Prosegue con...:
e un più che sincero ricordo
del 'Libero Arbitrio':
Io credo nella pratica e nella filosofia di ciò che abbiamo convenuto
di chiamare magia, in ciò che devo chiamare l’evocazione degli spiriti, per
quanto ignaro di che cosa siano, nella facoltà di creare illusioni magiche,
nelle visioni di verità presenti negli abissi della mente quando stiamo a occhi
chiusi; e credo in tre precetti che trasmessi, come io ritengo, dai primordi
sono alla base di quasi tutte le pratiche magiche. Questi precetti sono:
1. I confini della nostra mente si spostano di continuo e molte menti
possono confluire l’una nell’altra, per così dire, e creare o rivelare un’unica
mente, un’unica energia.
2. I confini della nostra memoria si spostano anch’essi e la nostra
memoria fa parte di una sola grande memoria, la memoria della Natura stessa.
3. Questa grande mente e questa grande memoria si possono evocare
mediante simboli.
Penso spesso che, ad averne il modo, respingerei questa credenza nella magia, perché ho finito per vedere o immaginare negli uomini e nelle donne, nelle case, nei prodotti dell’artigianato, in quasi ogni immagine e suono, un che d’iniquo, un che di brutto, dovuto al lento estinguersi nei secoli di una qualità della mente che aveva divulgato questa credenza e le sue testimonianze in tutto il mondo.
Non possiamo dubitare che le popolazioni barbare accolgano tali
influenze in modo più palese e scontato, e con tutta probabilità in modo più
facile e più pieno di noi, perché la nostra vita di città, che assorda o uccide
la vita passiva e meditabonda, e la nostra cultura che sviluppa la mente
separata e semovente, hanno reso la nostra anima meno sensibile.
La nostra anima, un tempo esposta nuda ai venti celesti, è ora pesantemente rivestita e ha imparato a costruire una casa e ad accendere un fuoco nel camino e a sbarrare porte e finestre. Certo, i venti possono farci avvicinare al fuoco o possono perfino sollevare il tappeto e fischiare sotto la porta, ma potevano far di peggio tanto tempo fa là fuori nella piana.
Un certo erudito, citato da Andrew Lang nel suo ‘The Making of
Religion’, sostiene che i ricordi dell’uomo primitivo e i suoi pensieri su
luoghi distanti avessero l’intensità dell’allucinazione, perché non aveva nulla
nella mente a sviare l’attenzione – una spiegazione che non mi sembra
esauriente –, e a riprova che i selvaggi vivono sempre sull’orlo della visione
Lang passa a citare taluni viaggiatori.
Un lappone che voleva diventare cristiano e riteneva le visioni solo roba da pagani, confessò a un viaggiatore al quale aveva dato un minuzioso resoconto di molti avvenimenti lontani, letti senz’altro nella mente di quel viaggiatore, ‘che non sapeva come avvalersi degli occhi, dato che vedevano come presenti cose assolutamente lontane’.
Io stesso ho scovato in una sola zona di Galway solo un tizio che non
avesse visto quelli che posso soltanto definire spiriti, ed era rimbambito.
‘Non c’è nessuno che
falci un prato che una volta o l’altra non li veda’
…disse un tale di una zona diversa.
Se io posso involontariamente fare una malia, un incantesimo a persone della nostra epoca vissute per anni nelle grandi città, non c’è ragione di dubitare che si potesse fare intenzionalmente un ben più forte incantesimo, una ben più forte malia alle persone più sensibili dei tempi antichi, o che si possa ancora fare dove l’antico ordinamento della vita è rimasto inalterato.
Perché lo studente zingaro non avrebbe dovuto affatturare gli amici?
Perché san Patrizio, o colui del quale per primo si raccontò la
storia, non avrebbe dovuto passare davanti ai nemici, lui e tutti i suoi
chierici, come una mandria di cervi?
Perché nella Morte d’Arthur incantatori come lui non avrebbero dovuto
far sembrare i branchi di cavalli soltanto pietre grigie?
