Da precedenti capitoli
Prosegue... ancora...
Chi Sono
Or dunque io?
Prosegue con il Labirinto
Metafisico [6]
MAFIA & POTERE, ovvero, delatori e inquisitori nel vasto terreno dell’omertà raccolta
Dagli
appunti d’un Eretico
Viaggio perseguitato, ovvero, come si consolida e rinnova il PATTO,
l’antico patto del potere nel degrado che differenzia celebrandolo il delatore e il suo Teatro artificialmente innestato
al palcoscenico di cui vittima il perseguitato; ricaviamo
un Mondo Perduto e altrettanto perseguitato.
Mai sia
detto uno Stato degenerato che del delatore si serve e consolida nel proprio ed
altrui degrado!
Che
differenza corre e cammina, giacché
la corsa figlia d’una diversa
dottrina affine al popolo che correndo (esposto
all’inciampo dato dalla più nota summa dell’ignoranza con cui la nota Compagnia
si allena nell’Olimpica contesa…), adempie al proprio dovere assente ad
ogni verità storica; e quest’ultima
(verità) che invece camminando,
procede apparentemente inconsapevole, immemore e priva di Memoria, nell’impropria
calunnia di cui Secolar vittima?
Che differenza corre inciampa e cammina, procedendo verso l’‘onestà’ di una intera società, la quale smemorata del proprio Denaro al porto di Messina, e per ogni porto ove fonda tal mirabile ‘dottrina’, smemorata e ravvivata da Col-Legno, sino alla più elevata nonché cementificata riparata Cima, ove alta sventola la bandiera non men dell’elmo, nella differenza da cui l’omertà l’accumuna al ‘pil’ d’ugual medesimo Denaro… così conquistato?
Solo un
campo, un orto (come Denaro confessa!)?
Troppo poco
per accusarne uno e assolvere un intero popolo per ogni forma di Diritto o
principio violato abdicato al delatore nel merito di cui lo Stato fonda la
propria (smemorata) dottrina.
E quando ed ancora (cotal sgradita Compagnia
asservita),
ne diventa consapevolmente o non, un buon delatore della vilipesa Memoria,
protesa a confonderne - o peggio - distorcerne il Fine con la quale la Verità
derisa in medesimo Teatro, di cui l’intero popolo assolto nel merito giammai
difetto, da cui la cultura consumata al ‘pil dell’ascolto o ridotta all’indice
del dovuto gradimento.
Indice, abbiamo detto, in difetto anch’esso del giusto merito, dacché annoverato nel prodigio Lulliano evoluto nell’Immagine che assolve e dispensa il breve rito della Memoria sempre puntualmente edificata, riducendo la stessa mal-capitata ad una singola e più breve, dicono e/o ciarlano, ‘figura’, da cui, tanto il delatore non meno del referente, godono di maggior profitto e indubbio successo, intervallata da frammentati atti pubblicitari in merito al conteso Denaro, con cui asservire una più ampia e segreta fortuna destinata all’intera cortigianeria da palcoscenico.
L’analisi
storica ridotta ad una breve sequenza scenica deve essere certa e approfondita,
giacché il popolo scandalizzato rimanga entusiasta del traguardo raggiunto
nonostante le repliche su medesimo indicizzato tema in riferimento al comune
Denaro.
Da ognuno
risparmiato!
Così è bene porre giusto distinguo fra ciò che ‘corre’ (in merito allo stesso circa il giusto dovere…), e chi invece, ‘cammina’ fra l’omertà in difetto di Memoria, e il delatore con ottima acuta prospettiva, d’esser annoverato fedele servitore di uno Stato ben asservito, il quale Stato intero, in muta protratta associazione dissolve ed assolve il noto ‘delinquere’…. a furor di popolo, e con più ampio Indice di gradimento!
Che Ponzio
ne prenda Nota!
Il suo
‘atto’ è per noi una Storia sgradita!
