da altre otto bottiglie prima di uscire ad affrontare la giornata.
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