Perché i militi romani, pur venendo da una civiltà che ormai non era quasi più sensibile a queste cose, non avrebbero dovuto tremare per un attimo davanti agli incantesimi dei druidi di Mona?
Perché il padre gesuita o il conte di Saint-Germain o chiunque del
quale per primo si raccontò la storia non avrebbe dovuto lasciare all’apparenza
la città su un tiro a quattro da tutte e Dodici le Porte contemporaneamente?
Perché Mosè e i maghi del faraone, come gli stregoni di molti popoli
primitivi con i loro vecchi pezzi di corda, non avrebbero dovuto far sembrare i
loro bastoni serpenti divoratori?
Perché quel mago medioevale non avrebbe dovuto far sembrare che
l’estate esplodesse in pieno inverno con tutti i suoi fiori?
Non sarà il caso un giorno d’imparare a riscrivere le nostre storie quando trattano di queste cose?
Chi oggi è uno scrittore avrà magari preferito in passato influenzare
l’immaginazione degli altri in modo più diretto, anziché imparare il mestiere
con carta e penna si sarà forse seduto per ore a immaginar se stesso ceppo,
pietra e animale del bosco, fino a rendere le immagini così vivide che i
passanti si limitavano a far parte dell’immaginazione del sognatore e
piangevano, ridevano o correvano a suo piacimento.
La poesia e la musica non sono forse sorte, così pare, dai suoni
provocati dagli incantatori per aiutare l’immaginazione ad incantare, affascinare,
legare con un sortilegio se stessi e i passanti?
Proprio queste parole, una parte importante di ogni elogio della musica e della poesia, ci gridano tuttora la loro origine.
E come il musicista o il poeta incanta, ammalia e lega con un
sortilegio la sua stessa mente quando vuole incantare la mente altrui, così
l’incantatore creava o rivelava per sé oltre che per gli altri l’artista
soprannaturale o il genio, la mente all’apparenza transitoria ricavata da molte
menti, il cui operato vidi, o credetti di vedere, in quella casa di periferia.
E a quanto pare vegliava anche sulla porta di quelle menti
meno transitorie, il genio della famiglia, il genio della tribù, o magari,
quando aveva l’anima abbastanza potente, il genio del mondo.
La nostra storia parla di opinioni e scoperte, ma nell’antichità quando, come ritengo, gli uomini non staccavano mai gli occhi da quelle porte, la storia parlava di comandamenti e di rivelazioni. Essi guardavano al Sinai e ai suoi tuoni come noi guardiamo al parlamento e ai laboratori, con la stessa attenzione e pazienza. Noi non facciamo che lodare uomini nei quali la vita individuale è giunta a perfezione, mentre essi non facevano che lodare la mente unica, fondamento per loro di ogni perfezione.
Durante il
suo fondersi e separarsi l’uomo vola qua e là, per così dire, da un gregge di
morti ad un altro, sempre cercando i suoi simili, perché quando getta il suo
travestimento diventa incapace di sopportare quel che non ha rapporto con il
suo amore, sino al punto di impazzire fra le cose che sono troppo belle per
lui…
Una volta vidi una giovane irlandese, appena uscita dall’educandato, in preda a una profonda trance, grazie però a una tecnica ignota a qualsiasi ipnotizzatore. In stato di veglia riteneva che la mela di Eva fosse di quelle mele che si comprano dal fruttivendolo, in stato di trance invece vedeva l’Albero della Vita con le anime tutte sospirose che si muovevano nei rami al posto della linfa e, tra il fogliame, tutti i pennuti e sul ramoscello più alto un solo uccello bianco con tanto di corona.
Tornato a
casa presi dallo scaffale una traduzione di ‘The Book of Concealed Mystery’, un
antico libro ebraico, e tagliate le pagine intonse incontrai questo passo che
non credo proprio d’aver mai letto:
‘L’Albero ...è l’Albero della Conoscenza del Bene
e del Male ...sui suoi rami dimorano gli uccelli e costruiscono il nido, le
anime e gli angeli risiedono’.