(Giuliano)
LE CALUNNIE O LE DENUNCIE (e da cui i buoni delatori dispensati nel prezioso servizio offerto e non solo allo stato…)
Sin dalla
nascita dell’Inquisizione
(estesa e seminata, e in più ampia immagine sociale
nonché culturale dedotta e successivamente raccolta, per il bene d’ognuno e non
solo da Messina a Denaro [nota e più ricca città nordica del sud Italia]; data
e conferita dalla stratificazione culturale di cui principio posto alla società
nell’omertà di cui rileviamo il ricavato dell’ampio margine di profitto, quando
così correttamente e doverosamente applicata, con tutte le varianti in merito,
a danno del povero smemorato innocente e più nobile eretico…),
…delegata
papale del medioevo, la procedura prevalente per ottenere le denunce fu quella
di promuoverle durante il cosiddetto ‘tempo di grazia’, che prevedeva che il
frate inquisitore, letto l’editto di fede che enumerava le eresie oggetto di
repressione, leggesse anche un editto di grazia che obbligava tutti i fedeli a
denunciare chi conoscessero come eretico, sotto pena della scomunica ipso facto…
Ma va sottolineato che quest’ultima cela quasi sempre la denuncia anonima o tenuta segreta (anche se firmata).
La denuncia era dunque un obbligo, ma il processo d’iniziativa vicinale-locale restava ‘aperto’ poiché garantiva all’accusato l’informazione sui propri accusatori, e al tempo stesso evitava a questi ultimi la taccia di delatori. Il ruolo dei parroci (non meno dei laici come leggeremo) nella denuncia d’ufficio è diversa e assai rilevante: essi potevano denunciare all’inquisitore i ‘peccatori pubblici’ della loro parrocchia qualora si fossero dimostrati ostinati (ossia se pur ammoniti, anche con precetto penale, non si fossero ravveduti)...
CHI SONO?
...E infine si
aggiravano in quella folla le spie della prefettura di polizia, che in quel
luogo reclutavano i loro mouchards o confidenti, oppure coglievano al volo
informazioni preziosissime su ribalderie che si stavano complottando e di cui
qualcuno parlava a qualcun altro sussurrando a voce troppo alta, pensando che
nel rumore generale la sua voce andasse perduta.
Ma erano
riconoscibili di primo acchito per l’aspetto esageratamente patibolare.
Nessun vero
furfante assomiglia a un furfante.
Solo loro.
Ora per la piazza passano persino i tramway, e non ci si sente più a casa propria, anche se, a saperli individuare, gli individui che ti possono servire si trovano ancora, appoggiati a un angolo, sulla soglia del Café Maître-Albert, o in una delle stradette adiacenti.
Ma insomma,
Parigi non è più come una volta, da quando a ogni angolo spunta in lontananza
quel temperamatite della Tour Eiffel. Basta, non sono un sentimentale, e ci
sono altri luoghi dove posso sempre pescare quel che mi serve.
Ieri
mattina mi servivano della carne e del formaggio, e place Maubert andava ancora
bene.
Acquistato il formaggio, sono passato davanti al macellaio consueto e ho visto che era aperto.
‘Come mai aperto di martedì?’
…ho
domandato entrando.
‘Ma oggi è mercoledì, capitano’,
…mi ha
risposto quello ridendo.
Confuso mi sono scusato, ho detto che invecchiando si perde la memoria, lui ha detto che ero sempre un giovanotto e capita a tutti di aver la testa in aria quando ci si sveglia troppo presto, io ho scelto la carne, e ho pagato senza nemmeno accennare a uno sconto – che è l’unico modo di farsi rispettare dai mercanti.
Domandandomi
che giorno allora fosse, sono risalito in casa. Ho pensato di togliermi baffi e
barba, come faccio quando sono solo, e sono entrato in camera da letto. E solo
allora mi ha colpito qualcosa che sembrava fuori posto: da un attaccapanni
accanto al cassettone pendeva una veste, una tonaca indubbiamente pretesca.
Avvicinandomi ho visto che sul ripiano del cassettone vi era una parrucca di colore castano, quasi biondastro. Stavo chiedendomi a quale guitto avessi dato ospitalità nei giorni precedenti quando ho realizzato che anch’io ero mascherato, poiché i baffi e la barba che portavo non erano miei.
Ero dunque
qualcuno che si travestiva una volta da agiato gentiluomo e l’altra da
ecclesiastico?
Ma come mai
avevo cancellato ogni ricordo di questa mia seconda natura?
Oppure per
qualche ragione (forse per sfuggire a un mandato di cattura) mi travestivo con
baffi e barba ma al tempo stesso davo ospitalità in casa mia a qualcuno che si
travestiva da abate?
E se questo finto abate (perché un abate vero non si sarebbe messo una parrucca) viveva con me, dove dormiva, visto che in casa c’era un solo letto?
Oppure non
viveva da me, e da me si era rifugiato il giorno prima, per qualche ragione,
liberandosi poi del suo travestimento per andare Dio sa dove a fare Dio sa
cosa?
Avvertivo
un vuoto nella testa, come se vedessi qualcosa di cui avrei dovuto ricordarmi
ma di cui non mi ricordavo, voglio dire come qualcosa che appartenesse ai
ricordi altrui.
Credo che
parlare di ricordi altrui sia l’espressione giusta.
In quel
momento ho avuto la sensazione di essere un altro che si stava osservando, dal
di fuori. Qualcuno osservava Simonini il quale di colpo aveva la sensazione di
non sapere esattamente chi fosse.
Calma e ragioniamo, mi sono detto.
Per un
individuo che sotto pretesto di vendere bric-à-brac falsifica documenti, e ha
scelto di vivere in uno dei quartieri meno raccomandabili di Parigi, non era
inverosimile che dessi asilo a qualcuno coinvolto in macchinazioni poco pulite.
Ma che
avessi scordato a chi davo rifugio, questo non mi suonava normale.
Sentivo il
bisogno di guardarmi alle spalle e di colpo la mia stessa casa mi appariva un
luogo estraneo che forse nascondeva altri segreti. Mi sono messo a esplorarla
come fosse un alloggio altrui. Uscendo dalla cucina, a destra si apriva la
camera da letto, a sinistra il salone con i mobili consueti. Ho aperto i
cassetti della scrivania, che contenevano i miei arnesi da lavoro, le penne, le
bottigliette dei vari inchiostri, fogli ancora bianchi (o gialli) di epoche e
formati diversi; sugli scaffali oltre ai libri c’erano le scatole che
contenevano i miei documenti, e un tabernacolo in noce antico.
Stavo proprio cercando di ricordare a che cosa servisse, quando ho sentito suonare da basso. Sono sceso per scacciare qualsiasi importuno, e ho visto una vecchia che mi pareva di conoscere. Attraverso il vetro mi ha detto: ‘Mi manda Tissot’, e ho dovuto farla entrare, chissà mai perché ho scelto quella parola d’ordine.
È entrata e
ha aperto un panno che teneva stretto al petto, mostrandomi una ventina di
ostie.
‘L’abate Dalla Piccola mi ha detto che eravate
interessato’.
Mi sono
sorpreso a rispondere
‘Certo’,
e ho
chiesto quanto.
‘Dieci franchi l’una’
ha detto la
vecchia.
‘Siete pazza’,
le ho
detto, per istinto di commerciante.
‘Sarete pazzi voi, che ci fate le messe nere’.
‘Credete sia facile andare in tre giorni in venti
chiese, prendere la comunione dopo aver cercato di tener la bocca secca,
inginocchiarsi con le mani sul viso e cercare di far uscire le ostie di bocca
senza che s’inumidiscano, raccoglierle in una borsetta che porto in seno, in
modo che né il curato né i vicini se ne accorgano? Senza parlare del
sacrilegio, e dell’inferno che mi aspetta. Dunque, se vi piace, sono duecento
franchi, oppure vado dall’abate Boullan’.
‘L’abate Boullan è morto, si vede che voi non andate per ostie da un poco, le ho risposto quasi macchinalmente’.
Poi ho
deciso che con la confusione che avevo in testa dovevo seguire l’istinto senza
ragionare troppo.
‘Lasciamo perdere, le prendo’,
…ho detto,
e ho pagato.
E ho capito che dovevo riporre le particole
nel tabernacolo del mio studio, aspettando qualche cliente affezionato. Un
lavoro come un altro. Insomma, tutto mi appariva quotidiano, famigliare. Eppure
sentivo intorno a me come l’odore di qualcosa di sinistro, che mi sfuggiva.
Sono risalito nello studio e ho notato che, coperta da un tendaggio, sul fondo
c’era una porta.
L’ho aperta
già sapendo che sarei entrato in un corridoio talmente buio da doverlo
percorrere con una lampada. Il corridoio assomigliava al magazzino di accessori
di un teatro, o al retrobottega di un rigattiere del Tempio. Ai muri erano
appesi gli abiti più disparati, alla contadina, da carbonaro, da fattorino, da
accattone, una giubba con i pantaloni da soldato, e accanto agli abiti le
acconciature che dovevano completarli. Una dozzina di testiere disposte in buon
ordine sopra una mensola di legno sostenevano altrettante parrucche.
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