Una volta vidi un giovane membro della Chiesa d’Irlanda, un bancario dell’Irlanda occidentale, piombare in una simile trance. Non dubito che anche secondo lui la mela di Eva altro non era che una mela del fruttivendolo, eppure vedeva l’albero e sentiva le anime sospirare attraverso i rami, e vedeva mele dal volto umano e, l’orecchio accostato a una mela, udiva all’interno un rumore come di milizie in lotta.
Dopo di che
si allontanò dall’albero e pervenne ai margini dell’Eden, e lì si ritrovò non
vicino a quel deserto studiato al catechismo, bensì in cima a una grande
montagna, una montagna ‘alta tremila metri’. La cima, in antitesi con tutto ciò
che sarebbe parso verosimile alla sua mente da sveglio, era un grande giardino
cinto da mura. Anni dopo trovai un diagramma medioevale raffigurante l’Eden
come un giardino cinto da mura su un’alta montagna.
Da dove
venivano questi simboli complessi?
Né io né quel paio di persone presenti, né i veggenti, avevamo mai visto, ne sono convinto, la descrizione di ‘The Book of Concealed Mystery’ o il diagramma medioevale. Tenete presente che le immagini apparvero in un attimo, perfette in tutta la loro complessità.
Pur se è
dato ipotizzare che i veggenti o che io stesso o un altro avessimo in effetti
letto di queste immagini per poi dimenticarcene, o che la conoscenza
soprannaturale dell’artista di quanto era sepolto nel nostro ricordo spiegasse
tali visioni, altre innumerevoli visioni restano da spiegare.
Non si può
continuare a credere all’infinito in una conoscenza inverosimile. Nel mio
diario trovo per esempio che in data 27
dicembre 1897 un veggente, al quale avevo dato un antico simbolo irlandese,
vide Brigid, la dea, ostendere ‘un serpente lucido e guizzante’, eppure ho la
certezza che né io né lui sapevamo alcunché del rapporto di lei col serpente
fino alla pubblicazione, pochi mesi fa, dei Carmina Gaedelica.
I veggenti,
quando parlano soltanto a partire dalla tradizione, mettono tutto assieme e
parleranno di Finn mac Cumhal che si reca alle Assise di Cork. Quasi chiunque
si sia mai occupato di certe cose ha incontrato, in trance o in sogno, qualche
nuovo e strano simbolo o episodio, che poi ritroverà in un’opera che non aveva
mai letto né mai inteso menzionare.
Esempi come questo sono a tutt’oggi troppo poco classificati, troppo poco analizzati per convincere il profano, ma per chi ne ha fatto esperienza bastano a provare….
….che c’è una memoria della Natura in grado di rivelare episodi
e simboli di secoli remoti.
I mistici
di svariati paesi e in svariati secoli hanno parlato di questa memoria; e gli
uomini onesti decisi a mantenere le tradizioni magiche, che un giorno saranno
studiate come elementi del folklore, basano su questa memoria la maggior parte
delle loro affermazioni di un certo peso. Ne ho letto nel Paracelsus di Browning
e in un libro indiano che descrive la gente di un tempo come tuttora viva
all’interno di tale memoria, ‘pensando i pensieri e compiendo le azioni’. E
l’ho trovata nei ‘Libri profetici’ di William Blake, che chiama le immagini da
questa prodotte ‘le sculture luminose della Sala di Los’; e sostiene che tutti
gli avvenimenti, ‘tutte le storie d’amore’, traggono rinnovamento da quelle
immagini.
Forse è
bene che vi credano in così pochi perché, se lo facessero in molti, molti
lascerebbero parlamenti, università e biblioteche e accorrerebbero nel deserto
per logorare il corpo e mettere a tacere l’anima inquieta, a un punto tale che,
ancora in vita, varcherebbero le porte che i morti varcano ogni giorno; perché
chi tra i saggi si prenderebbe la briga di far le leggi o di scrivere la storia
o di soppesar la terra se le cose dell’eternità sembrassero a portata di mano?
(W. B. Yeats)
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